Strage di via Caravaggio,
Mario Zarrelli all'attacco

IL 21 OTTOBRE davanti al giudice Gabriella Bonavolontà della quarta sezione civile del tribunale di Napoli si terrà la prima udienza di un processo complesso e affollato. Si discuterà infatti della richiesta di risarcimento danni per violazione del segreto istruttorio e diffamazione a mezzo stampa presentata dagli avvocati Mario e Ilaria Zarrelli per conto di Domenico Zarrelli, fratello di Mario e quaranta anni fa, per la precisione il 30 ottobre 1975, ‘protagonista’ giudiziario della ‘strage di via Caravaggio’ in cui furono uccisi Domenico Santangelo, la moglie Gemma Cenname, zia di Domenico

Zarrelli, e la figlia di Santangelo, Angela.
Accusato del triplice omicidio, Domenico Zarrelli, che oggi ha settantaquattro anni, è rimasto in carcere per quasi sei e vive su una sedia a rotelle, è stato condannato in primo grado all’ergastolo dalla

Giovanni Colangelo e Luigi Santulli

Corte d'assise di Napoli, poi assolto dalla Corte d’appello di Napoli e, dopo un passaggio davanti alla Suprema corte con l'assegnazione del giudizio di secondo grado a Potenza, assolto anche dalla Corte d’appello lucana, "per non aver commesso il fatto", decisione che ha avuto il sigillo della Cassazione.
La citazione degli Zarrelli parte da un articolo del Mattino del 10 aprile del 2014, firmato dal cronista di giudiziaria Giuseppe Crimaldi. Il giornalista dà notizia, ovattata da condizionali e da prudenze, che nel 2011, dopo l’arrivo di una lettera anonima firmata Bleu Angel, la procura di Napoli, con l’aggiunto Giovanni Melillo, oggi capo di gabinetto del ministro della Giustizia Andrea Orlando, e poi con il sostituto Luigi Santulli, avrebbe riaperto il fascicolo su via Caravaggio perché dall’esame di alcuni oggetti sequestrati nella casa della strage sarebbe stato trovato il dna di Domenico Zarrelli. A seguire agenzie, quotidiani e tg si lanciano sulla ripresa delle indagini. 
Ma, come è noto, in Italia vale il principio del ‘ne bis in idem’: un cittadino non può essere processato due volte per lo stesso reato. Comunque, per quanto ovattata da condizionali e da prudenze (“stretto il riserbo degli inquirenti”), la notizia nelle settimane e nei mesi successivi viene ripresa dagli altri organi d’informazione.
Dopo quattro anni di indagini arriva finalmente nell’autunno del 2015 la richiesta di archiviazione da parte della procura. E il 27 ottobre 2015 il gip del tribunale di Napoli Livia De Gennarodispone l’archiviazione del procedimento”, scrivendo parole molto critiche sull’attività della procura: “a fronte della assoluta inaffidabilità degli esiti investigativi, l’unico dato

Bianca Berlinguer e Gennaro De Falco

incontrovertibile e certo è costituito dalle sentenze passate in giudicato che hanno assolto Domenico Zarrelli ritenendolo estraneo ai fatti del delitto di via Caravaggio e questa verità processuale, l’unica a cui ogni

operatore del diritto è tenuto ad attenersi, avrebbe dovuto indurre a riflettere sulla opportunità di disporre indagini aventi ad oggetto la comparazione del profilo genetico tratto dai capelli attribuiti a Domenico Zarrelli con i reperti rinvenuti”, anche perché i reperti erano stati manipolati e contaminati.
All’archiviazione si oppone l’avvocato Gennaro De Falco, legale di Lucia Santangelo, sorella di Domenico. Sulla questione si è pronunciato il procuratore generale della Cassazione che ha chiesto l’inammissibilità dell’opposizione; la decisione della Suprema corte è fissata per il 5 ottobre.
Subito dopo l’archiviazione l’avvocato Mario Zarrelli invita i media locali e nazionali a rettificare le notizie pubblicate che in alcuni casi avevano rilanciato l’immagine del fratello come il ‘mostro di via Caravaggio’ e stigmatizzato il risarcimento danni avuto dallo Stato per i quasi sei anni trascorsi in galera: alcuni milioni di euro decisi dal tribunale di Napoli, ridotti dalla Corte d'appello a 580mila euro, somma poi confermata dalla Cassazione. Quasi nessuno dà notizia dell’ordinanza firmata dal giudice De Gennaro. Da qui la decisione di ricorrere alla magistratura per chiedere un risarcimento danni consistente ai tanti che avevano scritto ma non corretto le notizie inesatte pubblicate.
Con una citazione di sessantatre pagine gli avvocati Zarrelli (Mario e la figlia Ilaria) hanno girato al giudice che dovrà decidere sette richieste: “accertare e dichiarare che, contrariamente a quanto divulgato dagli organi di stampa attraverso i più importanti quotidiani italiani, Domenico Zarrelli, è stato vittima di falsi reiterati e frode processuale e ha patito l’ingiusta

detenzione per circa sei anni ottenendo per la consumazione dei vari reati in suo danno un risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali; accertare e dichiarare la solidale responsabilità” degli organi di stampa citati in base all’articolo 11 della

Marcello Masi e Mario Orfeo
legge sulla stampa del 1948; “conseguentemente condannare gli stessi, in solido, al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi, emergenti, patrimoniali e non patrimoniali, biologici ed esistenziali, danni da determinarsi nella misura complessiva di cinque milioni di euro; stabilire una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei danni dovuti dalla Rai Radio Televisione Italiana spa per l’illegittima condotta dei suoi dipendenti, danni tuttora perduranti fino a quando non sarà data notizia su Rai1, Rai2 e Rai3 in prima serata dell’ordinanza del gip che ha assolto per la terza volta Domenico Zarrelli; ordinare la pubblicazione, a spese dei convenuti Il Mattino, Ansa, la Repubblica e Corriere della sera della emananda sentenza; ordinare la trasmissione della emananda sentenza al titolare del potere disciplinare dei giornalisti; condannare essi intimati in solido al pagamento delle spese e onorari del giudizio”.  
Passiamo ora a vedere chi sono gli ’intimati’ o presunti diffamatori. Ci sono gli editori del Corriere della sera, Mattino, Gruppo Caltagirone, Carlo De Benedetti di Repubblica, Urbano Cairo del settimanale Giallo, Pasquale Marotta del web magazine Il napoletano; il presidente Giulio Anselmi e l’amministratore delegato Giuseppe Cerbone dell’agenzia Ansa;
il presidente Monica Maggioni e il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto della Rai; i direttori Alessandro Barbano del Mattino, Bianca Berlinguer ex del Tg3, Andrea Biavardi del settimanale Giallo, Luigi Contu dell’Ansa, Luciano Fontana del Corriere della sera, Marcello Masi ex del Tg2, Ezio Mauro ex di Repubblica, Mario Orfeo del Tg1,
Luciano Fontana e Ezio Mauro

Gianpaolo Santoro della casa editrice Marotta&Marotta; i cronisti Giuseppe Crimaldi del Mattino e Vincenzo La Penna di Ansa Napoli e la dirigente del ministero dell’Interno Anna Maria Di Giulio. Una folla di ventidue ‘intimati’.
In attesa del match nelle

aule di giustizia restano da chiarire due punti. Il primo. L’iniziativa di riprendere le indagini è dei magistrati della procura di Napoli, guidata da Giovanni Colangelo, e da quegli uffici, direttamente o indirettamente, parte la fuga di notizie che arriva poi ai media. Allora perché concentrare l’offensiva contro i giornalisti che quando hanno una notizia la devono pubblicare, anche se in qualche caso c’è stato un eccesso di enfasi e in molti, sbagliando, non hanno dato spazio alla ‘terza assoluzione’ di Domenico Zarrelli decisa un anno fa dal gip di Napoli che ha archiviato l’indagine della procura?      
La riapertura delle indagini – spiega a Iustitia Mario Zarrelli – l’abbiamo appresa dai giornalisti perché la procura non ci ha mai chiamato, né ha ritenuto di informarci. In ogni caso il primo bersaglio della citazione è la Rai, servizio pubblico pagato con i soldi dei cittadini, che non può permettersi di dare una notizia largamente inesatta e poi non mandare in onda la rettifica. Ma anche altri giornalisti, senza operare alcune verifica, si sono sbizzarriti contro Domenico Zarrelli tirando fuori tutte le vecchie accuse e aggiungendo che si salvava da una sicura condanna soltanto perché non poteva più essere processato per lo stesso reato”.  
Il secondo punto riguarda la procura di Napoli che riceve una lettera anonima e, a oltre trentacinque anni dalla strage e a trentuno dalla sentenza della Cassazione, decide di riavviare un’indagine che, a lume di logica, non può portare a nessun risultato se non a uno spreco di tempo e di denaro. Riflessione che con parole appena più soft viene espressa dal gip Livia De Gennaro nel liquidare il lavoro svolto dai pm. Sarebbe forse utile che Colangelo fornisse qualche spiegazione.