Un film brusco e mai retorico

ANTONIO FRANCHINI. Napoletano, cinquantadue anni, dal 1981 vive a Milano e lavora alla Mondadori dove è responsabile della narrativa italiana. Come scrittore esordisce nel 1991 con "Camerati. Quattro novelle sul diventare grandi" (Leonardo). Per Avagliano pubblica "Quando scriviamo da giovani" nel 2003 e , per Mondadori, "Gladiatori" nel 2005. Da Marsilio escono "Quando vi ucciderete, maestro?" (1996), "Acqua, sudore, ghiaccio" (1998),


Antonio Franchini

"Cronaca della fine" (2003) e "Signore delle lacrime" (2010). Nel 2009, per bambini, scrive la storia "La principessa, la scimmia e l'elefante" (Gallucci). Nel 2001 Franchini pubblica con Marsilio "L'abusivo", un libro a metà tra narrazione e documento che racconta Giancarlo Siani, la sua generazione e la sua città.


"E io ti seguo" di Maurizio Fiume è un film brusco. La sua posizione sul caso Siani è aperta perché, di fatto, a fianco della verità "giudiziaria" (la punizione esemplare voluta dai Nuvoletta e dai mafiosi siciliani per condannare l'ipotesi fatta da Giancarlo che la famiglia di Marano avesse tradito Valentino
Gionta
), non esclude la pista politica e, tanto meno, l'ipotesi che il delitto fosse stato favorito da una talpa interna al Mattino. La particolare insistenza


Valentino Gionta e Lorenzo Nuvoletta

con cui, anzi, questa tesi viene sviluppata suscitò un'opposizione molto dura da parte del giornale. Ma che impressione fa il film, adesso, a un quarto di secolo di distanza dall’omicidio?
Oggi il problema è la perdita della memoria, ma

io proprio non credo che contro la perdita di memoria si possa fare qualcosa di veramente efficace, perché l'unica reazione conosciuta e praticata è la retorica e la retorica serve soltanto ad allontanare ancora di più i giovani da quel che viene celebrato.
Il film di Fiume ha qualche ingenuità ma ha anche un pregio sicuro, non è retorico mai. È secco e concentrato sul tema, a costo di adottare soluzioni  modernamente ritenute poco cinematografiche. Per esempio, insiste nel mostrare le pagine con gli articoli di Giancarlo indugiandovi con l'inquadratura, come se lo spettatore li dovesse o li potesse leggere.
Io penso che le reazioni mie siano poco significative, perché di quel mondo in cui c'erano le macchine da scrivere, i telefoni fissi e tante sigarette, ho fatto parte. E chi ha fatto parte di un mondo passato non ha più titoli per parlarne, ne ha meno, perché diventa nostalgico, sentimentale, fragile, e all'indignazione per l'ingiustizia, alla pietà per coloro che di quel tempo furono le vittime, sostituisce una sorta di pietà per se stesso che è sempre una deriva pessima.
Una cosa però voglio dirla, retorica e sentimentale. Deve essere successo perché il dvd era un po’sciupato, ma le ultime scene del film - quelle in cui il giornalista del Mattino chiama la stazione di polizia per avere gli ultimi fatti

della giornata per eventualmente aggiungerli all'ultimo minuto e il poliziotto dice aspetta, c'è una notizia che mi è arrivata adesso, dal Vomero, c'è un morto, forse, un giornalista...una scena che nel libro


La Mehari di Siani diretta a Torre (dal film)

(‘L’abusivo’, pubblicato da Marsilio nel maggio 2001, ndr) ho riportato anch'io, raccontata quasi nello stesso modo - si sono succedute rallentate, rotte, e si sono susseguite a fatica, come se le immagini inceppate si dovessero  bloccare prima o poi, e definitivamente. E invece sono andate avanti, fino all'ultimo. E, insomma, sarà retorica, ma, ancora dopo venticinque anni, per un attimo ho sperato che l'inquadratura si fermasse prima della fine.

Antonio Franchini