Crisi al manifesto,
chiude Metrovie?

LA CICLICA CRISI del manifesto questa volta ha davanti un buco profondo e largo: debiti per quattro milioni e mezzo di euro nei confronti di banche, fornitori e dipendenti.
Per alcuni mesi la lunghissima campagna elettorale ha coperto il buco, ma a giugno i vuoti di cassa sono saltati fuori in tutta la loro gravità, anche se il bilancio 2005 si è chiuso in attivo: +794.649,16 euro rispetto al -463.225,27 del 2004.
“L'attuale pericolosissima crisi – scrive sul sito del quotidiano il direttore editoriale Francesco Paternò - nasce da lontano. Su un fatturato di 17,5 milioni di euro e 121 dipendenti, il contributo della legge per l'editoria alla nostra cooperativa vale il 25% mentre quello da incassi pubblicitari il 9,6% contro circa il 50% degli altri giornali. Il resto delle entrate sono da vendite da

edicola e dalle poche promozioni che siamo in grado di fare. Nonostante abbiamo ridotto gli oneri degli interessi passivi dal 10 al 5% fin dagli inizi del millennio, il peso del debito ci sta stritolando. Pure a fronte di un risanamento patrimoniale cominciato nel 2001 che


Emanuele Bevilacqua (*) e Valentino Parlato

ha portato a una secca riduzione del debito oneroso e a fronte di bilanci che, tra alti e bassi, non producono più da anni voragini nel conto economico e indicano anzi un certo equilibrio di gestione. Il 2005 abbiamo chiuso con una buona media di 29.000 copie vendute, a causa però di eventi eccezionali come la vicenda del sequestro della nostra Giuliana (Sgrena, ndr) e la morte di Nicola Calipari. O addirittura per la scomparsa di Giovanni Paolo II.”
Per il 2005, con “eventi eccezionali”, Paternò scrive di un venduto di 29mila copie, anche se l’editore, nella scheda fornita al mensile specializzato Prima comunicazione ha dichiarato una diffusione di33.867 copie; per il 2006 le previsioni ipotizzano una flessione delle vendite (senza il dato degli abbonamenti), con una media che a fine anno potrebbe assestarsi sulle 25/26mila copie. Così accanto a un debito pesantissimo c’è il nodo di un calo delle vendite, e quindi di peso del giornale. Come se ne esce?
All’assemblea del collettivo, che in puro stile manifesto è iniziata il 12 giugno per concludersi, dopo quattro aggiornamenti, il 28 giugno, l’amministratore delegato Emanuele Bevilacqua ha esordito ammettendo con onestà le responsabilità di chi sta pilotando il giornale. “Abbiamo fallito tutti gli obiettivi; – ha detto in sostanza l’amministratore delegato, salernitano di cinquantatre anni, da ventuno giornalista professionista, ingegno multiforme che nasce cronista al manifesto, poi arricchisce il suo bagaglio professionale facendo lo storico del rock, l’attore, il saggista, il realizzatore di docufilm, lo scrittore (l’ultima fatica è L’estate di Yul, pubblicato quest’anno), il direttore del Palazzo delle esposizioni (azienda speciale del Comune di Roma), il docente universitario e il manager in diverse aziende (tra le altre, l’Internazionale, Giudizio universale, l’Elleu multimedia, società controllata da Alfio Marchini,


Giovanni Paolo II

ora in liquidazione) – siamo pronti a dare le dimissioni, ma vogliamo impegnarci a fondo per tirare fuori il giornale dalla crisi”.
Dichiarazioni di buona volontà, ma non si vede una strategia, tutto è rinviato a settembre. L’unica decisione operativa è il consueto appello alla solidarietà dei lettori militanti, integrato dalla vendita del giornale a cinque euro il giovedì e dal ricorso allo stato di crisi, anche questa strada già battuta, per mettere in cassa integrazione

un po’ di giornalisti e amministrativi, ma non è stato ancora discusso e definito quanti e quali dipendenti andranno in cassa; in ogni caso se ne parlerà non prima di ottobre.
“Con la sottoscrizione – dice Paternò a Iustitia – dobbiamo raccogliere entro settembre un milione e mezzo di euro e quattro milioni e mezzo per la fine dell’anno. Siamo partiti bene e contiamo di centrare l’obiettivo. Con i soldi ci arrivano dai lettori tante domande che leggeremo con attenzione per fornire risposte adeguate. A settembre toccherà innanzitutto ai direttori Mariuccia Ciotta e Gabriele Polo (che guidano il manifesto dal novembre 2003, ndr) studiare la formula per un giornale di qualità più alta che catturi nuovi lettori. Con loro lavorerà al progetto il consiglio di amministrazione (ne fanno parte il presidente Valentino Parlato, l’amministratore delegato Emanuele Bevilacqua, i consiglieri Guglielmo Di Zenzo, Francesco Mandarini, Lorenzo Roffinella, Maria Giovanna Zanali, ndr)”.
Per ora, come si vede, fumo. Chi invece non si sottrae al compito di indicare proposte concrete, discutibili ma concrete, è Rossana Rossanda, con Valentino Parlato e Luigi Pintor protagonista della storia del manifesto. In una lettera indirizzata al collettivo che realizza il quotidiano articola per punti la sua analisi e ricorda che “il giornale ha cambiato fisionomia più volte: reazione di un corpo vivo al mutare precipitoso delle cose” Aggiunge che “è stata ogni volta una fatica e ha comportato divisioni più o meno esplicite. Ma non credo che siamo stati ciechi di fronte a quel che cambiava”. Con franchezza denuncia: “Sento che i più (tra i redattori, ndr) sarebbero demotivati. Proprio mentre la storia precipita e c’è tutto da conoscere e far conoscere? Ma

dunque in che si era sperato? E dove si sbagliava? Da questo perdersi derivano anche le scelte che alcuni vanno compiendo, o in direzione di Rifondazione (quella attuale) o di collaborazione a qualche ministero. Non dò alcun giudizio politico o morale;


Mariuccia Ciotta e Gabriele Polo

dico che siamo a questo. Per altri, il giornale è solo un posto di lavoro, verso il quale provano anche qualche risentimento. Risultato: siamo un giornale debole che parla diverse lingue”.
Alla fine delle quattro cartelle Rossana Rossanda muove una critica puntuta a chi ha gestito negli ultimi anni l’azienda manifesto e detta la sua soluzione: “Mantengo la proposta che ho fatto a settembre, un poco addolcita, sulla base di una non sostenibilità del rapporto fra i costi e i ricavi di questo giornale, l’imponenza della macchina produttiva e lo scarso numero dei lettori. Non so come si possa dire che un’azienda ha l’esercizio in pareggio ma l’indebitamento la affoga: o se si può, è a costo di non pagare prima gli stipendi e poi i fornitori. E trovarci come ora con l’acqua alla gola. Direzione e cda devono o ristrutturare o chiudere. Penso a un giornale più leggero, più completo, più ordinato, più economico. Un giornale che non sia un posto di lavoro per chi non ne ha altri e tanto meno sia un secondo lavoro. Un giornale il cui bilancio riparta da un equilibrio fra entrate e uscite, recupero del debito incluso. Il giornale cui penso potrebbe uscire cinque giorni alla settimana, saltando domenica e lunedì. (A meno di un supplemento sportivo). Con un orario a 35 ore settimanali effettive. Potrebbe avere otto pagine fitte (dieci con tv, cinema e appuntamenti locali). I supplementi potrebbero essere di quattro, sei o otto pagine, tematici: globalizzazione (economia, proprietà e lavoro), movimenti e politiche extraistituzionali; cultura e libri; società e consumi; Alias (o simili). Otto pagine fatte di quotidianità immediata e dell’attuale pagina 2 non sono poche; il notiziario politico, sindacale e globale del Corriere e di Repubblica, con molti bianchi e molte lungaggini, non va oltre. Un giornale


Nicola Calipari (**) e Giuliana Sgrena (***)

come questo dovrebbe avere una squadra fortemente responsabilizzata, composta da 16 a 20 persone più il desk per il quotidiano, e non più di quattro per ogni supplemento”.
Una proposta draconiana che comporta un taglio

largamente superiore al 50 per cento dell’organico giornalistico. Del resto, secondo una vecchia formula un quotidiano che punta all’equilibrio dei conti deve avere un redattore ogni mille copie vendute, mentre al manifesto per ogni mille copie ci sono a libro paga tre giornalisti. In organico, secondo Paternò, ci sono 121 dipendenti; stando ai dati dell’amministrazione, sono 123: 87 giornalisti e grafici e 36 amministrativi, di cui due collaboratori a progetto. Tra i giornalisti, 58 hanno l’articolo 1, sette sono praticanti, otto gli articoli 2, dodici i collaboratori fissi, due i collaboratori a progetto. I 36 amministrativi sono dispersi in undici comparti: amministrazione, segreteria di redazione, centralino, promozione, produzione cd, ufficio tecnico, archivio, spedizioni, arretrati, spa e consiglio d’amministrazione. Tra giornalisti e amministrativi un esercito, frantumato e poco gestibile. E costoso: le spese per il personale sono ovviamente lievitate, arrivando nel 2005 a sfiorare i quattro milioni e 400mila euro, con un aumento di oltre 150mila euro rispetto all’anno precedente.
Anche di questo si parlerà a settembre, quando, si spera, fioriranno idee e soluzioni; intanto la crisi sta già producendo i suoi effetti. Il 7 luglio ha sospeso le pubblicazioni Metrovie, il supplemento settimanale campano di otto pagine in edicola il venerdì. “Ci rivediamo a settembre” è il titolo del fondo pubblicato sull’ultimo numero: più un auspicio che una notizia.
Varato il 26 marzo del 2004, Metrovie è firmato da un supervisore della redazione centrale, Flaviano De Luca, e da una coordinatrice su Napoli, Francesca Pilla.
Metrovie non ha fatto crescere la diffusione del giornale (e non era facile con una distribuzione spesso approssimativa), non ha fatto registrare performance pubblicitarie significative (ma il problema riguarda prima di tutto il manifesto), ma ha dato voce a movimenti, gruppi e realtà prima afone; e non è un risultato

da poco. Se Metrovie non tornerà in edicola, Flaviano De Luca, napoletano di Portici, cinquantadue anni, dal 1983 al manifesto, riprenderà a lavorare a tempo pieno allo sport e agli spettacoli, mentre Francesca Pilla rimarrà a Napoli come redattrice


Pierandrea Amato e Dario Stefano Dell'Aquila

corrispondente; nessuna soluzione è prevista per Roberto Fantasma, Adriana Pollice e Ilaria Urbani, redattori che lavorano da oltre due anni senza alcun contratto, e cercheranno altre strade i collaboratori che in questi ventisette mesi hanno dato il loro contributo al giornale; tra i più assidui Roberto Saviano, diventato famoso con la pubblicazione di Gomorra, Pierandrea Amato, Francesco Basile, Alessandro Chetta (passato al Corriere del Mezzogiorno), Dario Stefano Dell’Aquila, Alfonso De Vito.
Chi è decisa a non lasciar morire Metrovie è Francesca Pilla, che sta lavorando per creare una cooperativa con redattori di fatto e collaboratori per dare vita a un prodotto che non pesi sul quotidiano. Quanto costa, e quanto perde Metrovie, è difficile saperlo: a Napoli si parla di poche migliaia di euro che a Roma diventano 75mila.
I vertici del manifesto, forse soltanto per indorare la pillola della chiusura, parlano della possibilità di una pagina quotidiana dalla Campania, ma il progetto a cui sta lavorando la Pilla prevede un settimanale di dodici pagine, lasciando a carico del manifesto soltanto i costi di stampa e diffusione, e una presenza quotidiana su internet.
Con quali capitali si pagherebbe giornalisti e sede? La ricerca a tappeto portata avanti dalla squadra che dalla primavera del 2004 lavora nella redazione di piazza Bellini ha finora prodotto risultati insufficienti; si cerca perciò una soluzione, d’intesa con la Regione Campania, per attingere ai fondi europei.


(*) da www.premiocenacolo.it
(**) da http://www.smh.com.au
(***) da http://iic-stuttgart.de