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Per Telecom
terza condanna |
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SQUILLA A NAPOLI un piccolo campanello d’allarme per Michele Santoro che il 9 giugno nel salutare il pubblico di Anno zero ha detto: “non voglio andare in onda sulle reti Rai perché l’ha deciso un giudice”. Se, come sembra probabile, il nuovo approdo sarà La7, l’emittente di proprietà di Telecom Italia (TI) Media, il conduttore di Anno Zero dovrà prestare molta attenzione; a Napoli infatti Telecom Italia, la società presieduta da Franco |
Bernabè, che detiene il 77 per cento di Telecom Italia Media, non dà esecuzione alle sentenze.
L’ha finora sperimentato in prima persona Bianca D’Amato, dal ’97 in Tim (è del 2006 la fusione con Telecom) con l’incarico di relation manager, unica giornalista professionista |

Giuseppe Marziale e Michele Santoro |
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tra i sette che occupano il suo ruolo in Italia. Nel 2005, pochi mesi dopo l’arrivo a Napoli di Roberto Vergari come direttore commerciale per il Sud Italia, la D’Amato si ritrova oggetto di vessazioni continue, con richiesta di prestazioni sempre più dequalificanti sul piano professionale, un bombardamento che le causa anche gravi danni alla salute.
Nel 2007, assistita dagli avvocati Giuseppe Marziale e Patrizia Totaro, denuncia Telecom alla magistratura e nel gennaio 2008 ottiene un provvedimento d’urgenza dal giudice del lavoro del tribunale di Napoli Edoardo Cilenti, che ordina alla società la cessazione immediata delle condotte vessatorie e l’affidamento alla giornalista di mansioni compatibili con quelle del proprio inquadramento professionale. I dirigenti Telecom insistono e, con uno squadrone di avvocati (Franco Raimondo Boccia, Raffaele De Luca Tamajo, Arturo Maresca, Enzo
Morrico, Roberto Romei), presentano il reclamo contro l’ordinanza di Cilenti. Passano soltanto tre mesi e i vertici Telecom incassano una seconda, bruciante sconfitta: il 23 aprile 2008 il collegio della sezione lavoro (presidente Linda D’Ancona, giudici a latere Maria Lupatelli e Gabriella Marchese) conferma la condanna di Telecom |

Linda D'Ancona e Roberto Vergari
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per mobbing. I provvedimenti sono immediatamente esecutivi, ma la società fa finta di niente e aspetta la decisione del giudice di merito, che è non più il magistrato che ha deciso il 700 (Cilenti), assegnato a un altro ufficio, ma è Roberta Manzon. In |
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aula di fronte a Bianca D’Amato, e accanto a Telecom, c’è anche l’Inail, l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, difeso dall’avvocato Rossella Del Sarto, chiamato a rispondere del danno biologico subito dalla giornalista.
All’inizio del gennaio 2009 Roberto Vergari esce di scena perché travolto dalla bufera scatenata dal traffico di false carte sim che coinvolge diversi dirigenti Telecom. Intanto il giudice Manzon va avanti con il processo e affida al consulente tecnico d’ufficio Cosimo Passiatore, ordinario di Anatomia umana alla Seconda università degli studi di Napoli, l’incarico di verificare il collegamento tra le vessazioni subite sul lavoro dalla D’Amato e la sua sindrome ansioso-depressiva.
Il consulente, “esaminata la ricorrente e la documentazione medica a lui sottoposta (tra l’altro il danno biologico era già stato certificato dal centro anti mobbing della Asl Napoli 1, ndr), nonché compiuti i necessari accertamenti”, “ha ritenuto sussistente il nesso causale tra le vicende di lavoro riportate nel ricorso e l’insorgenza delle patologie, qualificando tale nesso ‘chiaro e evidente’ e ha sottolineato lo stato di grave frustrazione percepito e vissuto come tale dalla ricorrente nello svolgere compiti non propri della qualifica di |
appartenenza”.
E arriviamo al 10 maggio scorso quando il giudice Manzon emette la sentenza, con la quale condanna Telecom “a cessare immediatamente dalle condotte impugnate adibendo la ricorrente a mansioni equivalenti a quelle proprie del livello |

Raffaele De Luca Tamajo e Cosimo Passiatore |
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contrattuale di appartenenza” e a risarcire il danno professionale causato a Bianca D’Amato calcolato su un importo mensile, con decorrenza aprile 2006, via via decrescente fino a che la giornalista non verrà adibita a mansioni equivalenti al proprio livello di appartenenza; condanna inoltre l’Inail a versare “alla ricorrente un indennizzo in somma capitale rapportato al grado di menomazione nella misura fissata dalla 'tabella di indennizzo del danno biologico' approvata nel 2000, oltre al pagamento degli interessi legali". |
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