PubliEPolis, arrestato
Vincenzo Maria Greco

IL 29 MAGGIO il gip del tribunale di Cagliari Giuseppe Pintori ha firmato un’ordinanza di misura cautelare per la bancarotta fraudolenta di
PubliEPolis
, la concessionaria di pubblicità dei quotidiani gratuiti E Polis, fondati nell’ottobre del 2004 da Nichi Grauso e falliti nel gennaio del 2011.
In carcere è finito il presidente di PubliEPolis Alberto Rigotti, mentre sono agli arresti domiciliari la vice presidente Sara Cipollini e il consigliere

d’amministrazione Vincenzo Maria Greco. Il pubblico ministero Giangiacomo Pilia aveva chiesto l’arresto anche per il commercialista aversano Francesco Ruscigno, consigliere di amministrazione di PubliEPolis e consigliere con deleghe di E Polis,
Nichi Grauso e Alberto Rigotti (*)

ma il gip, in considerazione del fatto che aveva “deleghe limitate al settore finanziario” e “del suo allontanamento volontario sin dai primi mesi del 2009”, ha deciso di rigettare la richiesta “per mancanza di attualità”.
Al centro delle indagini una voragine accertata di quindici milioni di euro con fondi di PubliEPolis destinati a pagare creditori della capogruppo E Polis e utilizzati anche per spese personali come viaggi, soggiorni, alberghi.
Nell’ordinanza, con la storia dettagliata di intrecci societari (per tre mesi, a fine 2007, entra a far parte del consiglio d’amministrazione anche l’ex senatore  Marcello Dell’Utri, amico storico di Berlusconi), viene delineata la scalata che, attraverso successivi aumenti di capitale, porta nel novembre del 2008 la Valore Editoriale, la società di Greco e Ruscigno, a controllare il 91,67 per cento di E Polis. Il ruolo preminente di Greco viene sottolineato dal giudice che nell’ordinanza scrive: “davanti ai presenti il Greco dimostrò che il vero dominus di E Polis era lui zittendo più volte Rigotti e testualmente dicendo che i soldi li metteva lui e quindi doveva essere lui a decidere”.
Ed è di notevole interesse la lettura incrociata delle 108 pagine dell’ordinanza


Corrado Calabrò e Marcello Dell'Utri

su PubliEPolis del gip Pintori e delle 92 pagine della delibera dell’Agcom firmata il 30 maggio 2011 dai vertici della Autorità (il presidente Corrado Calabrò, il segretario Roberto Viola, i consiglieri relatori Gianluigi Magri e
Sebastiano Sortino)

che condannava a pagare oltre centomila euro la Edizioni del Roma spa per le violazioni delle norme sulla trasparenza della proprietà.
E Polis e il Roma: una galassia di società costruite come vasi comunicanti, soldi spostati con disinvoltura da una parte all’altra, assetti aziendali modificati seguendo precise regie, capriole pericolose stoppate da una sentenza di fallimento (gennaio 2001 per E Polis, dicembre 2013 per il Roma passato da spa a srl) e due protagonisti in comune: Vincenzo Maria Greco e Francesco Ruscigno, al Roma per anni uomo di fiducia di Italo Bocchino.
Il 5 giugno, intorno a mezzogiorno, l’Ansa mette in rete la notizia degli arresti dei vertici di PubliEPolis e nel pomeriggio la integra con altri cinque lanci. Il giorno successivo la si può leggere sui quotidiani nazionali, cartacei e on line (vedi lastampa.it o Italia Oggi), ma non sui giornali napoletani, con l’eccezione del Roma che pubblica una breve di diciannove righe con il nome di Rigotti, ma senza quello di Greco. Perché il silenzio sul ‘dominus’?
Sin dagli anni Ottanta Greco è stato uno dei potenti di Napoli. Sessantanove

anni da compiere il 2 agosto, Vincenzo Maria è figlio del senatore dc Ludovico Greco, uno dei sette consiglieri comunali che nel settembre del '61 abbandonarono Achille Lauro e il partito monarchico per passare alla Democrazia cristiana e furono bollati dal direttore

Paolo Cirino Pomicino e Roberto Viola
del Roma Alberto Giovannini con un fondo memorabile: 'I puttani'.
Nel dopo terremoto Greco, ingegnere e professore universitario, diventa il principale consigliori del Pomicino dilagante che dirotta su Napoli migliaia di miliardi destinati alla ricostruzione. Nella seconda metà degli anni Novanta, dopo una lunga latitanza, anche all’estero, viene arrestato e successivamente scarcerato. Ai magistrati che lo interrogano spiega di non essere un tangentista, ma “un professionista che, di fatto, aveva assunto il ruolo di consigliere delle imprese e di mediatore delle loro esigenze". Poi aggiunge: “sapevo che attraverso dazioni di denaro da parte degli imprenditori a esponenti politici si garantivano quegli equilibri politici che consentivano di continuare l’opera della ricostruzione la cui prosecuzione necessitava del consenso di tutte le forze politiche”.
Ma ci tiene a far sapere anche che prima che scorresse il fiume di denaro del post terremoto era già un professionista di successo:quando ho cominciato
Italo Bocchino e Alberto Giovannini
a interessarmi professionalmente della ricostruzione, io avevo un’attività già avviata di un certo spessore; non è un caso che per il decennio ’81-’91 io, nelle mie denunce dei redditi, ho dichiarato ricavi per undici miliardi di lire, spese per cinque
miliardi e mezzo e ho pagato imposte per due miliardi e mezzo”.
Da allora sceglie un ruolo defilato e diversifica gli investimenti, con una preferenza per l'editoria, giornali e tipografie. Attività fermata ora dal giudice che lo ha ristretto nella prigione senza sbarre della sua casa romana.

(*) Da blog.panorama.it