Melillo con la stampa
cortese e irremovibile

PARTE MALE l’incontro organizzato il 20 novembre all’Emeroteca Tucci tra i giornalisti di giudiziaria e Giovanni Melillo, natali foggiani, sessanta anni da compiere a metà dicembre, in magistratura da trentaquattro, dall’agosto 2017 titolare della procura di Napoli: il procuratore chiede di vietare l’utilizzo delle telecamere e il presidente dell’Ordine regionale Ottavio Lucarelli acconsente.
Si comincia con brevi saluti di Lucarelli, del numero due dell’Ordine campano Domenico Falco, del presidente del Sindacato dei giornalisti Gerardo Ausiello che sollecita una alleanza tra stampa e magistratura in passato garanzia di risultati notevoli e cita il caso del 1993 con la ripresa delle indagini sull’omicidio di Giancarlo Siani; rimane in silenzio l’accompagnatore di Melillo, Giuseppe Borrelli, a Napoli aggiunto corresponsabile della Direzione distrettuale antimafia e procuratore in

pectore di Salerno; prende quindi il microfono il protagonista della mattinata, Melillo, e parla per ventiquattro minuti. “Stamattina ho avuto il piacere di ritornare – è l’esordio – in un

Salvatore Maffei e Vincenzo Perone

posto straordinario come l’Emeroteca Tucci e sono qui soprattutto per ascoltare”. Passa poi al merito: “vorrei comunicare alcune linee guida difficilmente modificabili”. E c’è da chiedersi: allora perché incontrarsi? Ricorda poi il rispetto che ha per il ruolo dell’informazione: in due anni da procuratore anche in caso di gravi violazioni del segreto istruttorio non ha mai disposto delle perquisizioni e, su un altro fronte, l’attenzione che lo spinge a incontrare personalmente tutti i giornalisti minacciati.
Affronta quindi il nodo dei contrasti con alcuni cronisti giudiziari, con i redattori delle tv e delle agenzie, con i fotografi e i video maker. “Ho voluto rompere un muro di ipocrisia e il punto di svolta è il riconoscimento del diritto dei cronisti di accedere agli atti. In questo modo ho messo in moto un meccanismo di affioramento dei ruoli di magistrati e giornalisti che vengono affrancati dal lavoro di ricerca dei documenti”. E cita Luigi Ferrarella, cronista di giudiziaria e editorialista del Corriere della Sera, che ha definito la ricerca degli atti lo “scambio immorale”: io ti do il documento e tu mi citi o metti la mia fotografia sul giornale. In merito al pagamento degli atti e dei video ha detto che lo considera un momento di libertà dei giornalisti e, in ogni caso, chi non è d’accordo può chiedere un provvedimento legislativo che esenti dal versamento. Intanto ci sono norme che vanno rispettate.
Sulle poche conferenze stampa e sul rifiuto di concedere interviste, che in altre occasioni aveva motivato con una sua personale riservatezza, questa volta fornisce una spiegazione che desta molte perplessità: “non posso non tenere conto delle proteste degli avvocati che lamentano l’esplosione dei processi mediatici e la mia presenza enfatizzerebbe ancora di più il ruolo della procura. Devo essere attento ai diritti delle persone a vario titolo coinvolte nelle vicende giudiziarie. E comunque ho spesso invitato le forze dell’ordine a fare conferenze stampa”. Tocca poi in maniera del tutto generica e insoddisfacente il nodo dei divieti per foto e video: “sono consapevole che i giornalisti televisivi, i fotografi e i video maker sono scontenti e dovremo fare qualcosa”.
Chiude l’intervento e vede Salvatore Maffei, decano dei cronisti di giudiziaria napoletani e presidente dell’Emeroteca Tucci, che saluta con grande calore e rispetto invitandolo al tavolo dei relatori ma Maffei si limita a ribadire che “i rapporti tra i giornalisti e i magistrati sono sempre più difficili”.
La parola passa ai tanti operatori dell’informazione presenti. L’elenco è lungo: la folta pattuglia della Rai (Adriano Albano, Geo Nocchetti, Vincenzo Perone e il capo della redazione Antonello Perillo), Gianni Ambrosino, Renato Cavallo, Dario Del Porto, il salernitano Salvatore De Napoli, Ciro Pellegrino, Pier Paolo Petino e Alessandro Sansoni.
Ci sono anche tre giornalisti dell’agenzia Ansa (il capo Angelo Cerulo,

Adriano Albano e Gianni Ambrosino

il giudiziario Nando Piantadosi e Alfonso Pirozzi) ma scelgono la linea del silenzio.
Le note critiche arrivano soltanto da chi lavora nelle tv o per le tv. Ambrosino, direttore editoriale

di Canale 21: “non possiamo passare da un estremo, quando venivamo coinvolti sempre e subito, all’altro, quando non abbiamo quasi niente. Mi ricordo quando nel ’93 un ufficiale dei carabinieri mi telefonò per dirmi: stanno andando a farsi (arrestare, ndr) a Polese (all’epoca sindaco di Napoli dimissionario, ndr)”. Melillo minimizza: “il problema dell’acceso ai luoghi non è di mia competenza”.
Petino, direttore dell’agenzia Videoinformazioni: “non riceviamo più le intercettazioni ma testi mutilati con tagli decisi dai carabinieri”. E per foto e video Renato Cavallo, redattore di Videoinformazioni, segnala che ci sono i divieti per i giornalisti ma poi, come per l’arresto di Marco Di Lauro, girano soltanto i video girati dai poliziotti con i telefonini diffusi via social. E immagini ‘anomale’ sono state diffuse anche nel caso del ferimento di Noemi. Il procuratore ammette che c’è un problema dell’uso dei social da parte delle forze dell’ordine e si concede una battuta: “sono arrivato a dire almeno non usate whatsapp ma telegram o la email”. Rimane la questione che la gran parte delle immagini che circolano non sono prodotte dagli operatori dell’informazione ma ‘abusive’. Albano segnala al procuratore che le notizie fornite alla stampa sono sempre molto scarne e prive dell’indicazione dei nomi degli arrestati e dei reati commessi. Il procuratore assicura che ha dato indicazione alle forze dell’ordine di indicare nella parte finale dei comunicati nomi e reati. Si tratta però di un’indicazione non attuata.
Due esempi. Il 31 ottobre Rosa Volpe, sostituto procuratore a Napoli ha firmato un comunicato di trentasette righe per l’arresto di tre rapinarolex indicati soltanto con le iniziali mentre l’unico nome completo della nota è il modello dell’orologio rubato. Il 20 novembre viene diffusa la notizia dell’esecuzione di “un’ordinanza di custodia cautelare in carcere” di due affiliati del clan Polverino, indagati per una sfilza di reati a cominciare dall’associazione a delinquere di stampo camorristico senza l’indicazione dei nomi. La notizia viene lanciata, monca, dall’agenzia Italia mentre non c’è traccia di un take Ansa forse perché i redattori hanno deciso una silenziosa protesta contro le censure.
Soltanto uno dei presenti, l’inviato della Rai Vincenzo Perone, decide di affrontare frontalmente le gravi questioni sul tappeto, anche se lo fa con foga, forse troppa foga, e per due volte Melillo replica con veemenza.

A differenza di quanto scritto nella nota da lei inviata alla Federazione della stampa e all’Ordine nazionale dei giornalisti – sostiene Perone – deve essere chiaro che per tutti gli atti

Renato Cavallo e Pier Paolo Petino

non più coperti da segreto la valutazione spetta soltanto ai giornalisti”.
E cita un articolato parere espresso dall’Autorità garante della privacy, allora presieduta da Stefano Rodotà, che scolpisce il ruolo centrale e insostituibile del giornalista. Perone va avanti e dice che ci sarebbero alcune circolari della procura che vietano ai dirigenti delle forze dell’ordine di fornire informazioni dettagliate e rilasciare dichiarazioni. A questo punto Melillo si inalbera, si alza in piedi e dice a voce alta: “è un’affermazione falsa, mi mostri le circolari”.
Perone replica, poi gli animi si placano e il confronto va avanti. Ci sono anche momenti distesi. L’inviato Rai che nell’incontro ristretto tenuto in procura il 21 ottobre aveva denunciato che nelle note distribuite alla stampa mancano molte delle cinque ‘w’ (chi, che cosa, quando, dove e perché) che occorrono per fare una notizia, cita Voltaire e si concede un passaggio personale: “del resto entrambi apprezziamo la cultura anglosassone e io ho una compagna che lavora a Londra e lei ha una moglie inglese”. Riprende quindi sui due punti da chiarire: il ruolo del giornalista e la completezza delle notizie. “Del resto - aggiunge – noi stiamo dialogando”. E Melillo gelido: “noi non stiamo dialogando”, una frase che da qualsiasi lato si voglia leggere è sbagliata. A questo punto Perone si alza e si avvia verso l’uscita ma viene fermato dai presenti e dalle parole di sostanziale scusa di Melillo. Il clima si distende di nuovo e dopo due ore di confronto serrato l’incontro si chiude.
Piccolo bilancio. Va certamente sottolineata la disponibilità del procuratore ma bisogna aggiungere che, come aveva annunciato all’esordio, non si è mosso di un centimetro. Ha dichiarato però la disponibilità a ripetere l’incontro allargandolo agli avvocati penalisti. È una chance che va raccolta invitando un quarto soggetto al tavolo: le forze dell’ordine, una presenza che consentirebbe di porre fine al balletto con la procura: da un lato “potete parlare e dare notizie ai giornalisti”, dall’altro “c’è il divieto del procuratore”.