|
 |
Zarrelli, tre condanne e
diciassette assoluzioni |
 |
IL 7 MARZO il giudice della quarta sezione civile del tribunale di Napoli Gabriella Bonavolontà ha chiuso il primo grado di giudizio del processo per diffamazione promosso dagli avvocati Mario e Ilaria Zarrelli, difensori di Domenico Zarrelli, prima condannato e poi assolto in maniera definitiva dalla Cassazione dall’accusa di essere l’autore della ‘strage di via Caravaggio’, avvenuta il 30 ottobre del 1975, in cui vennero uccisi i coniugi Domenico Santangelo e Gemma Cenname, e la figlia di Santangelo Angela.
Con un’ordinanza di tredici pagine il giudice esamina le posizioni dei venti soggetti citati (in gergo tecnico ‘resistenti’). Respinta la richiesta di |
incompetenza territoriale avanzata dai legali della Rcs Media Group e di Luciano Fontana, direttore del Corriere della sera, Gabriella Bonavolontà dedica parole molto dure, forse troppo dure, all’avvocato Mario Zarrelli, ottantacinque anni, che con sessantuno di professione è uno dei decani del foro di Napoli: “il ricorso si presenta sovrabbondante e ingiustificatamente ampio, redatto in spregio ai principi di sinteticità e chiarezza”; ancora, “il |
---(a).jpg) |
Luciano Fontana |
|
|
ricorso risulta eccessivamente generico nell’esposizione delle ragioni di fatto”; infine “va osservato che manca talvolta sia l’indicazione delle pubblicazioni sia l’individuazione dei passaggi, delle frasi e delle espressioni potenzialmente lesive”.
Nell’ordinanza viene esaminato il lavoro dei singoli giornalisti a cominciare dal cronista di giudiziaria dell’Ansa Vincenzo La Penna che “si limita a riportare, adoperando per di più il modo condizionale, le notizie così come rese dall’organo di polizia”.
E per quasi tutti gli autori dei servizi il giudice osserva “che sono stati rispettati tutti i limiti del diritto di critica, in quanto sussistono l’indubbio interesse ai fatti narrati da parte dell’opinione pubblica, la correttezza nell’esposizione dei fatti medesimi, e la corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati”.
Soltanto in due casi “le espressioni utilizzate superano di gran lunga i limiti della continenza del linguaggio”. Il primo riguarda il settimanale Giallo, edito da Urbano Cairo e diretto da Andrea Biavardi, con una |
 |
Giuseppe Crimaldi e Vincenzo La Penna |
|
diffusione certificata Ads di 108mila copie (dato luglio 2015) per il titolo dell’articolo ritenuto “diffamatorio”. Il secondo caso riguarda alcune frasi riportate sulla sua pagina Facebook dal cronista di giudiziaria |
|
del Mattino Giuseppe Crimaldi, che le ha tolte dalla rete diversi mesi prima che arrivasse la citazione. La vicenda di Crimaldi è singolare perché il magistrato ritiene che nel raccontare sul Mattino i fatti nuovi emersi sulla ‘strage di via Caravaggio’, così come nella redazione del libriccino pubblicato da Marotta&Marotta abbia svolto correttamente il lavoro di giornalista, mentre alcune delle espressioni pubblicate su Facebook “risultano senza dubbio lesive e offensive della reputazione e dell’onore del ricorrente”.
Pur essendo molto diversi i media usati e non comparabile la loro diffusione, il giudice ha condannato Cairo e Biavardi da un lato e Crimaldi dall’altro al pagamento della stessa cifra, 10mila euro, in favore di Zarrelli oltre a 2300 euro di spese legali. Ma ha anche condannato Zarrelli al pagamento delle spese processuali, liquidate in mille euro, a favore di tutte le parti che hanno esercitato correttamente il diritto di cronaca. |
 |
|