Tco, testi Rai
'inattendibili'

IL 20 MARZO la sezione lavoro della corte d’appello di Napoli ha depositato la sentenza sulla vertenza promossa dagli 'operatori di ripresa' Claudio Ciccarone e Gianni Occhiello che dal ‘secolo scorso’ attendono dalla Rai il riconoscimento dello status di tco, 'telecineoperatori'.
Dopo un iter di cinque anni, nel marzo 2004 il giudice Maria Gallo aveva

respinto la richiesta dei ricorrenti, operatori Rai dal 1986 (Ciccarone) e dal 1983 (Occhiello) e giornalisti professionisti dal 1998. In secondo grado, dopo un giudizio durato due anni e mezzo, la corte (presidente Alessandro Bavoso, a latere Giovanna Maria Rossi


Salvatore Biazzo, Claudio Ciccarone e Renato Scognamiglio

e il relatore Gabriele Di Maio) ha accolto l’appello dei giornalisti, assistiti dagli avvocati Domenico e Nicoletta D’Amati e Rocco Truncellito.
A Ciccarone e Occhiello viene riconosciuta la qualifica di telecineoperatori, per il primo dal 22 dicembre 1998 e per il secondo dal 15 gennaio 1999, e il relativo trattamento economico dal 13 maggio 1996; non sono invece accolte le richieste del riconoscimento della qualifica di inviato speciale e del risarcimento “per danno professionale e di immagine”; la Rai, difesa dagli avvocati Emanuela Boccanera, Renato e Claudio Scognamiglio e Guido Marsiglia, è condannata a pagare 96mila euro a Ciccarone, 15mila a Occhiello e 4.500 euro di spese legali.
In trentasei pagine la corte passa al microscopio e smonta il provvedimento di primo grado, con passaggi molto critici nei confronti della giudice Gallo. “Ad ogni modo, – scrive nella sentenza l’estensore Di Maio – ben avrebbe potuto e dovuto il primo giudice, a fronte di un quadro di ritenuta incertezza probatoria, dare pieno spazio alle richieste di prova delle parti senza comprimerle, e dare quindi luogo, eventualmente anche in virtù dei propri poteri officiosi, ai conseguenti approfondimenti istruttori”. Le carenze dell’istruttoria di primo grado hanno spinto la corte ad ascoltare nuovi testi e a


Eugenio De Bellis, Guido Marsiglia e Gianni Occhiello

leggere in maniera diversa le deposizioni già rese.
“Il primo giudice – argomenta l’estensore – ha ritenuto non probanti le predette dichiarazioni  (le testimonianze di Domenico Gargano e Ermanno Corsi, ndr) in quanto contraddette dalle opposte dichiarazioni dei

testimoni della convenuta (la Rai, ndr), Blasi Giuseppe e Biazzo Salvatore. …Per contro, il primo giudice non sembra avere adeguatamente considerato che era semmai proprio l’attendibilità dei testi addotti dalla Rai (i quali hanno sostanzialmente negato che i ricorrenti svolgessero mansioni superiori a quelle di operatori di ripresa, talvolta rifugiandosi, come il Biazzo, in vaghe formule come “non lo ricordo, ma non lo escludo” che ne rivelano l’imbarazzo) a non essere sicura, in considerazione del rapporto di dipendenza che li legava a detta società, nonché dell’interesse a non ammettere l’utilizzo di personale secondo modalità per le quali avrebbero potuto essere mossi degli addebiti interni, ed infine delle smentite provenute anche sotto il profilo documentale”.
Tra le prove utilizzate dalla corte ci sono le cassette presentate dai legali dei tco. E proprio “visionando la documentazione filmata è stato possibile rilevare che effettivamente i ricorrenti effettuavano anche vere e proprie interviste, cosicché è risultato smentito sul punto il teste Blasi, il quale aveva dichiarato che “il microfono viene utilizzato per le interviste solo dal giornalista” venendone dimostrata viepiù la sua inaffidabilità”. È invece ritenuta attendibile la testimonianze del redattore capo Silvio Luise, dello specializzato di ripresa Pasquale D’Errico e del capo servizio in pensione Eugenio De Bellis.
Luise, dopo aver precisato che in redazione c’era una squadra di undici

dipendenti che si occupava delle riprese, ha riferito che “nell’organico degli undici elementi era compreso personale con funzioni di fotoreporter (i tco, ndr) e altri con funzioni di ripresa” ma che “le due categorie espletavano attività perfettamente identiche


Pasquale D'Errico, Silvio Luise e Rocco Truncellito

pur appartenendo il fotoreporter all’area dei giornalisti professionisti”; ha poi aggiunto che “poteva capitare che l’operatore espletasse un servizio insieme a un giornalista il quale poteva eventualmente segnalare le opportunità di varie riprese, ma l’apporto di ognuno era perfettamente paritetico e non vi era dipendenza tecnica dell’operatore rispetto al giornalista, né gerarchica” e che per i servizi “da realizzare rapidamente l’operatore poteva uscire anche da solo”. Le dichiarazioni di Luise appaiono al giudice “precise, univoche e concordanti nel descrivere la quotidiana e comunque prevalente attività degli appellanti come contrassegnata da ampia autonomia nel realizzare spesso da soli e al più collaborando paritariamente con giornalisti ‘di penna’, servizi giornalistici televisivi pienamente autonomi nella selezione del materiale da riprendere e nel ‘taglio’ del racconto per immagini”.
E se Luise è un teste affidabile, le sue dichiarazioni “dimostrano ulteriormente l’inattendibilità dei testi di parte datoriale e dei quali si è già detto, valutazione che non può non estendersi al teste Milone (dall’estate 2003 responsabile della redazione partenopea della Rai, ndr) escusso nel presente grado”. “Anche tale teste, infatti, -osserva il magistrato – è apparso fortemente condizionato dal rapporto di dipendenza e dall’interesse a escludere la propria responsabilità interna per l’utilizzazione quali telecineoperatori dei ricorrenti, ponendo attenzione a precisare di avere “rispettato la volontà aziendale” e che


Ermanno Corsi, Domenico D'Amati e Domenico Gargano

se poi gli operatori come Ciccarone e Occhiello abbiano effettuato servizi questo è un fatto che ricade nell’ambito di competenza del precedente responsabile (Giuseppe Blasi, ndr)”.
A questo punto il giudice estensore chiude la valutazione sul capo dei

servizi giornalistici. “E significativa, – commenta Di Maio – per valutare l’attendibilità del suddetto teste (Massimo Milone, ndr), appare la circostanza, riferita dal teste De Bellis, che quando il filmato realizzato dai ricorrenti conteneva delle interviste “veniva mantenuta la risposta provvedendosi invece a cancellare al domanda onde evitare rivendicazioni degli operatori”, e ciò proprio “su disposizione del redattore capo sig. Milone, prassi questa adottata anche dai predecessori del sig. Milone”. Di tal che appare fondato ritenere che i funzionari (responsabili, ndr) redazionali avessero consapevolezza ben chiara della circostanza che i ricorrenti operassero anche effettuando interviste con i microfoni in dotazione e operassero su un piano di sostanziale parità di mansioni con i telecineoperatori formalmente inquadrati come tali”.