"Gestione vergognosa"
di Fnsi e di Assostampa

IL 4 MARZO, nella sala Walter Tobagi della Federazione della stampa, il consiglio nazionale, con 44 voti favorevoli, un astenuto e nessuno contrario, ha deciso la radiazione dell’Associazione napoletana della stampa. Si tratta di una decisione improvvisa e gravissima, adottata per la prima volta nella storia ultracentenaria del sindacato italiano. L'accelerazione ha una spiegazione: la Fnsi cerca di stoppare l’azione dell’avvocato del comune di Napoli Stefano Cianci che, dovendo incassare, con sentenza della Corte di cassazione, dal sindacato dei giornalisti campani tre milioni e mezzo di euro, ha avviato un

pignoramento presso terzi indirizzato all’Inpgi e alla Casagit che versano per fornitura servizi 190mila euro all’anno alla Napoletana, come del resto con quote diverse a tutti i sindacati regionali dei giornalisti. Per raccontare la sepoltura della Napoletana partiamo


Giovanni Rossi e Franco Siddi
dalle parole utilizzate venti giorni fa dal presidente della Fnsi Giovanni Rossi per mettere a tacere il capo dei pubblicisti campani Domenico Falco: “i pubblicisti governavano durante quella gestione vergognosa del circolo della stampa”.
Giovanni Rossi e il numero uno della Fnsi, il segretario Franco Siddi, non sono new entry del sindacato dei giornalisti italiani, da venti anni occupano posizioni di vertice ed erano a conoscenza della “gestione vergognosa del circolo”, con alcuni esponenti del gruppo dirigente degli organismi campani di categoria (sindacato, circolo e Ordine) che hanno fatto sparire oltre un miliardo di lire. E negli anni successivi Siddi e Rossi e i loro predecessori hanno assistito a una conduzione dell’Assostampa partenopea portata avanti violando con regolarità tutte le indicazioni dello statuto (durata del mandato, convocazione delle assemblee, presentazione dei bilanci), senza contare i debiti accumulati in varie direzioni, e tra queste la stessa Fnsi. C’è quindi da domandarsi: che cosa hanno fatto per arginare la gestione fallimentare da un punto di vista politico sindacale e ‘etico’ della Napoletana? Eppure gli strumenti per intervenire c’erano se venti giorni fa è scattato un improvviso decisionismo su cui poi farà, eventualmente, luce la magistratura.

La radiazione

Torniamo al rito della sala Tobagi, aperto dalle relazioni brevi di Siddi e Rossi e da qualche precisazione del direttore della Federazione Giancarlo Tartaglia. Per la Campania sono presenti ‘l’imputato’ Enzo Colimoro, presidente dell’Assostampa, i consiglieri nazionali Gianni Russo, professionista, e i pubblicisti Domenico Falco e Elia Fiorillo; hanno deciso invece di disertare l’esecuzione i professionisti Massimo Calenda, Anna Maria Chiariello e Paolo Grassi.
Imbarazzante il dibattito che è seguito. Da una parte un autolesionista Colimoro, dal 2001 al 2007 segretario e dal 2007 ad oggi presidente dell’Associazione napoletana della stampa, che ha tentato di difendere


Stefano Cianci e Giancarlo Tartaglia

l’indifendibile (è arrivato a sostenere che sia lui che il suo precessore al vertice della Napoletana, Gianni Ambrosino, non avevano alcuna responsabilità) e ha chiesto la distribuzione a tutti i consiglieri di una copia della sentenza della Corte di cassazione, ottenendo l’unico risultato

di rendere più documentate e violente le critiche dei rappresentanti delle altre regioni. Dall’altra esponenti di alcune associazioni del nord, tra questi l’emiliano Marco Gardenghi, che hanno scatenato un clima da curva, con attacchi anche molto aspri e in alcuni casi di sapore leghista; non a caso qualcuno si è spinto a proporre per i sindacalisti napoletani, ripetiamo indifendibili, il ‘Daspo’, che, traduciamo per chi non si occupa di calcio, è l’acronimo di ‘divieto di accesso alle manifestazioni sportive’. Una sorta di ostracismo a tempo indeterminato per cancellare i dirigenti del passato e quelli in carica dal consesso nazionale, con una regione come la Campania, per popolazione la seconda d’Italia dopo la Lombardia, cancellata dalla geografia del sindacato. Ipotesi peraltro molto concreta perché se, come sembra probabile, per il prossimo congresso nazionale si andrà a votare a dicembre 2014, a norma di statuto la Campania, con undicimila giornalisti tra professionisti e pubblicisti, non potrà presentare candidati perché l’Assostampa è fuori dalla Fnsi.
Flebili invece le voci critiche nei confronti dei dirigenti federali e nessuna richiesta di individuare le responsabilità dei sindacalisti campani, a cominciare da chi ha intascato il bottino del circolo della stampa, e dei sindacalisti nazionali che ai napoletani hanno garantito per decenni piena copertura.


Il nuovo sindacato

Nella mattinata del 28 febbraio a Napoli, seguendo pedissequamente le modalità e i tempi dettati da Giovanni Rossi nella riunione tenuta alla Fnsi il 13 febbraio, quattro giornalisti si sono recati a piazza dei Martiri nello studio del notaio Chiara D’Ambrosio per fare nascere “una associazione non riconosciuta denominata ‘Sindacato dei giornalisti della Campania’, che non ha finalità di lucro (aggiunta particolarmente opportuna, ndr)”, con allegato statuto. Come chiesto da Rossi per marcare una discontinuità dalla vecchia associazione radiata, il ruolo di guida del sindacato non è più affidato al

presidente, ma al segretario.
I giornalisti ‘fondatori’ sono: per i pensionati l’ex Mattino Armando Borriello indicato dal gruppo guidato da Colimoro, Ermanno Corsi e Lino Zaccaria; Marcello Curzio designato da Colimoro,


Enzo Colimoro e Marco Gardenghi

Corsi e Zaccaria; il cronista del Roma Claudio Silvestri, proposto dalla componente che fa capo al presidente dell’Ordine regionale Ottavio Lucarelli; il pubblicista Alessandro Sansoni, il cui nome è stato fornito da Domenico Falco, leader dei pubblicisti campani. Borriello è il segretario provvisorio, con gli altri vice. E c'è da chiedersi dove sia la "discontinuità".
Entro sessanta giorni dal 28 febbraio i fondatori devono tenere un’assemblea dei soci (la quota di iscrizione è stata fissata in novanta euro all’anno), che "nominerà" il consiglio direttivo composto, come prima, da otto professionisti e un pensionato, mentre i pubblicisti passano da due a tre, il collegio dei sindaci e il collegio dei probiviri. La sede è al Vomero Alto, negli uffici della Oikos, l’associazione culturale guidata da Sansoni.


La Fnsi

Ora lasciamo Napoli e torniamo a Roma. Parlavamo all’inizio di  “gestione vergognosa” e in qualche modo ne devono essere convinti anche a corso Vittorio Emanuele, nella sede della Federazione della stampa, altrimenti non si spiega il silenziatore messo all’intera operazione.
Non si sono letti lanci di agenzia o articoli dei giornali, ma soltanto qualche isolata vocina sui social network. Immaginate cosa sarebbe successo se la Cgil o la Cisl avessero deciso di radiare l’intero gruppo dei propri dirigenti del Lazio o dell’Emilia Romagna. Invece tutti zitti, maggioranza e opposizioni, associazioni del nord e associazioni del sud, arroccati in difesa del tesoro dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, e della Casagit, la cassa autonoma di assistenza integrativa, che potrebbe correre qualche rischio se


Gianni Ambrosino e Ermanno Corsi

finisse sotto la lente di qualche magistrato curioso e indagatore.
Ma un altro punto alto della “vergognosa gestione” è stato raggiunto quarantotto ore dopo la radiazione della Napoletana quando i vertici della Fnsi hanno diffuso un comunicato

davvero singolare sui lavori del consiglio nazionale del 4 marzo. Con una nota immediata l’ex inviato di esteri del Corriere della sera Massimo Alberizzi, leader della componente sindacale di minoranza Senza Bavaglio, ha ridicolizzato il testo federale, definendolo “un mostro grammaticale e semantico”. Ma al di là delle perplessità che provoca un sindacato dei giornalisti che, usando la lingua italiana, “partorisce mostri”, c’è da evidenziare un fatto ancora più grave: nel comunicato la decisione storica di radiare un’associazione regionale non viene neanche citata.

L'Inpgi

Nell’azzeramento della Napoletana anche il presidente dell’Inpgi Andrea Camporese ha svolto con rapidità la sua parte. Il 26 febbraio ha indirizzato raccomandata, anticipata via fax, al “segretario (in realtà è presidente, ndr) dell’Associazione napoletana della stampa” Enzo Colimoro e a Franco Siddi per comunicare la “risoluzione della convenzione Inpgi/Fnsi e Associazione napoletana della stampa”.
Segue un testo breve e chiaro: “facendo seguito alla nota trasmessa in data 10 gennaio 2014, con cui è stata chiesta la rendicontazione contabile delle spese 2013 onde consentire la determinazione del contributo a carico dell’Inpgi per l’anno in corso, e al relativo sollecito del 17 febbraio 2014, le rappresento che a tutt’oggi lo scrivente istituto non ha avuto alcun riscontro”. Traduzione: Colimoro non è stato in grado di spiegare come ha speso i 145mila euro incassati nel 2013 dall’Istituto di previdenza e del resto se non presenta i bilanci da anni, i soldi, non soltanto dell’Inpgi ma anche della Casagit e delle quote degli iscritti, li spende come meglio crede.
Inevitabile la conclusione di Camporese: “come, peraltro, già anticipatole con la precedente del 14 febbraio scorso, l’omessa presentazione di detti dati costituisce grave inadempimento contrattuale che non consente la prosecuzione, nemmeno provvisoria, della convenzione in oggetto. Con la

presente pertanto l’Inpgi, per mio tramite, comunica, ai sensi di legge e di convenzione, formale disdetta della convenzione in essere, con effetto immediato”.
Tralasciamo altri commenti su Colimoro che una settimana dopo aver ricevuto la lettera,


Massimo Alberizzi e Andrea Camporese

continuava a ripetere alla sala Tobagi che sia lui che il suo predecessore Gianni Ambrosino erano indenni da responsabilità. C’è invece da sapere da Camporese, così come dal presidente della Casagit Daniele Cerrato, che gestiscono contributi versati dai giornalisti italiani se negli anni precedenti i rendiconti sono stati presentati. In caso contrario andrebbe ipotizzato un sostanzioso regalo all’avvocato Cianci che, per conto del sindaco di Napoli Luigi De Magistris, ha fatto venire alla luce una gestione marcia che va avanti da decenni con responsabilità dei dirigenti romani non inferiori alle responsabilità dei dirigenti napoletani.
Ci sono ancora due questioni sulle quali sarà bene che Camporese faccia chiarezza. La prima. L’istituto di previdenza intende andare avanti per sapere che dove sono finiti i 145mila euro del 2013 e le centinaia di migliaia di euro degli anni precedenti o la linea sarà “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato” e chiudiamo tutto con la “formale disdetta della convenzione”.
La seconda questione. Al primo febbraio i giornalisti campani iscritti all’Inpgi 1 (giornalisti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e subordinato) sono 1947, di cui 177 pensionati; quelli iscritti all’Inpgi 2 (lavoratori autonomi) sono 2005; 746 sono iscritti all’Inpgi 1 e 2. In totale i giornalisti campani iscritti all’Inpgi sono 3206. A loro Camporese darà la notizia, con lettera individuale, che è cessato il rapporto con la Napoletana e quindi l’Inpgi non tratterà più dalla retribuzione la quota relativa al contributo sindacale? 
Con il taglio della Napoletana il presidente dell’Inpgi ha poi davanti un altro problema: l’immediata riorganizzazione a Napoli dei servizi per i 3206 iscritti. E dovrà discuterne con il fiduciario Inpgi regionale. E sapete chi è il fiduciario dell’istituto in Campania? Enzo Colimoro.