Fatto fuori Cusenza,
Martinelli è direttore

NEL POMERIGGIO DEL 6 luglio la Caltagirone Editore ha fatto sapere che Virman Cusenza non era più il direttore del Messaggero e sulla sua poltrona veniva insediato Massimo Martinelli, uno dei tre vice del quotidiano di via del Tritone.
Tutti i siti hanno scritto di decisione a sorpresa; non è vero perché Cusenza da giorni sapeva, era nervoso, ha cercato sponde per difendere la direzione ma non le ha trovate. Era al vertice del Messaggero dal 10 dicembre 2012 dopo quattro anni al Mattino dove era approdato nel

gennaio del 2008 (uno e mezzo da vice di Mario Orfeo e dall’agosto 2009 numero uno). Nel dopoguerra, con oltre sette anni e mezzo da direttore, Cusenza è stata la guida più longeva del primo

Azzurra Caltagirone e Lazzaro Pappagallo

quotidiano romano alle spalle dell’editore direttore Alessandro Perrone. Ma allora perché si è spezzato il feeling con la famiglia Caltagirone?
Professione reporter’, un sito attento alle vicende del Messaggero, fornisce cinque risposte, forse troppe: i contrasti con l’amministratore delegato Azzurra Caltagirone che spingeva per l’on line mentre il direttore insisteva sulla carta; il crollo delle copie vendute tra marzo e aprile, con risultati largamente inferiori agli altri quotidiani, sia nazionali che regionali; il nuovo taglio dei compensi ai collaboratori; la chiusura totale della sede di via del Tritone, scelta unica tra i principali giornali italiani; fortissime tensioni all’interno della redazione, con mobbing e ingiurie culminate nel luglio 2019 con il tentativo di “uno dei capi della cronaca di gettarsi dalla finestra, salvato per miracolo da un collega”.
È un fatto gravissimo. La situazione al giornale diventa incandescente: viene convocata un’assemblea e c’è una dura nota del comitato di redazione che scrive di “clima inaccettabile, incompatibile con il sereno svolgimento del lavoro quotidiano” e di “troppi problemi di salute dei colleghi per cause direttamente o indirettamente collegate a situazioni di stress” con almeno tre episodi gravi e in un caso la chiamata di un’ambulanza a via del Tritone. Arriva subito un comunicato del sindacato dei cronisti romani guidato da Pierluigi Roesler Franz e alla

Roberto Mostarda e Alessandro Perrone

ripresa di settembre Stampa romana, con il segretario Lazzaro Pappagallo, istituisce uno sportello antimobbing affidato al vice segretario Stefano Romita. In autunno

il consiglio di disciplina dell’Ordine del Lazio, presieduto da Roberto Mostarda, apre un fascicolo. Sarà interessante conoscere a quali conclusioni è arrivato e se verranno resi inoffensivi i protagonisti, o il protagonista, di atti di bullismo.
In ogni caso la rottura tra i Caltagirone, padre e figlia, e Cusenza è stata netta ma non violenta come è successo invece nel giugno del 2018 con la cacciata di Alessandro Barbano dal Mattino. Il saluto ai lettori dell'ormai ex direttore, dal titolo “Uno sguardo lungo otto anni”, è pacato con la rivendicazione del “raggiungimento di un record di durata nella storia di questo quotidiano”; altrettanto pacato il comunicato dell’editore che esprime “sincero apprezzamento per il lavoro svolto dal dottor Cusenza” .
Passiamo a Martinelli. Romano, cinquantotto anni, professionista dal 1990, figlio d’arte (il padre, Roberto, è stato numero due del Corriere della Sera e per decenni tra i primissimi cronisti della giudiziaria italiana) il nuovo direttore scrive i primi articoli per il Messaggero nel 1986, poi arriva l’assunzione e comincia la scalata con la promozione a vice capo servizio, poi capo servizio, quindi capo della cronaca e vice direttore. Quando Francesco Gaetano Caltagirone, editore del Tempo, compra il Messaggero (siamo nel giugno del 1996) Martinelli è una delle bestie nere perché ha più volte raccontato le sue vicende giudiziarie (compreso l'arresto nel novembre 1993), ma il ragazzo è sveglio e col

tempo riesce a conquistare la fiducia del ‘padrone’.
Sulla nuova guida del giornale è decisamente negativo il giudizio di un vecchio cronista. “Martinelli non ha

Giulio Anselmi (*) e Pietro Calabrese

cultura, non ha visione, non lo vedo come direttore ma a volte il ruolo cambia le persone. E poi appare inadeguato perché abbiamo avuto direttori come Giulio Anselmi e Pietro Calabrese ma parlo di tempi ormai lontani”.  Il 9 luglio si è presentato con un editoriale tranquillo ma ha modi bruschi (eufemismo) e rapporti con le donne non proprio improntati al femminismo (eufemismo); sarà interessante, dopo i fatti gravissimi di un anno fa, vedere come andrà il voto di gradimento. Anche su questo punto il vecchio cronista è scettico: “i redattori hanno paura; per di più il regolamento aziendale precisa che il voto deve avvenire al seggio o alla presenza di un notaio. Il voto sul direttore, per prassi ultradecennale si esprime con una scheda nell'urna. Invece all’ultima consultazione sull'accordo per lo stato di crisi è stato utilizzato il voto per email, un sistema che non dà garanzie sulla segretezza”.


(*) Da www.dagospia.com