Asta del Mattino per
le armi della camorra

NEI COMMISSARIATI napoletani il 15 febbraio si è scatenato il panico. Il titolo di prima pagina del Mattino era secco: “Camorra, all’asta le armi delle stragi”. E poliziotti allarmati hanno cominciato a telefonare (“che sta succedendo?”) agli uffici del tribunale di Napoli presieduto da Carlo Alemi. Sono stati tranquillizzati chiarendo che si trattava di una bufala del giornale,

ma non bastava spiegarlo ai poliziotti.
Su incarico di Alemi, il presidente della terza sezione della corte d’assise Carlo Spagna, giudice delegato all’Ufficio corpi di reato, ha contattato il direttore del Mattino Alessandro Barbano per chiedere


Carlo Alemi e Carlo Spagna

una rettifica ampia e chiara sull’edizione cartacea della notizia pubblicata “totalmente priva di fondamento”, e una correzione immediata sull’edizione on line, e ha inviato un comunicato a via Chiatamone e all’agenzia Ansa.
Sull’edizione web l’eliminazione della foto ha richiesto alcune ore; ancora peggio è andata all’Ansa, dallo scorso novembre guidata da Alfonso Di Leva. Il comunicato inviato dalla presidenza del tribunale di Napoli, rimasto a lungo in stand by, viene lanciato soltanto alle 17,29, ma con una sforbiciata depistante: saltano le prime due righe (“Il titolo riportato nella prima pagina del Mattino di oggi 15 febbraio dà una notizia totalmente priva di fondamento”). L’incipit della notizia diventa: “Le armi confiscate alla criminalità comune o organizzata al termine di procedimenti giudiziari e custodite nell'Ufficio corpi di reato non vengono vendute all'asta”. Una precisazione che, scollegata dal titolo sbagliato del quotidiano, rende la nota incomprensibile perché per tutti, o quasi tutti, è evidente che le armi confiscate non possono essere messe all’asta. Il taglio del testo è dovuto forse allo scarso feeling di qualche redattore di Ansa Napoli con Alemi che già sette mesi fa è stato ‘silenziato


Antonio Buonajuto e Mario Orfeo

dall’agenzia. Il giorno successivo il Mattino pubblica la rettifica promessa dal direttore. È una colonna di spalla in fascia alta sicuramente ben visibile, ma scritta in maniera confusa e incompleta perché non c’è scritto con chiarezza che il giornale ha pubblicato una

notizia “totalmente priva di fondamento”. Va però detto che, rispetto alle bufale pubblicate negli ultimi anni e le successive rettifiche, la gestione Barbano segna comunque un passo in avanti.
Nel gennaio del 2007 il quotidiano di via Chiatamone dedicò una pagina alla notizia che sarebbe stata restituita al boss Luigi Vollaro la villa di trenta stanze che gli era stata confiscata. Era una notizia non vera, ma il direttore Mario Orfeo e i suoi più stretti collaboratori imballarono per venti giorni la smentita fatta tempestivamente dai giudici della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Napoli e quando decisero di pubblicarla la nascosero in un taglio basso con un testo incomprensibile. Vennero citati in giudizio per diffamazione dai magistrati e condannati in primo grado a un risarcimento di 60mila euro oltre al pagamento delle spese legali; ora è in corso il giudizio d’appello: si attende il deposito delle conclusioni, poi ci sarà la sentenza.
Quattro anni più tardi il Mattino si ripete con un altro titolo sparato in prima pagina: “Silvia Ruotolo, sentenza choc / assolto l’autista del commando”. È

una bufala perché “l’autista” Mario Cerbone è stato condannato all’ergastolo e il presidente della corte d’appello Antonio Buonajuto e il procuratore generale facente funzione Luigi Mastrominico, con un’iniziativa senza


Antonella Laudisi e Federico Monga

precedenti, convocano immediatamente una conferenza stampa per informare correttamente l’opinione pubblica. Il giorno dopo il Mattino pubblica la spiegazione dell’autrice dello svarione, Rosaria Capacchione, che scrive di “un equivoco. Anzi, il frutto di una erronea interpretazione del dispositivo letto in aula dal presidente Ambrogi”. Nella pagina delle Lettere il direttore Virman Cusenza invece si scusa, si dice dispiaciuto e ammette: “il Mattino è incorso in un errore”, anche se non rinuncia ad arrampicarsi un po’ sugli specchi per difendere la sua cronista: non paghi di avere telefonato all’avvocato dell’imputato, “abbiamo sentito anche la famiglia di Silvia Ruotolo”, come se Lorenzo Clemente e i figli fossero una fonte per verificare la notizia.
E torniamo alla rettifica sulle “armi all’asta”: sotto il colonnino del comunicato dei magistrati ci sono otto righe firmate dall’autore del reportage, il cronista di giudiziaria Giuseppe Crimaldi, che puntualizza: “Chiunque legga l’articolo si renderà conto che non ho mai scritto che saranno messe all’incanto armi”. Traduzione: la bufala è da attribuire per intero al desk della cronaca (il capo cronista Paolo Russo, forse non in servizio, e la numero due Antonella


Alessandro Barbano e Giuseppe Crimaldi

Laudisi) e a chi cucina la prima pagina (assente, pare, il direttore, ci sono il vice Federico Monga, il redattore capo centrale Antonello Velardi, il vicario Francesco De Core con Vittorio Del Tufo e, soltanto da un mese, Gino Giaculli). Tutto sommato, non serve

conoscere i nomi dei ‘colpevoli’; resta soltanto da capire come capi e capetti del più grande quotidiano del Mezzogiorno possano immaginare, e quindi titolare, un’asta organizzata da magistrati in tribunale nella quale vengono venduti blocchi di pistole, qualche mitraglietta e magari un paio di bazooka.