Tg2, il piano
di Nicola Rao

Il 17 febbraio il direttore Nicola Rao ha presentato il piano editoriale ai redattori del Tg2 che l’hanno approvato con 78 sì (il 62 per cento dei votanti), 37 no e dieci schede tra bianche e nulle

Il PIANO EDITORIALE DI RAO

Prima di entrare nel dettaglio dei contenuti del piano editoriale, permettetemi di esprimere la mia soddisfazione per essere tornato al Tg2, testata nella quale ho esordito, nella mia esperienza Rai, esattamente 20 anni fa. Rientrare in questa testata, con l’onore di poterla dirigere, per me è motivo di grande emozione e orgoglio. Sento forte anche la responsabilità di essere stato scelto alla guida di questo telegiornale.
Come ho avuto modo già di anticipare ad alcunidi voi, sono intenzionato, con il contributo di tutti, a lavorare affinché la nostra testata sia sempre all’avanguardia del panorama informativo italiano, posizione che haricoperto fin dalla sua fondazione.
Una premessa di carattere etico. Rispetto alla concorrenza e alla necessaria e doverosa attenzione agli ascolti, noi abbiamo l’onore e l’onere di essere concessionari esclusivi del servizio pubblico radiotelevisivo. Abbiamo pertanto il dovere, secondo quanto stabilito nel testo contrattuale, di ispirarci e attenerci ai canoni di “equilibrio, pluralismo, completezza, obiettività, imparzialità, indipendenza ed apertura alle diverse formazioni politiche e sociali’’. Un dovere che ha come mission quella di coniugare il principio di libertà con quello di responsabilità.
In altre parole, la nostra professione dovrà sempre portarci ad arrivare per primi su una notizia e dovremo farlo sempre più rapidamente, ma sarà necessario arrivarci e, soprattutto, raccontarla al nostro pubblico in modo autorevole e l’autorevolezza è determinata dal logo della nostra testata e della nostra azienda.Che dovranno essere sempre più, in epoca di fake news, un certificato di garanzia di qualità e affidabilità dell’informazione.
La nostraidentità e la nostra onestà intellettuale devonosempre connotarci all’esterno. “La deontologia professionale – scriveva Indro Montanelli - sta racchiusa in gran parte, se non per intero, in questa semplice parola: onestà”.

IL RACCONTO
Il nostro telegiornale è un racconto di quanto avviene in Italia e nel mondo, un racconto fatto in prima linea. Dal fronte di guerra come dalle nostre periferie. Vorrei che i nostri inviati ci accompagnassero dentro la notizia, ci aiutassero a comprenderla con il loro sguardo, con la loro esperienza. Con il loro essere professionisti che vanno sui luoghi in cui i fatti accadono. Vorrei che ci guidassero sempre la curiosità, che mai dovremmo perdere di fronte a ciò che accade, e l’emozione. Sì perché un servizio, quando è “freddo”, il telespettatore lo capisce. E lo segue di meno. Per questo vorrei lavorare assieme a voi sulle piccole grandi storie, nelle quali il nostro pubblico possa in un certo senso immedesimarsi.
Tre anni fa il nostro Paese entrava, tra i primi al mondo, nel tunnel dell’inferno covid, malattia tra le più contagiose mai conosciutee quindi particolarmente pericolosa per le sue conseguenze. Il dramma di migliaia di famiglie che hanno visto morire le persone care. Avere vissuto un lockdown pressoché totale per diversi mesi ha cambiato e stravolto le abitudini di vita, ma anche economiche, sociali e professionali di tutti noi. Anche il nostro lavoro ne è stato inevitabilmente influenzato. Il modo di fare informazione in una situazione estrema e imprevista ci ha portato a introdurre nuove forme di linguaggio e anche modalità inedite di interlocuzione e di racconto della realtà italiana e mondiale.
Per evitare il più possibile i contatti fisici abbiamo fatto ricorso a collegamenti e interviste via skype, quando non era possibile l’utilizzo dei cosiddetti zainetti. Anche le riunioni di redazione e le assemblee per molto tempo hanno cessato di essere in presenza, sostituite dalle riunioni da remoto attraverso pc, tablet o smartphone.
Dopo tre anni, quando questo incubo sembra superato, anche se come vediamo esistono ancora i timori di una possibile recrudescenza del fenomeno, restano però le nuove forme, più immediate e contemporanee, per informare il telespettatore sulla realtà che ci circonda.Agili e veloci collegamenti, a volte via internet, fanno tuttora parte del nostro racconto. Un servizio televisivo “chiuso”è oggi uno degli strumenti informativi, non più l’unico. Sempre più è l’immagine che “comanda”, è il nostro grande valore aggiunto rispetto ad altri media e il nostro testo deve essere pensato per valorizzare ciò che lo spettatore vede in tv, aiutandolo a cogliere anche sfumature importanti del racconto. Spesso una singola immagine è molto più forte di centinaia di parole. I reportage dei nostri inviati saranno sempre un punto di forza del telegiornale.
Dicevamo di come la pandemia abbia influito e abbia cambiato anche il modo di informare. Due anni dopo, un altro evento terribilmente dirompente, nella sua drammaticità: l’invasione russa dell’Ucraina.
Una nuova generazione di inviati e di cronisti che è cresciuta e si è solidificata nelle continue staffette nelle zone di guerra ci ha portato a un impatto nuovo con la realtà drammatica di un conflitto lungo, caratterizzato da continui avanzamenti e arretramenti su un fronte relativamente contenuto, come non accadeva da decenni.
Anche raccontare una delle cose più antiche e terribili del mondo, come una guerra, in realtà oggi viene fatto in maniera nuova. Del resto, “il giornalista – scriveva Umberto Eco – non è altro che è lo storico del presente”.
Oggi credo siano sempre più urgenti un aggiornamento e una ridefinizione delle modalità di informazione e comunicazione. È indispensabile e non più rinviabile pensare e ripensare alla nostra professione, sempre più multipiattaforma e crossmediale. Ma tutto questo senza mai snaturare l’essenza del nostro mestiere che era, è, e sarà sempre la stessa: informare i nostri telespettatori e fornire loro notizie. Darle seduti, in piedi, su un sito o in uno studio televisivo non cambia la natura del nostro lavoro: affidabilità, autorevolezza, veridicità delle informazioni attraverso una attenta e scrupolosa verifica dei fatti e delle fonti.
Dobbiamo sempre tenerlo a mente, perché una immagine o una parola sbagliata possono avere effetti devastanti e fare molto male. Ricordava un maestro di giornalismo come Enzo Biagi: “La stampa fa paura. Anche a me. In genere non modifica le situazioni, non ha quel potere che la leggenda le attribuisce, ma può distruggere una persona. Se sbaglia, sono guai. E poi non ci sono rimedi, anche quando tenta di riparare. La tv moltiplica addirittura l’effetto, per quel tanto di ufficialità che si porta dietro”.