detto, grazie al quale ciascuno può sperare di raggiungere gli altri”. Cercare la verità, percorrendo itinerari verso esperienze non idolatriche, che sappiano dare un peso alle nostre speranze.
La verità non può essere dedotta a priori da affermazioni dogmatiche, ma deve basarsi sulla prassi del dialogo, in un vero e proprio circolo ermeneutico fra esperienze diverse.
Torniamo alle domande iniziali: cosa vuol dire dialogo, pluralismo, verità? Cosa vuol dire testimoniare la propria fede oltre i regimi di verità splendidamente esibiti in ogni forma di fondamentalismo?
La lettura infinita delle nostre tradizioni deve lasciare definibili, mai definiti dogmaticamente, sensi e significati, sempre aperti all’imprevedibilità della vita e dell’intervento divino che riapre costantemente la Storia e le storie e il loro farsi e dirsi.
La verità ci trascende. Cogliere solo un aspetto della verità e non avere pretese di assolutezza, non vuol dire che si dà solo una verità relativa. Vuol dire che la verità, la sua ricerca appartiene ai cammini di pensiero di tutte le donne e di tutti gli uomini e alle loro diverse esperienze di fede e di vita.
L’uso dei simboli, questo al di là della circostanza che ha aperto queste riflessioni, deve evitare assolutamente derive che andrebbero in direzione opposta a quella di un dialogo autentico e rispettoso delle differenze. Oltre i simboli, occorre rileggere anche termini come: dialogo, verità, pluralismo e occorre spingere l’interrogazione fino ai limiti estremi della cosa stessa: il tema della verità e della parola o delle parole che lo sostengono è la "cosa" stessa da ripensare.

Ottavio Di Grazia
Docente di Storia delle Religioni del Mediterraneo
e di Culture Identità e Religioni,
Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli