 |
 |
In aula Corsi evita, per
ora, una nuova débâcle
|
 |
CON UN COLPO gobbo l’avvocato Ivan Montone sta cercando di evitare una nuova débâcle giudiziaria a Ermanno Corsi, sessantotto anni, pensionato Rai, dal 1989 al giugno 2007 presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania.
Nel luglio 2004 Corsi ha presentato alla procura di Napoli una querela nei confronti di Patrizia Capua, redattrice di Repubblica Napoli, nel 2004 e oggi consigliere della Federazione nazionale della stampa, e di Carlo Verna, |
inviato e conduttore del Tgr Campania, nel 2004 consigliere Fnsi e da otto mesi segretario dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai.
Corsi si riteneva diffamato da alcune dichiarazioni di Capua e Verna riportate in un lancio Ansa del 14 giugno 2004; uno il |

Patrizia Capua, Ermanno Corsi e Carlo Verna |
|
passaggio incriminato riportato nella querela: “È giusto – affermavano i consiglieri Fnsi Capua e Verna – che il nuovo consiglio parta nella maniera migliore, all’insegna del pieno rispetto della legalità e della deontologia (…). È indispensabile, però, che il rigore cominci dai vertici e che sia uguale per tutti. Il Presidente uscente dell’Ordine regionale, Ermanno Corsi, ha riportato in questi anni ripetute condanne penali e almeno una di queste ha ottenuto il suggello definitivo della Corte di Cassazione. Ma non risulta che Corsi abbia mai informato l’Ordine nazionale, com’è suo preciso dovere, per consentire l’immediata apertura di un procedimento disciplinare da affidare ad altro Ordine regionale. Appare clamorosa la circostanza – fanno notare i consiglieri della Fnsi – che il presidente uscente dell’Ordine dei giornalisti della Campania abbia ricevuto in primo grado una doppia condanna penale per avere diffamato un parlamentare (Giuseppe Gambale, deputato per quattro legislature, dal 1992 al 2006, sottosegretario alla Pubblica istruzione nei governi D’Alema II e Amato II, dal giugno 2006 assessore all’Educazione, trasparenza e legalità nella giunta partenopea guidata dalla Iervolino, ndr) e un giornalista professionista (il direttore di
|

Giuliano Amato, Massimo D'Alema e Giuseppe Gambale
|
Iustitia, Nello Cozzolino, ndr) iscritto all’Ordine della Campania con articoli anonimi (l’identificazione dell’autore è stata effettuata dai carabinieri su incarico della Procura della Repubblica di Nola) su un giornalino la cui testata non è mai stata
|
|
registrata in tribunale. Si può essere giudici della deontologia – si chiedono Capua e Verna - mentre pende sul proprio capo una doppia accusa, già ritenuta provata da un Tribunale, di avere diffamato un parlamentare e un giornalista con uno scritto anonimo su un giornale clandestino?” (I passaggi in corsivo sottolineato del testo sono opera di Corsi e Montone, ndr)
L’iniziativa dei consiglieri nazionali non nasceva a caso, ma arrivava dopo un’accesa polemica scoppiata subito dopo le elezioni per il rinnovo dei consigli nazionale e regionale dell’Ordine dei giornalisti: il gruppo guidato da Corsi-Ambrosino, che aveva vinto in Campania le elezioni tra i professionisti e perso quelle dei pubblicisti dominate dal tandem Castellano-Falco, cavalcava il caso di un pubblicista di Avellino eletto al consiglio nazionale, Rosario Lamberti, che in primo grado aveva riportato una condanna pesante (tre anni e quattro mesi di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni) per un reato grave, estorsione a mezzo stampa. Per Lamberti, come per qualsiasi altro cittadino, ogni decisione andava però sospesa fino al giudizio definitivo, come previsto dalla Costituzione italiana, che al secondo comma dell’articolo 27 dice che “l’imputato non è considerato colpevole sino
|
alla condanna definitiva”.
Chiarito il contesto dal quale nasceva la dichiarazione di Capua e Verna, torniamo alla querela presentata dall’avvocato Montone. Non è il caso di spendere parole sul passaggio della denuncia in cui si parla di un lancio Ansa in rete alle
|

Domenico Castellano, Domenico Falco e Rosario Lamberti |
|
13,59 del 14 giugno, un minuto prima della seduta di insediamento del consiglio che doveva eleggere i nuovi vertici dell’Ordine campano, perché è di tutta evidenza che i tempi non li decide chi passa all’agenzia una dichiarazione, ma soprattutto perché Corsi aveva il controllo della maggioranza assoluta del consiglio e quindi non c’era dichiarazione in grado di scalfire maggioranze pluridecennali. Altrettanto irrilevante è la precisazione del querelante secondo il quale l’autore degli articoli anonimi, cioè Corsi stesso, non era stato individuato dai carabinieri, come scrivevano Capua e Verna, ma interpellato dai carabinieri (spediti da Adolfo Izzo, capo della procura di Nola, ndr) si “sarebbe assunto le responsabilità di tutte le note pubblicate ancorché materialmente non scritte” da lui.
A forte rischio boomerang il passaggio in cui Corsi sottolinea che “i libellisti (Capua e Verna, ndr) hanno fatto finta di ignorare che l’altro procedimento penale a carico del sottoscritto (il riferimento è alla denuncia presentata da Gambale, ndr) è ancora pendente in appello”. Il 17 settembre 2004, a distanza di un mese e mezzo dalle parole scritte da Corsi nella querela, la quarta sezione penale della corte d’appello di Napoli, presieduta da Federico Cassano, con giudici a latere Michele Rescigno e l’estensore Giuliana
|

Gianni Ambrosino, Gaetano Arena e Giustino Fabrizio
|
Tagliatatela, ha accolto la richiesta del sostituto procuratore generale Mariaida Persico e ha confermato la condanna di Corsi; condanna ribadita un anno più tardi dalla Corte di cassazione.
Con l’ultima decisione della Suprema corte salgono a tre le condanne |
|
definitive di Corsi per avere diffamato Gambale (Cassazione del novembre 2005), Cozzolino (marzo 2003) e Gaetano Arena (febbraio ’98), condirettore generale della Banca Popolare di Napoli; negli ultimi due casi, dopo la conclusione del giudizio penale, sono arrivate le condanne in sede civile con risarcimenti di decine di migliaia di euro, nel caso di Arena versate da Repubblica, quotidiano al quale l’ex presidente dell’Ordine campano collaborava, e nel caso di Cozzolino pagate direttamente da Corsi.
Sulle condanne penali avevano centrato l’attenzione Capua e Verna quando sollecitavano “pieno rispetto della legalità e della deontologia e rigore uguale per tutti”. Infatti scrivevano nel comunicato: “Non risulta che Corsi abbia mai informato (delle sentenze penali che lo riguardavano, ndr) l’Ordine nazionale, come è suo preciso dovere, per consentire l’immediata apertura di un procedimento disciplinare da affidare ad altro Ordine regionale”. I consiglieri nazionali Fnsi chiedevano in sostanza l’applicazione dell’articolo 39 della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, che al terzo comma dice: “Nel caso di condanna penale il Consiglio dell’Ordine inizia procedimento disciplinare ove ricorrano le condizioni previste dal primo comma dell’articolo 48”, che prevede: “Gli iscritti nell’albo, negli elenchi o nel registro, che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti
|
che compromettano la propria reputazione o la dignità dell’Ordine, sono sottoposti a procedimento disciplinare”.
È particolarmente interessante leggere come Corsi nella querela replica all’osservazione puntuale di Capua e Verna, respingendo l’accusa di non avere informato l’Ordine nazionale: “È vero esattamente il contrario perché |

Gerardo Arcese e Mariaida Persico |
|
all’indomani della sentenza della Cassazione del 14 marzo 2003 (che lo condannava in via definitiva per avere diffamato, con scritti anonimi, Cozzolino, ndr) mi presi cura di informare il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Roma per preannunciare l’invio della motivazione, venendo dispensato perché in considerazione dell’estrema irrilevanza del fatto e della causa che lo avevano determinato, non sussistevano ragioni per dare inizio a un procedimento disciplinare”. Corsi non precisa se ha dato notizia della condanna in forma orale o scritta, non fornisce il numero di protocollo dell’eventuale comunicazione scritta, non dice a chi ha dato la notizia, chi ha giudicato il fatto di “estrema irrilevanza”, chi lo ha “dispensato” dal dare informazioni sulla condanna e in quale forma.
Appare infine davvero singolare il richiamo di Corsi, al momento della presentazione della querela presidente dell’Ordine campano in carica, a una sorta di privacy sulle sue vicende giudiziarie, soprattutto in considerazione della grande attenzione che la legge istitutiva dell’Ordine riserva alle condanne penali dei giornalisti. “L’informazione affidata ai comunicati inviati alle Agenzie di Stampa … –scrive Corsi nella querela – non è tollerabile, configurandosi illegittima, in quanto costituente il reato di diffamazione allorché, come è accaduto nella fattispecie, del tutto gratuitamente si porta a conoscenza di soggetti estranei al problema, dati sensibili concernenti la mia persona”. Tesi
|

Adriano Albano, Gianfranco Coppola e Ottavio Lucarelli
|
ribadita con forza poco dopo: “I giornalisti Verna e Capua erano – e sono – privi di legittimazione a divulgare tramite le Agenzie di stampa o in qualsiasi altro modo i miei precedenti giudiziari”.
Non si capisce bene chi sono i “soggetti estranei al problema”: i giornalisti, i
|
|
dirigenti degli organismi di categoria, l’opinione pubblica? Ed è davvero sorprendente che la tesi di andreottiana memoria “i panni sporchi si lavano in famiglia” venga resuscitata proprio da un giornalista, che peraltro non indica in quale famiglia i panni andrebbero lavati dal momento che delle condanne in forma ufficiale sembra non si sia discusso né all’Ordine nazionale, né all’Ordine regionale.
Desta meraviglia ancora maggiore la tesi dei panni sporchi se si pensa che, pur trattandosi di reati assolutamente incomparabili, delle condanne con il suggello della Cassazione riportate da Corsi non si dovrebbe parlare, mentre si può liberamente parlare e prendere decisioni su un pubblicista di Avellino, Rosario Lamberti, che nel giugno 2004 risultava condannato soltanto in primo grado.
Del resto la vicenda Lamberti è stata a più riprese tirata fuori da Corsi, forse non consapevole fino in fondo della scivolosità dell’argomento condanne, visto il certificato penale di chi per diciotto anni ha presieduto l’Ordine campano.
Il 7 luglio 2005 Corsi firma un fondo centrato sull’etica pubblicato dall’edizione campana di Repubblica, guidata da Giustino Fabrizio; l’articolo, nel quale viene riservato molto spazio alla discussione avvenuta nel consiglio dell’Ordine regionale sulla vicenda Lamberti, riporta, tra l’altro, le posizioni dei singoli consiglieri, che avevano votato a scrutinio segreto.
Persino nella dichiarazione rilasciata all’Ansa a metà giugno per spiegare le sue scelte in occasione del rinnovo dei vertici dell’Ordine regionale il
|
protagonista involontario è Lamberti. Corsi dice di avere votato a favore di Gianfranco Coppola eletto segretario e di Adriano Albano, nuovo tesoriere, entrambi suoi colleghi alla Rai, e di non avere votato il tandem di presidente e vice, Ottavio Lucarelli e Domenico Castellano, che non nomina, perché “in un recente passato,
|

Adolfo Izzo e Giovandomenico Lepore |
|
con il proprio voto” hanno “impedito la radiazione dall'albo di un iscritto (Lamberti, ndr) condannato a tre anni e mezzo di reclusione per estorsione a mezzo stampa”. Chiude il comunicato una citazione della Procura generale partenopea, guidata da Vincenzo Galgano: “È dovuta intervenire la Procura Generale della Repubblica perchè la radiazione, in sede nazionale, avesse luogo''.
Nel marzo scorso, dopo oltre due anni e mezzo di indagini la procura di Napoli guidata da Giovandomenico Lepore, ha concluso le indagini sulla denuncia presentata da Corsi e il pubblico ministero Teresa Grieco ha indirizzato al giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione.
Una richiesta che probabilmente sarà scaturita dalla constatazione che le “ripetute condanne” penali di Corsi indiscutibilmente ci sono e che la notizia delle condanne è certamente di interesse pubblico, in particolare per gli operatori dell’informazione.
E siamo finalmente al colpo gobbo di Montone, calabrese di Niscastro, ottantaquattro anni, una vita intera spese nelle aule dei tribunali, da magistrato e poi da avvocato: prima ha presentato opposizione all’archiviazione, quindi ha chiesto alla procuratore generale di avocare le indagini; una richiesta dettata dall’esperienza o dal pessimismo sulla piega presa dalla vicenda, una richiesta che ha comunque pochissimi precedenti.
Il sostituto procuratore generale Gerardo Arcese, al quale è stato affidato il fascicolo, ha chiesto al giudice per le indagini preliminari un rinvio dell’udienza per avere la possibilità di esaminare la vicenda. Così il 5 luglio il gip Valeria Scandone ha informato le parti dell’intervento della procura generale e rinviato l’udienza al 2 ottobre.
|
 |
|