L'Assostampa non
è ancora sciolta

L’ASSOCIAZIONE napoletana della stampa è nata nel 1912 ed è stata sciolta, forse, il 31 marzo 2014 con il voto unanime di venticinque giornalisti. Perché 'forse'? La risposta è semplice: il 31 marzo si è tenuta nella sede del sindacato a via Cappella Vecchia l’assemblea per lo scioglimento, che non era neanche annunciato in maniera esplicita nell’ordine del giorno, ma è stata

costellata da così numerose violazione dello statuto che chiunque abbia interesse e titolo può ottenerne rapidamente l’annullamento.
Con la abituale superficialità i vertici della Napoletana (il presidente Enzo Colimoro, il segretario Cristiano Tarsia e il tesoriere


Eduardo De Filippo in un quadro di Paolo Ricci

Filiberto Passananti) hanno pensato che eventuali problemi potevano essere risolti con la presenza di un notaio e così all’assemblea, durata oltre due ore, ha partecipato Chiara D’Ambrosio, notaio con studio a piazza dei Martiri.
Vediamo ora soltanto alcune delle violazioni dello statuto. La convocazione, dice lo statuto, va fatta “con comunicazione diretta e a mezzo della stampa quotidiana”, passaggi che non sono stati rispettati. Gli iscritti al 31 dicembre 2013 erano 870, al 31 marzo crollano a 74, mentre hanno preso parte all’assemblea venticinque giornalisti. Ai presenti è stata distribuita una strisciolina di carta per votare sì o no allo scioglimento dell’Assostampa. E il notaio ha proclamato l'esito del 'referendum' con l’unanimità a favore della ‘sepoltura’ del sindacato, senza però rispettare l’iter fissato dallo statuto.
Lo scioglimento può essere chiesto “da un quinto dei soci, ma non si intenderà deliberato se non avrà il voto di due terzi dei soci professionali consultati mediante referendum”. Devono perciò partecipare al referendum tutti gli iscritti e non solo i presenti all’assemblea, altrimenti in un’assemblea con tre giornalisti presenti la chiusura del sindacato potrebbe essere decisa da due persone. Per di più il notaio non è stato messo in condizione di verificare se i presenti fossero davvero iscritti, tanto è vero che, ad esempio, ha partecipato al voto il professionista Gianni Russo che si è dimesso dal sindacato a dicembre. Senza contare che probabilmente nessuno dei votanti ha pagato la quota del 2014. Quindi la clamorosa conclusione. Il notaio ricorda, che a norma di statuto, in caso di scioglimento dell’Associazione, “si


Alfredo Beatrice (*) e Paolo Ricci (**)

procederà alla sua liquidazione per opera di una commissione di tre membri nominati dall’assemblea”. La commissione non è invece necessaria se non ci sono soldi, né beni mobili. Il tesoriere comunica che in cassa ci sono 38 euro e 375 sul conto corrente e,

confortato dagli altri dirigenti, fa sapere che tra sedie e scrivanie si arriva a stento a un valore di duemila euro. Chiara D'Ambrosio, sicuramente in buona fede ma altrettanto certamente un po’ avventata, chiede cosa deve scrivere. Le viene suggerito di annotare nel verbale che ci sono beni mobili di scarso valore per cui non è necessaria la nomina della commissione liquidatrice.
Il notaio, soprattutto in presenza di creditori grandi e meno grandi, avrebbe invece dovuto insistere per verificare con cura l’inventario dei beni. Insieme a tavoli, scrivanie, sedie, macchine per ufficio ci sono di sicuro tre computer e due televisori a grande schermo. “E non dimentichiamo – ricorda un cronista da anni in pensione - i quadri e il busto in bronzo di Matilde Serao firmato dallo scultore Lorenzo Recchia. A mia memoria ci sono certamente opere di dimensioni medio-grandi dell’irpino di Fontanarosa Alfredo Beatrice, del partenopeo Vincenzo La Bella e di Paolo Ricci, natali barlettani, ma una vita intera spesa a Napoli. In particolare di Ricci c’è un ritratto su fondo blu e grigio di Eduardo De Filippo”.
Poche righe per le relazioni prolisse ed evanescenti del presidente e del tesoriere. Colimoro, presidente dal 2007 e nei sei anni precedenti segretario con presidenti prima Franco Maresca e dall’ottobre 2002 Gianni Ambrosino, si è concentrato sui tre milioni e mezzo dovuti al comune di Napoli per spiegare che la voragine nasce in anni lontani quando erano altri a governare l’associazione. Si è avventurato a definire la sua gestione “correttissima, virtuosa e trasparente”, dimenticando alcuni passaggi. 

Ne citiamo tre. La sistematica violazione della scadenza biennale delle elezioni che dal 1985 è diventata triennale. L’obbligo di presentazione a gennaio di ogni anno del bilancio di previsione e del conto consuntivo che nei sei anni di presidenza Colimoro non è mai stato


Eduardo De Filippo (**) e Matilde Serao (***)

rispettato. Il buco di 61mila euro nel trattamento di fine rapporto dei tre dipendenti (Bruno Izzo, Donatella Pappalardo e Paola Spinelli) che il presidente in carica attribuisce ai mancati versamenti di chi lo ha preceduto.
Altrettanto fumoso il tesoriere che non ha presentato un bilancio, ma ha letto cifre sparse con i saldi, attivi e passivi, dei suoi sei di gestione. 
Un sindacato oggi ridotto a un numero di iscritti da bocciofila (su una platea regionale che conta al 31 marzo 1.540 professionisti e 10.486 pubblicisti) è davvero piccola cosa, ma la sua ridicola liquidazione, pur avendo alle spalle una storia che ha superato i cento anni, e la sua clamorosa radiazione decisa il 4 marzo dall Federazione della stampa meritavano qualche riga almeno sui quotidiani napoletani. Invece c’è stato il silenzio, con l’eccezione apprezzabile del Mattino di Alessandro Barbano che ha riservato alla fase conclusiva della vicenda un articolo sul cartaceo e un servizio sulla versione on line.
Chiudiamo con un colpo di scena. Il giorno dopo l’assemblea di scioglimento il presidente dell'Assostampa ha chiesto di incontrare il direttore di Iustitia.
In un bar del Vomero ha ribadito la difesa della sua gestione e ha ascoltato le numerose perplessità per un’assemblea, nonostante la presenza del notaio, con ripetute violazioni dello statuto. Ha concluso la chiacchierata dicendo ”con il sindacato ho chiuso, mentre all’Inpgi (è fiduciario per la Campania, ndr) e all’Ordine (è consigliere regionale, ndr) rimango in trincea”.
In serata, due ore dopo l’incontro, Colimoro, insieme al tesoriere, ha inviato a Iustitia una lunga nota per dire che, dopo essersi consultato con il notaio e visti i contrastanti orientamenti giurisprudenziali sul raggiungimento del quorum e la “delicatezza della delibera da assumere”, convocherà una nuova assemblea per decidere sullo scioglimento della Associazione napoletana della stampa.


(*) Da www.alfredobeatrice.it
(**) Da www.civita.it
(***) Da www.enciclopediadelledonne.it