Diffamata la Roscigno,
condanna per il Roma

INCASSANO UNA SCONFITTA netta i giornalisti del Roma impegnati da anni in un vasto contenzioso giudiziario con esponenti del centro sinistra al governo di Comune e Regione. La sentenza più recente, depositata nel settembre scorso, riguarda una vicenda scaturita dalla campagna avviata dal

Roma nell’estate del 2004 nei confronti dell’allora assessore comunale alla Cultura Rachele Furfaro. Al centro del giudizio gli articoli firmati il 22 e 23 luglio 2004 dal redattore capo Roberto Paolo e dal direttore Antonio Sasso molto critici nei confronti del capo ufficio stampa di palazzo San Giacomo Annamaria Roscigno. Gli articoli sono stati


Roberto Paolo e Antonio Sasso

ritenuti diffamatori dal giudice monocratico della nona sezione penale del tribunale di Napoli Maria Aschettino che ha condannato Antonio Sasso e Roberto Paolo rispettivamente a dieci e otto mesi di reclusione, con pena sospesa, al pagamento delle spese processuali e di tremila euro di multa da versare alla parte civile a titolo di spese e al risarcimento del danno in favore della  Roscigno che verrà liquidato in sede civile. Una sentenza dura che è già stata impugnata dall’avvocato Carmine Ippolito che assiste i giornalisti del Roma, mentre lo studio del professore Elio Palombi, che difende Annamaria Roscigno, si occuperà dell’azione civile per il risarcimento dei danni.
Vediamo ora nel dettaglio la vicenda al centro del giudizio. Il 20 luglio 2004 il collaboratore Dario Caselli (oggi componente dell'ufficio stampa Pdl al


Dario Caselli e Rachele Furfaro

Senato) firma sul Roma un articolo dedicato alla Furfaro. Il titolo di prima pagina è “Conflitto di interessi in giunta / Il Comune finanzia il fratello e la socia dell’assessore Furfaro”; le accuse vengono ribadite con forza all’interno con il titolo “Il caso / Dal Comune 50mila euro a fondo perduto al ristorante Trianon di proprietà del fratello e della

cognata dell’assessore alla Cultura / L’esercizio commerciale è tra gli unici quattro della categoria che hanno beneficiato del massimo del contributo”.
Subito dopo la pubblicazione dell’articolo Caselli, che dall’aprile 2004 sta svolgendo uno stage presso l’ufficio stampa di palazzo San Giacomo, riceve una lettera della Roscigno, il cui oggetto è “Incompatibilità tra attività di informazione e professione giornalistica”. Nella lettera, indirizzata per conoscenza all’ufficio stage del Comune e alla università Federico II che aveva stipulato l’accordo per gli stage dei neo laureati, la Roscigno ricorda a Caselli che, secondo la legge 150, “i componenti dell’ufficio stampa non possono esercitare, per tutta la durata dei relativi incarichi, attività professionali nei settori radiotelevisivo, del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche”, “invitandolo a rispettarne il contenuto”.
Al giornale la lettera viene interpretata come un attacco inaccettabile alla

libertà di stampa e come un aut aut censorio nei confronti di Caselli: o stagista o cronista. La risposta è quindi aspra: il 22 luglio il Roma dedica alla vicenda grande rilievo con articoli in seconda e terza pagina, mentre il titolo nella fascia media della prima pagina è “”Ritorsione contro il Roma / Dopo il caso Furfaro il Comune si vendica: via lo stagista-cronista”. Il


Rossella Catena e Alessandro Rovinetti
giorno dopo con un editoriale scende in campo il direttore Antonio Sasso: “Ma il palazzo non ci metterà il bavaglio”. Verranno poi pubblicati i commenti critici di politici e di esponenti degli organismi di categoria dei giornalisti, oltre al resoconto dell’iniziativa di Amedeo Laboccetta che per protesta occupa l’ufficio stampa del Comune. Nell’aprile 2007 i due giornalisti vengono rinviati a giudizio davanti al gip Rossella Catena che chiede e ottiene di astenersi; il fascicolo è quindi affidato al giudice Maria Aschettino. In udienza Annamaria Roscigno schiera Alessandro Rovinetti, docente universitario e segretario dell’Associazione italiana per la comunicazione pubblica e istituzionale, che ha confermato l’incompatibilità tra il lavoro di addetto stampa di un ente pubblico e l’attività giornalistica, mentre Antonio Sasso e Roberto Paolo citano i


Ermanno Corsi e Amedeo Laboccetta

consiglieri dell’Ordine campano (Ermanno Corsi e Ottavio Lucarelli) e dell’Ordine nazionale (Gianni Ambrosino e Maria Chiara Aulisio) e il presidente dell’Associazione napoletana della stampa Vincenzo Colimoro. E ai cinque testi il giudice dedica le ultime righe della sentenza.
La Aschettino ha infatti disposto “la trasmissione di copia degli atti e

della querela (presentata dalla Roscigno, ndr) ed altresì del presente provvedimento al pubblico ministero per l’ulteriore corso nei confronti di Ermanno Corsi, Gianni Ambrosino, Ottavio Lucarelli, Maria Chiara Aulisio e Vincenzo Colimoro”.
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