mortuario, la Stella di David e la Croce? Certamente non le buone intenzioni che hanno determinato la scelta.
Non sfugge a nessuno, neppure a un osservatore distratto, che siamo di fronte a questioni che, nel loro semplice porsi aprono lo spazio per domande radicali. Due simboli diversi, che parlano di ricerca della verità, che pongono una domanda di salvezza, di senso: senso della vita, della morte, del dolore ecc. Questi temi, immensi, hanno a che fare con bisogni, oggi più che mai urgenti: il bisogno di trovare una risposta allo smarrimento della propria identità. Un sentire indeterminato, una ricerca continua di strumenti con i quali leggere il mondo e con i quali ciascuno tenta di imparare a vivere prendendo i pezzi che gli servono da varie religioni ed espressioni culturali, più o meno banalizzate. Nel bricolage con cui costruiamo i nostri percorsi soggettivi, percepiamo il farsi e il disfarsi di certezze che si consumano e svaniscono. Tuttavia proprio da questa incertezza può nascere una modalità diversa per apprendere il difficile “mestiere di vivere” e di stare al mondo.
L’uso di certi simboli potrebbe sicuramente rientrare in quelle diverse forme di religiosità che cercano una risposta al bisogno di salvarsi e alle tante paure di perdersi, di smarrire certezze e identità. Proprio la tradizione ebraico-cristiana ha saputo pensare, biblicamente, il limite, la morte, il rapporto Dio-uomo come il disporsi estremo dell’assoluta alterità. Quando si parla di Dio evitando le categorie falsamente e ideologicamente universalizzanti emergono le dimensioni della relazione, del limite, della parzialità. E quando accostandoci alle altre religioni, parliamo di Dio partendo dal nostro linguaggio, dalle nostre parole, consapevoli che sono sempre plurali e sempre penultime, si scoprono le ricchezze delle differenze che devono restare tali. Il confronto tra religioni, culture, deve partire dal riconoscimento della parzialità della nostra ricerca. Non vanno pertanto utilizzate categorie che si pretendono universali e comuni a tutti, mistificando così il senso stesso dell’incontro.
Ha scritto Paul Ricoeur: “Se le religioni vogliono sopravvivere dovranno saper rinunciare in primo luogo a ogni specie di potere che non sia la parola disarmata, dovranno soprattutto cercare nel fondo stesso del loro insegnamento quel surplus non