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A casa Graldi arriva
l'ufficiale giudiziario |
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NEI PROSSIMI GIORNI l'ufficiale giudiziario
andrà ai Parioli per bussare alla porta di Paolo Graldi.
Deve pignorare beni per 43mila euro in esecuzione di una sentenza
del tribunale civile di Roma che ha condannato per diffamazione l'Edime
spa (il rappresentante legale è il direttore amministrativo
Massimo Garzilli), Elio Scribani autore di un articolo
pubblicato dal Mattino il 17 febbraio del 1998, e Graldi, all'epoca
direttore responsabile del quotidiano di via Chiatamone.
Adriano Giuffrè e Achille Janes Carratù,
gli avvocati che difendono il diffamato, il giudice Carlo Di Casola,
nel '98 gip del tribunale di Napoli, |
dall'estate
del '98 al 2002 componente del Consiglio superiore della magistratura,
ora consigliere di Cassazione, sono arrivati al pignoramento
dopo avere ripetutamente tentato di ottenere con un accordo
l'esecuzione della sentenza emessa il 23 gennaio 2002 |

Francesco Gaetano Caltagirone e Massimo
Garzilli |
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dal giudice Anna Maria Pagliari, della
prima sezione civile del tribunale di Roma, e depositata in cancelleria
il 19 febbraio. Ma l'Edime, assistita dagli avvocati Francesco
Barra Caracciolo e Alessandro Savini, è stata un'anguilla.
Del resto ormai da anni, di fronte alle sentenze della magistratura,
la linea adottata dal quotidiano di Francesco Gaetano Caltagirone
si ispira all'eduardiano 'non ti pago'. Va detto che questa linea
un po' stracciona dà comunque dei risultati, soprattutto con
le controparti più deboli che, dopo anni di estenuanti battaglie,
chiudono accettando secchi tagli alle somme che devono incassare.
E persino contro avversari solidi la tecnica del rinvio consente di
far maturare, o comunque avvicinare, la decisione d'appello che si
ipotizza più favorevole. Anche nel caso del giudice Di Casola
il 9 luglio si è tenuta la prima udienza del secondo grado,
mentre la seconda è fissata per il 15 giugno 2005 davanti alla
prima sezione civile della corte d'appello di Roma, giudice relatore
Antonio De Santis.
Certo la visita dell'ufficiale giudiziario che girerà per casa
alla ricerca di beni di valore da pignorare non sarà un momento
piacevole per Graldi, bolognese, sessantadue anni, con un curriculum
di tutto rispetto: esordi a Paese sera, poi al Corriere della sera,
assunto nel '75 da Piero Ottone, dove è cronista di |

Paolo Gambescia e Sergio Zavoli
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giudiziaria, inviato, responsabile dell'edizione romana; nel
1993 è al Mattino come vice di Sergio Zavoli,
del quale raccoglie l'eredità nell'ottobre del '94; nel
settembre del '99 lascia la guida del Mattino a Paolo Gambescia
per assumere la direzione del |
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Messaggero, che
mantiene fino al luglio 2002, quando Caltagirone affida il Mattino
a Mario Orfeo e il Messaggero a Paolo Gambescia. Ma torniamo
alla sentenza del giudice Pagliari.
L'articolo di Scribani, intitolato 'Equivoci e paradossi di uno Stato-Babele',
prendeva lo spunto da un fatto di cronaca accaduto il giorno prima
(l'omicidio del boss della camorra Francesco Mazzarella davanti
al carcere di Poggioreale, mentre era in attesa della scarcerazione
del figlio Vincenzo) per esprimere dure critiche nei confronti
del gip Di Casola, 'responsabile' della scarcerazione di Vincenzo
Mazzarella, nonostante la richiesta contraria della procura della
Repubblica. In sostanza il gip veniva accusato di avere vanificato
il "buon lavoro" svolto dagli altri rappresentanti delle
istituzioni in nome del rispetto di un "meccanismo fiscale e
garantista".
"L'articolo incriminato - nota il giudice nella sentenza - s'inquadra
effettivamente nell'ambito del diritto di critica: traspare chiaramente
dal tenore del pezzo la finalità dell'autore di esprimere la
propria opinione, pur ritenuta rispecchiante il pensiero comune della
cittadinanza napoletana; l'evento storico era indubbiamente grave;
il clima cittadino di quei giorni era teso e di forte preoccupazione
per la faida tra i clan che aveva causato un lungo elenco di |
omicidi;
l'opinione del comune cittadino era di autentico sconcerto e
smarrimento di fronte a quello che appariva un contrasto di
azioni da parte delle autorità giudiziarie".
"Va altresì rilevato - continua la Pagliari - che
in alcuni passaggi |

Francesco Barra Caracciolo e Achille
Janes Carratù |
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dell'articolo
sono contenute affermazioni oggettivamente diffamatorie nei confronti
dell'attore (il gip Di Casola, ndr), in quanto non solo discreditanti
la serietà d'approccio al lavoro del medesimo in una materia
così delicata quale l'attività giudiziaria di repressione
della criminalità organizzata ma soprattutto per l'insinuata
volontarietà dell'attore, quale organo dello Stato, a porsi
in contrasto con l'attività di altri organi dello Stato - polizia
e magistrati inquirenti -, perché fiscale e garantista, lasciando
intendere al lettore che l'applicazione delle regole possa adattarsi
secondo la "normalità o anormalità" delle
situazioni, a nullificare il lavoro faticoso e pericoloso degli altri,
a tradire la fiducia dei cittadini, di fatto giovando quell'attività
criminale da combattere, tutto per non avere compreso la gravità
dello scenario socio-criminale contingente e agito di conseguenza
nell'esercizio della sua funzione".
Nella sentenza vengono a questo punto citate cinquanta righe dell'articolo
di Scribani con i passaggi 'diffamatori' nei confronti del gip. "Le
espressioni sopra riportate - osserva il giudice - rivolte dal giornalista
all'attore non appaiono integrare un dissenso ragionato e motivato
dell'operato tecnico contestato e certamente contestabile, bensì
offrire un discredito della persona dell'attore poiché giudice
inadeguato alla comprensione delle ripercussioni sociali - e criminali
- del suo provvedimento, così inadeguato da vanificare il lavoro
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Napoli, 16 febbraio '98. L'esecuzione
di Francesco Mazzarella
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pericoloso e faticoso - altrui e le stesse aspettative della
cittadinanza per un futuro più sicuro, così inadeguato
da fornire esca alla guerra tra i clan".
"Deve concludersi, pertanto, - scrive la Pagliari - che
l'esaminato esercizio del diritto di |
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critica, non rispettoso
del principio della continenza, travalica senza giustificazione il
confine della libera manifestazione del pensiero traducendosi in un
attacco personale all'attore, diventa illecito e fonte di responsabilità
dell'ingiusto danno provocato".
Ne consegue la condanna di Scribani, Graldi e dell'Edime a un risarcimento
danni in favore di Di Casola di 35mila euro e del solo Scribani alla
sanzione pecuniaria di duemila euro, oltre interessi legali a decorrere
dalla sentenza, e al pagamento delle spese legali liquidate in 5160
euro. |
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