11.05.2003
E se Cattaneo
facesse uno stage
a New York?
di Franco Carlini
Il New York
Times insegna
come si fanno
le inchieste
interne alle
testate giornalistiche.
Rispettando
le regole e
anche allontanando
i reporter scorretti.
I giornalisti,
e ovviamente
anche quelli
del Tg3, devono
rispondere dei
loro comportamenti:
alla proprietà
e soprattutto
al loro pubblico.
Su questo non
c'è dubbio.
Ma come indagare
su di loro,
quando emerga
il sospetto
di comportamenti
non deontologici?
Nel caso del
Tg3 il sospetto
era stato avanzato
dal Presidente
del Consiglio
Silvio Berlusconi,
il quale aveva
adombrato -
senza fornire
peraltro alcun
elemento - la
possibilità
che il giovane
che lo aveva
contestato ad
alta voce nei
corridoi del
tribunale di
Milano, fosse
d'accordo con
il Tg3 e che
questo telegiornale,
di conseguenza,
avesse collaborato
a creare la
notizia.
Anche in passato
si sono verificati
(non alla Rai)
dei casi di
troupe giornalistiche
che avevano
invitato delle
persone a "recitare"
una scena, per
esempio un tentato
furto, in modo
da poterla riprendere
dal vero.
In casi del
genere non c'è
dubbio che si
tratti di violazione
della deontologia
professionale
e della correttezza
dell'informazione.
Un'altra critica,
avanzata da
più parti
politiche, riguardava
il rilievo della
notizia, che
il Tg3 ha ritenuto
di mettere in
apertura, mentre
altre testate
si sono comportate
diversamente
o persino all'opposto,
occultandola.
Questa seconda
contestazione
riguarda la
linea editoriale
delle testate
e i criteri
adottati da
ogni direttore
a proposito
della notiziabilità.
Ma sul fatto
che si trattasse
di una notizia
non c'è
dubbio, così
come lo era
la torta in
faccia ricevuta
qualche anno
fa da Bill Gates:
tutte le televisioni
le diedero grande
rilievo e Bill
Gates non ebbe
mai a lamentarsene.
Certamente un
editore che
non apprezza
la linea editoriale
di un direttore
può sostituirlo,
ma finché
se lo tiene,
deve accettarne
le scelte. Non
ci sono in chieste
interne da fare,
né ispezioni.
Il direttore
generale della
Rai ha affidato
il compito di
svolgere gli
accertamenti
al servizio
di auditing
interno, che
ha intervistato
(interrogato)
direttore e
giornalisti.
In questo ha
sbagliato e
clamorosamente;
forse per scarsa
conoscenza del
mondo dell'informazione,
forse per malizia,
qui non importa.
Dovrebbe riconoscerlo
pubblicamente,
sarebbe un bel
gesto.
Il modo giusto
di condurre
indagini del
genere ce lo
ricorda il New
York Times:
quando è
emerso il sospetto
che un giovane
reporter di
26 anni, Jayson
Blair, avesse
"fabbricato"
un suo servizio,
la direzione
ha incaricato
uno staff di
colleghi di
rileggere e
controllare
tutti gli articoli
da lui scritti
negli ultimi
mesi.
Questi hanno
chiamato tutte
le fonti citate
e verificato
ogni riga. Hanno
parlato con
i colleghi che
avevano lavorato
con lui e hanno
controllato
le sue chiamate
telefoniche
e le note spese
di viaggio,
"entro
i limiti della
legge che riguarda
i dati personali
dei dipendenti".
Ne è
risultato, purtroppo,
che almeno 36
articoli scritti
da Blair erano
stati plagiati
da altre fonti
e/o contenevano
informazioni
inventate o
non accurate.
Blair è
stato dimesso
12 giorni fa.
Il giornale
ha condotto
il tutto nella
massima trasparenza
e i risultati
della revisione
dell'attività
di Jayson Blair
sono disponibili
a tutti, con
le scuse ai
lettori. Li
si può
leggere sul
sito Internet
del quotidiano:
"Times
Reporter Who
Resigned Leaves
Long Trail of
Deception",
11 maggio 2003.
Sullo stesso
sito tutti gli
articoli di
Blair in archivio
sono ora accompagnati
da un'avvertenza
sulla loro inaffidabilità,
a futura memoria,
e "i lettori
che abbiano
informazioni
su altri aricoli
di Jayson Blair
che possano
essere falsi
in tutto o in
parte sono pregati
di scrivere
per e-mail a
retrace@nytimes.com".
C'è di
che imparare
dal giornalismo
anglosassone,
una volta ancora.
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