Spese legali superiori agli incassi

Se c’erano dubbi sui contenuti “diffamatori” del libro 'il Casalese' (biografia non autorizzata di Nicola
Cosentino
, ex sottosegretario all’Economia, da quasi tre anni agli arresti per collusione con il clan dei Casalesi) l’ennesima sentenza di assoluzione, questa volta riservata al giornalista Massimiliano Amato, è tornata a dissiparli. Puntualità e attendibilità di un’articolata inchiesta giornalistica riservata all’ex uomo forte del partito di Berlusconi in Campania (256 pagine di un libro e 30 minuti di documentario) hanno trovato riscontro – qualora ve ne fosse stato bisogno – nelle decisioni assunte da ben cinque giudici: Giorgia Carbone, Luigia Stravino e Fabio Magistro, in sede civile; Egle Pilla e Marcello Rescigno (da ultimo), in quella penale.
Una soddisfazione che Pietro Valente, il patron della Cento Autori, la casa editrice che portò il volume in libreria, ‘pagherà’ staccando l’ennesimo assegno. Sì perché l’attuale normativa sulla diffamazione a mezzo stampa, oltre a rappresentare una sorta di bavaglio alla libertà di stampa, si conferma un pericoloso limite al diritto all’informazione. Un vero e proprio paradosso per una democrazia, che se da un lato non tutela la professione di chi fa informazione, dall’altro, non riserva alcuna punizione a chi cerca di ostacolare il lavoro del giornalista, con iniziative di carattere intimidatorio. La vicenda legata al libro 'il Casalese', sotto quest’aspetto, potrebbe rappresentare il più plastico degli esempi.
Pubblicato nel novembre 2011, il volume fu subito oggetto di una serie di aggressioni condotte per via giudiziaria: una strategia non nuova, per chi, in Italia, non gradisce pubblicità, per così dire negativa, su giornali e tivvù. Soprattutto se il personaggio oggetto delle attenzioni dei giornalisti occupa posizioni di potere.
Ma torniamo al 'Casalese' e alla sua storia giudiziaria. L’iniziativa divenuta più famosa è stata l’istanza di “ritiro dal commercio e la distruzione delle copie del libro”, avanzata, assieme alla richiesta di risarcimento per danni morali di 1,2 milioni di euro, da Giovanni Cosentino, il fratello imprenditore dell’ex sottosegretario all’Economia. Anche lui, vale la pena ricordarlo, finito nei guai per via delle sue amicizie ad alto rischio nella gestione della Aversana Petroli, la società di cui era amministratore. Alquanto singolare è subito apparsa anche la richiesta di “adozione di adeguate misure cautelari” nei confronti del giornalista che era incappato in un banale errore di omonimia (prontamente corretto nella successiva edizione del libro), avanzata da un altro fratello dell’ex deputato, Palmiro. Tutto ciò, negli stessi giorni in cui l’allora prefetto di Caserta si apprestava a firmare l’interdittiva antimafia per l’Immobiliare 6C, la società di cui Palmiro Cosentino era amministratore unico, e Nicola socio assieme agli altri fratelli e alla cognata Maria Diana.
E ancor più bizzarro si è dimostrato l’atteggiamento posto in essere da un pool di avvocati, difensori della famiglia Cosentino, che attraverso iniziative epistolari (o attraverso la loro stessa presenza) hanno ripetutamente tentato di dissuadere singoli o gruppi di persone, che nei mesi successivi alla pubblicazione del libro, intendevano organizzare o partecipare a conferenze stampa e presentazioni del volume. Insomma, una vera e propria valanga di querele e di citazioni, con richieste di risarcimenti a quattro, cinque e sei zeri, investiva nel breve volgere di poche settimane dall’uscita del libro l’editore e i nove autori (Massimiliano Amato, Arnaldo Capezzuto, Corrado Castiglione, Giuseppe Crimaldi, Antonio Di Costanzo, Luisa Maradei, Peppe Papa, Ciro Pellegrino, Enzo Senatore).  
A onor del vero, nella lista nera dei Cosentino & Co., finivano anche Gianni Cerchia e uno stupito tipografo, rispettivamente rei di aver firmato la postfazione e di aver stampato il libro. E anche un fantomatico (quanto inesistente) “direttore responsabile”, di cui – ovviamente - non si è mai trovata traccia.
Ma al di là degli aspetti giudiziari di una vicenda ancora lontana dal potersi dire conclusa - per 'il Casalese' restano in piedi un processo penale e una richiesta di risarcimento danni di cinquantamila euro, per i quali gli avvocati della Cento Autori (Gianfranco Mallardo, Federico Barbatelli, Marco Epifania, Marino Maffei e Guido Giardino) si dicono fiduciosi - è lecito chiedersi perché certe inchieste che aiuterebbero a rendere meno diversi tra loro gli italiani, trovano sempre meno spazio nelle pagine dei giornali e, stando in tema, nei cataloghi delle case editrici? È soltanto una questione di servilismo italico, o anche di portafoglio?
Cominciamo col dire che gran parte dei nove autori del “Casalese” sono giornalisti precari. Privi quindi di quelle garanzie minime che, all’interno di un giornale, vengono (ma sarebbe più giusto forse dire venivano) riservate al cronista oggetto di azioni giudiziarie temerarie. Azioni, che al di là di quello che sarà l’esito, comunque comportano l’iniziale esborso di un bel po’ di soldi. Un rischio che, per il capitolo spese, l’editore del ' Casalese' si è sentito in dovere di fare proprio. Conscio anche del fatto che non poteva chiedere a una persona di andare incontro ad una corazzata armato di una fionda. Sì perché all’epoca dei fatti Nicola Cosentino era uno degli uomini più potenti del Paese, con un incarico di sottosegretario all’Economia con delega al Cipe e coordinatore regionale del Pdl, il primo partito della Campania. Un rischio troppo alto per un giornalista, che diventava ancor maggiore per un 'non garantito'. Comportarsi diversamente sarebbe stato come rinunciare all’inchiesta.
Ma perché un’inchiesta su Nicola Cosentino? A dire il vero a proporla (e a coordinare poi il lavoro dei nove giornalisti) fui io. Non fosse altro perché di quel potere – ma non solo di quello – avevo un’idea assai precisa. Per certi versi simile all'idea che, quarant’anni prima, aveva spinto Percy Allum a scrivere “Potere e società a Napoli nel dopoguerra”. Anch’io, come il sociologo britannico, ero interessato a capire e spiegare i meccanismi del potere e del governo in una regione che è uno dei più interessanti e controversi laboratori politici contemporanei.
Una regione che, all’epoca dei fatti, aveva un parlamentare su tre indagato dalla magistratura o, peggio ancora, sul quale gravava una richiesta d’arresto; che aveva demandato a un politico dal passato oscuro e dal linguaggio approssimativo come Luigi Cesaro, la guida della Provincia di Napoli; che, con il business dei rifiuti, continuava a sprofondare nella più fetida delle emergenze; che, assai peggio di Caligola che nominò senatore il suo cavallo, aveva trovato il modo di affidare ad una schiera di nani, ballerine e saltimbanchi (per usare una terminologia circense) le sorti di paesi e città.
Paradigma di quell’universo dove la storia aveva assunto la stessa andatura del gambero era proprio Nicola Cosentino. La stessa persona che, nel settembre 2008, Gaetano Vassallo, ministro dei rifiuti per conto del clan dei Casalesi, accusava di aver avuto un ruolo di primo piano nel criminale progetto di riciclaggio dei rifiuti tossici. In queste molteplici vesti, Cosentino diveniva espressione di un universo scandito da più ombre che luci, dove la politica si era (ed è) trasformata in qualcosa di assai meno comprensibile dei “Schüttbilder” di Hermann Nitsch, e la meritocrazia appariva un miraggio evanescente partorito per confondere la realtà.
Così è nato un libro che ha voluto raccontare l’essenza del potere. Quel potere che, indipendentemente dalla casacca che ha indossato, continua a tenere in ostaggio milioni di cittadini onesti. Che è sceso a patti con la camorra e con i signori della finanza. E in generale, con chiunque rappresentasse un potere più grande del suo.
E allora, perché lavori come “il Casalese” suscitano così poco entusiasmo tra gli editori di libri e di giornali? La risposta è semplice: portare avanti un’inchiesta costa tempo e soldi; il successo non è garantito a differenza dei rischi che sono comunque assicurati.
Meglio dunque scrivere dell’Isola dei famosi o dell’ultima fiamma di Belen: costa poco e non si rischia quasi niente. È questa l’informazione vincente. Quella che da almeno due decenni spopola nelle case degli italiani. E allora, non c’è da stupirsi se un giovane al quale viene chiesto di Enrico Berlinguer, risponde che è stato un leader nord-coreano, correggendo l’amica che l’aveva scambiato per un famoso cuoco.
A volte mi chiedo se ho reso un buon servigio all’editore per il quale lavoro che per pubblicare 'il Casalese' ha speso molti più soldi di quelli che ha incassato dalla vendita del libro. Nonostante tutto lui lo considera un buon investimento, che – sia ben chiaro - è qualcosa di diverso, di molto diverso, da un buon affare.

Nico Pirozzi
Direttore editoriale della collana “Fatti&Misfatti”
della casa editrice Cento Autori

 
Nicola Cosentino
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Pietro Valente
Arnaldo Capezzuto
Luisa Maradei
Peppe Papa
Gianni Cerchia
Gianfranco Mallardo
Federico Barbatelli
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Percy Allum
Nico Pirozzi