Messaggero, Barbano
dura soltanto 31 giorni

IL 26 LUGLIO, nel giorno di sant’Anna, Alessandro Barbano compie 63 anni ma dimostra di non avere ancora capito fino in fondo le vicende che gli sono capitate negli ultimi anni.
Nel pomeriggio del 3 giugno ha incontrato negli uffici di piazza Barberini il suo editore Francesco Gaetano Caltagirone che gli ha comunicato di averlo licenziato esattamente 31 giorni dopo la pubblicazione del suo fondo di insediamento al vertice del Messaggero.
L’editore ha affidato la sua poltrona a Guido Boffo, torinese di 54 anni, attuale vice direttore, mentre il capo della redazione politica Barbara Jerkov, romana, 57 anni, viene promossa vice direttore e rientra a via del Tritone come direttore editoriale Massimo Martinelli, il direttore

andato in pensione lo scorso 30 aprile.
La notizia del licenziamento di Barbano è stata subito lanciata dal sito Dagospia e il giorno successivo se ne

Francesco Gaetano Caltagirone

sono occupati diversi quotidiani. Per Antonio Fraschilla di Repubblica le spiegazioni della cacciata sono due: “un editoriale non gradito perché troppo europeista e critico nei confronti di Giorgia Meloni e Matteo Salvini”; non avere accettato di fare un’intervista con domande e risposte scritte alla presidente del consiglio. Sono le stesse motivazioni che elenca Giacomo Salvini, il capo del Politico del Fatto Quotidiano.
Il Messaggero si limita a un ‘Comunicato dell’editore’ di undici righe gelide che si chiudono con “termina oggi la direzione di Alessandro Barbano”. Caltagirone non è mai stato un campione di cortesia e, forse, di educazione ma ha ritenuto di non fare neanche i ringraziamenti di rito al direttore uscente e gli ha impedito di scrivere un saluto ai lettori.
Anche la prima agenzia giornalistica italiana dà soltanto spazio alle undici righe dell’editore. Stessa scelta fanno i vertici del Mattino, preoccupatissimi di non irritare Caltagirone, che piazzano la nota dell’editore in chiusura dell’ultima pagina del giornale che pure Barbano ha diretto dal dicembre 2012 al giugno 2018.
L’esperienza al Mattino si concluse improvvisamente il primo giugno del 2018 quando venne cacciato, anche in quel caso con modi spicci, da Caltagirone stufo di un direttore che non si allineava ai suoi ordini su tanti fronti: l’organico e gli investimenti che l’editore era deciso a tagliare, editoriali spesso critici con il governo, il cambio di sede con l’addio dopo oltre cinquanta anni alla sede di via Chiatamone, la nuova grafica che avrebbe consentito di inondare Napoli di pagine realizzate dal Messaggero. Tutti nodi, tranne la questione della sede, che si sono riproposti nel breve mese della nuova direzione romana come ha

Azzurra Caltagirone

documentato con due servizi accurati Professione Reporter, il sito presieduto da Vittorio Roidi con direttore e coordinatore Andrea Garibaldi.

Quando è arrivato – racconta uno dei redattori ‘anziani’ di via del Tritone – è stato accolto benissimo dai giornalisti tanto da raccogliere al gradimento 85 voti su 86, anche perché dopo molti anni di direzioni tribolate con Virman Cusenza, dal dicembre 2012 al luglio 2020, e Massimo Martinelli, dal luglio 2020 all’aprile scorso, si è subito creato in redazione un clima sereno e fattivo. Una stima ribadita anche nel documento votato dall'assemblea dopo il licenziamento. Il plebiscito però deve averlo gasato troppo perché non ha colto segnali di allarme emersi sin dal suo esordio. Se Barbano, che avrà contrattato con l’editore le condizioni della sua direzione, chiede un aumento di organico, con una assunzione al Politico, e un aumento di foliazione e incassa soltanto il silenzio di Caltagirone deve capire che qualcosa non funziona”.
Invece è andato avanti per la sua strada pubblicando notizie urticanti per Giorgia Meloni come i 134mila euro spesi per riportare in Italia con un volo di Stato Chico (Enrico) Forti, condannato negli Stati Uniti per omicidio. Una libertà impensabile, e insopportabile, per un giornale oggi tutto appiattito su Fratelli d’Italia.
Tre considerazioni finali. È stato sgradevole l’esordio di Guido Boffo, che, a rimarcare un clima di restaurazione, ha detto ai giornalisti “ora ripartiamo dal 30 aprile”, soltanto in parte mitigato dall’ultima riga dell’editoriale di esordio del 5 giugno: “al mio predecessore la gratitudine per il percorso compiuto insieme”. Boffo ha anche partecipato all’assemblea sul licenziamento del direttore allontanandosi prima del voto.
La seconda. È evidente che Barbano esce massacrato dal licenziamento ‘brutale’ che, per la seconda volta, gli ha inflitto Caltagirone. Ma questa vicenda ha un altro clamoroso sconfitto: Azzurra Caltagirone, la ‘pupilla’ del papà, con numerosi incarichi di vertice nel Gruppo Editoriale (tra gli altri è amministratore delegato del Messaggero), che aveva puntato su Barbano e che poi non era d’accordo sulla ‘cacciata’ lampo. I fatti però hanno dimostrato che a 51 anni compiuti a marzo ancora non tocca palla con un padre padrone che a 81 anni suonati ha

ancora la maggioranza assoluta del Gruppo Editoriale.
Chiudiamo con Barbano convinto di essere tornato a Roma per fare il direttore libero.

Giorgia Meloni e Chico Forti

Ha così dimostrato di non avere ancora capito il suo editore e di non essersi accorto che con gli anni è peggiorato. Gli amici di via del Tritone gli avranno raccontato le voci secondo le quali le pagine del giornale erano spesso ferme in attesa che arrivasse il verde da piazza Barberini. Caltagirone non è soltanto un padrone arrogante ma, in alcuni casi, vuole fare anche il direttore. Basta ricordare che ha scritto in prima persona il ‘peana’ per Silvio Berlusconi defunto e il ricordo di Paolo Graldi.
Barbano ha però una freccia nel suo arco: il contratto firmato con il Messaggero. Se è solido potrà ottenere una ricca buonuscita perché altrimenti un uomo riservato come Caltagirone dovrà spiegare a un magistrato in un’aula di tribunale i motivi delle sue decisioni.