Fabrizio e i suoi deskisti
condannati a 16mila euro

CI AVVIAMO AL 2011 con una buona notizia per il direttore e per i lettori di Iustitia: il giudice unico della terza sezione civile del tribunale di Napoli Ettore Pastore Alinante ha respinto la richiesta di risarcimento danni da diffamazione avanzata dal responsabile, Giustino Fabrizio, e dall’intero desk

di Repubblica Napoli (il vicario Ottavio Ragone, Francesco Rasulo, Edoardo Scotti, Giovanni Marino, Giantomaso De Matteis) nei confronti del direttore di Iustitia Nello Cozzolino.
Il giudice ha anche condannato i sei giornalisti al pagamento delle spese legali della fase d’urgenza (l’articolo 700 e il reclamo) e del giudizio, che ammontano a 16.427,25 euro.
Una sentenza importantissima perché tutela il diritto di cronaca e di critica di un piccolo settimanale on line minacciato da giornalisti che, forti del fatto di


Ottavio Ragone
essere dipendenti di un grande e prestigioso quotidiano nazionale, di fronte a una presunta diffamazione non chiedono correzioni o rettifiche, ma presentano una richiesta di un risarcimento da 600mila euro per puntare all’eliminazione 'fisica' di una voce documentata e non condizionabile.

100mila euro a testa

Per chi segue con assiduità Iustitia la vicenda è nota, ma forse un riepilogo sintetico è necessario. L’undici dicembre 2007 viene messo in rete il numero 40; due lettere (la prima: ‘The fab four di Repubblica’ di Monteiro Rossi; la seconda: ‘Alimuri, il silenzio di Fabrizio e Orfeo’ di Ettore Fanelli) scatenano la reazione di Giustino Fabrizio, con un’offensiva in tre tempi: la sera stessa della pubblicazione il direttore del settimanale on line riceve una mail dell’avvocato Angelo Peluso, collaboratore delle pagine napoletane di Repubblica, che gli intima di togliere dalla rete la lettera ‘The fab four di Repubblica’; il 22 dicembre viene notificata a Cozzolino una citazione di Fabrizio e dei cinque giornalisti del desk con una richiesta di risarcimento


Mario Orfeo e Angelo Peluso

danni di 600mila euro (centomila per ognuno dei ‘diffamati’); il 7 gennaio 2008 Fabrizio e i suoi deskisti chiedono che il giudice ordini in via d‘urgenza a Nello Cozzolino “di interrompere la campagna diffamatoria intrapresa” con le due lettere e con il

box “Una brutta notizia” che il direttore ha pubblicato sulla home page di Iustitia subito dopo la diffida e che lascerà inalterato nel testo e nella collocazione per diciotto mesi (e sessantanove numeri del settimanale).
Nel box il direttore dà notizia di una sua scelta drastica e, in qualche modo, ‘autolesionistica’: sospendere la pubblicazione sul sito di tutte le notizie riguardanti Repubblica Napoli. All’origine della gravissima scelta c'è l’attacco violento e ingiustificato di Giustino Fabrizio, durante la riunione di redazione di Repubblica Napoli del 12 dicembre 2007, nei confronti di Patrizia Capua, dal 1990 redattrice di Repubblica, che ha l’unica colpa di essere la compagna del direttore di Iustitia. Su questo passaggio delicato ripubblichiamo il paragrafo messo in rete nel giugno 2009.


“Nello ti vuole bene?”

Il giorno successivo alla pubblicazione della lettera 'The fab four' accade un fatto senza precedenti, almeno per la più che trentennale esperienza del direttore di questo settimanale. Lo raccontiamo con le parole utilizzate nella memoria difensiva dagli avvocati Paolo Emilio Pagano e Paolo de Divitiis, che assistono in giudizio il direttore di Iustitia.
“Il 12 dicembre, alle 13, si tiene la riunione della redazione napoletana di Repubblica, in apertura della quale il direttore Giustino Fabrizio estrae due fogli dalla stampante e li pone sul tavolo, davanti alla redattrice Patrizia Capua, chiedendole se aveva letto quanto ivi riportato (ricevendo risposta negativa), invitandola a farlo e, quindi, pronunciando le seguenti parole: “Ma Nello ti vuole bene, Nello ti vuole bene?  Perché, se scrive queste cose, non ti vuole bene. Questa è diffamazione, lo sai? Ho già dato mandato all’avvocato di avviare un’azione legale per il risarcimento dei danni e ti assicuro che andrò fino in fondo”.
A tali parole la signora Capua ha replicato, facendo notare che da quando lavora a Repubblica (marzo 1990, ndr), è risaputo che lei non ha nulla a che fare con il lavoro del suo compagno. Al che Fabrizio ha affermato: “Guarda che i casi sono due: la tua è malafede o stupidità. E di questo risponderai

al direttore (Ezio Mauro, ndr) e all’azienda (presieduta da Carlo De Benedetti, ndr)”; alla nuova contestazione della signora Capua, che gli fa notare la


Napoli, riviera di Chiaia. Al primo piano la redazione di Repubblica

profonda ingiustizia di quanto da lui detto, il signor Fabrizio conclude: “D’ora in avanti non ti rivolgerò più la parola. E adesso sei pregata di liberarci della tua presenza”, allontanandola così dalla riunione”.
È questo il passaggio che trasforma un’ordinaria vicenda di diffamazione, vera o presunta, in una vicenda che ha dell’incredibile: un redattore capo di Repubblica, responsabile di una redazione regionale, non è importante se offeso, imbufalito, ferito dalla 'diffamazione' subita, per una lettera pubblicata da un giornale on line, attacca in maniera ingiusta e violenta una redattrice che ha la sua stessa anzianità anagrafica e ordinistica, una vita professionale spesa con dieci anni di manifesto e diciotto di Repubblica (al dicembre 2007), una lunga e intensa attività sindacale, come comitato di redazione di Repubblica (quattro anni) e come consigliere nazionale della Fnsi (dodici anni).
C'è allora da domandarsi: che cosa sta 'chiedendo' Giustino Fabrizio a Patrizia Capua? Che impedisca al suo compagno di svolgere come meglio crede la sua attività giornalistica, con la piena consapevolezza di dover rispondere in ogni momento di ciò che scrive e di ciò che, nella veste di direttore responsabile, decide di pubblicare?
Ci sarebbe da sorridere all’idea che una cronista ‘anziana’ di Repubblica debba dare conto “al direttore  e all’azienda” di una lettera di tal Monteiro Rossi pubblicata su un sito di nicchia, specializzato sui media della Campania con saltuarie puntate fuori regione, letto quasi esclusivamente degli operatori dell’informazione. Ci sarebbe da sorridere, se "l’attacco ingiusto" di Fabrizio non avesse avuto riflessi profondi e laceranti su chi l’ha subìto.


Stato di ebbrezza

E veniamo alle otto pagine della sentenza firmata dal giudice Pastore Alinante che conferma le due decisioni del procedimento d’urgenza: le otto pagine dell’ordinanza del giudice Massimo Pignata sull’articolo 700; le diciassette pagine della decisione sul reclamo della X sezione civile, presieduta da Michele Oliva, con giudici a latere Rosa Romano Cesareo e il relatore Michele Caccese. In totale cinque giudici, e trentatre pagine, schierati in maniera univoca e convinta a difesa del diritto di cronaca e di critica.
Passiamo alle motivazioni della sentenza. In merito alla lettera ‘The fab four’, “bisogna osservare – scrive il magistrato – che il giornalista svolge un’attività di pubblico rilievo, e che tale attività può quindi legittimamente essere oggetto


I Beatles (*)

di satira e di pubblica critica, anche ad opera di un altro giornalista. In questo caso, è evidente l’intento satirico dell’articolo di Iustitia, essendo del tutto surreale l’accostamento tra i quattro giornalisti addetti al desk di Repubblica Napoli e i Beatles”.
Quindi Pastore Alinante spiega: “nell’ambito di tale intento satirico, è chiaro per qualsiasi lettore che l’autore dell’articolo non stava asserendo che gli addetti al desk svolgessero il loro lavoro in stato di ebbrezza alcolica, per cui non è vero quanto si legge in

citazione circa il fatto che si facevano apparire gli attori come dediti all’alcool. In modo palese, invece nell’articolo di Iustitia si criticava la distrazione e comunque la scarsa attenzione degli addetti al desk, per le errate titolazioni di cui si è detto, e la critica veniva mossa in forma satirica, adoperando lo stato di ebbrezza da alcool come metafora della distrazione. Vero è che l’immagine dell’ubriachezza, nella comune coscienza sociale, è ricca di connotazioni negative, ma è pur vero che in questo caso esse ricadevano sullo specifico oggetto della notizia, cioè la scarsa cura nell’attività di titolazione. In questo senso il requisito della continenza è stato rispettato, poiché l’ubriachezza è una efficace metafora di uno stato di scarsa attenzione o concentrazione”.


Il silenzio su Anna Normale

Il magistrato si occupa quindi della seconda lettera (‘Alimuri, il silenzio di Fabrizio e Orfeo’) centrata sul silenzio sostanziale di Repubblica Napoli, e del Mattino, sull’accordo sottoscritto in sede ministeriale per l’abbattimento dell’ecomostro di Alimuri, a Vico Equense.
“La vicenda – annota Pastore Alinante - era di indubbio, rilevante interesse pubblico, ed effettivamente sarebbe stato diritto della rivista Iustitia di criticare Repubblica Napoli qualora avesse serbato il silenzio sull’accaduto. Ma il Fabrizio, l’unico degli attori coinvolto su questo punto del contenzioso con il Cozzolino Aniello, sostiene che invece La Repubblica Napoli, all’epoca in cui Iustitia parlò di “scandaloso silenzio”, avesse già diffusamente parlato della vicenda sulle proprie pagine”. E Fabrizio elenca sette pezzi pubblicati tra luglio e ottobre 2007. “Ma nonostante gli articoli pubblicati da

Repubblica Napoli – osserva il giudice – non si ritiene che l’affermazione della rivista Iustitia debba essere considerata falsa. Il punto sul quale il giornale diretto


Alimuri (Vico Equense). L'ecomostro
dal Fabrizio aveva sostanzialmente mantenuto il silenzio, sotto il profilo giornalistico, era la circostanza che la totalità delle quote della società proprietaria del manufatto oggetto dell’accordo da tante parti ritenuto molto vantaggioso per la società stessa, era detenuta dalla moglie  e dai familiari della moglie di un importante membro della giunta della Regione Campania, ente che aveva sottoscritto l’accordo in questione. Vi era una situazione di conflitto d’interesse almeno potenziale, che non avrebbe potuto non risaltare agli occhi del pubblico nel momento in cui la Regione veniva criticata per avere realizzato un accordo ritenuto molto favorevole alla società proprietaria dell’ecomostro. Poiché c’era una possibilità concreta che vi fosse una relazione tra il contenuto dell’accordo e il matrimonio tra l’assessore Andrea Cozzolino e l’imprenditrice Anna Normale, sarebbe stato comprensibile che un giornalista avesse scelto di attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sul punto, per porla in condizione di valutare con maggiore cognizione di causa la situazione. Invece, La Repubblica Napoli si limitò a menzionare la circostanza di sfuggita”. “Da un punto di vista giornalistico, dunque, - continua Pastore Alinante - in sostanza La Repubblica Napoli serbò il silenzio sulla vicenda. Scelta, naturalmente, assolutamente legittima: ma legittima fu anche la scelta della rivista Iustitia di criticare aspramente la linea editoriale di Repubblica Napoli, qualificandolo come uno scandaloso silenzio”. E il magistrato cita anche la diversa linea editoriale del Corriere del Mezzogiorno, diretto da Marco Demarco: “nello stesso periodo di tempo in cui Repubblica Napoli pubblicò gli articoli di cui si è detto, il suo principale concorrente, il Corriere del Mezzogiorno, avviò una serrata campagna giornalistica di critica al già menzionato accordo, in cui venne tra l’altro posta nella massima evidenza la


Alimuri (Vico Equense). Manifestazione di Legambiente

circostanza del rapporto di coniugio tra l’imprenditrice Normale e l’assessore Cozzolino”.
E il magistrato elenca i titoli di forte impatto della prima pagina del

Cormezz nell’ultima decade del luglio 2007: “Ecomostro, ombre sul patto. Tra i proprietari di Alimuri c’era la moglie di Cozzolino”; “Anna Normale. La moglie di Cozzolino era tra i titolari della società”; “ ‘Alimuri, la proprietaria sono io’ La moglie dell’assessore Cozzolino: ma mio marito non c’entra”.
Il nodo dell’ecomostro di Vico Equense per il giudice è dunque chiarissimo. Al di là della questione giudiziaria, rimane però in piedi un punto oscuro: perché il silenzio di Giustino Fabrizio sull'accordo per Alimuri?


Fabrizio "sbotta"

E arriviamo alla “Brutta notizia”. Anche sul terzo testo oggetto del processo il giudice è limpido. Prima cita la chiusa della Brutta notizia: Fabrizio non ha gradito le due lettere pubblicate da Iustitia e “ha concentrato la sua disapprovazione su Patrizia Capua, redattrice di Repubblica Napoli e lettrice saltuaria e disattenta di questo giornale, che ha la sola colpa di essere la compagna del direttore di Iustitia. Di fronte a iniziative ingiuste indirizzate contro la propria compagna si è … inermi”.
Poi Pastore Alinante scrive: “In sede di libero interrogatorio durante il presente giudizio, il Fabrizio ha dichiarato : “Preciso, quanto alla posizione di Patrizia Capua, che il giorno dopo la pubblicazione degli articoli sui fab four e su Alimuri, sbottai con lei e le feci presente che, dato che notoriamente Cozzolino era suo compagno da molto tempo, la vicenda le avrebbe attirato

l’antipatia della redazione …”. Ora tale narrazione fatta dallo stesso attore conferma sostanzialmente il contenuto dell’articolo del Cozzolino Aniello: il Fabrizio, “sbottando” con la Capua, compagna di vita del Cozzolino Aniello e facendole presente che la vicenda le avrebbe procurato l’antipatia della redazione, effettivamente ”concentrò” sulla Capua la sua disapprovazione in maniera del tutto ingiusta, essendo ovvio che in nessun modo un contenzioso tra il Fabrizio e il Cozzolino Aniello avrebbe dovuto coinvolgere la giornalista di Repubblica, la quale


Patrizia Capua

non poteva essere ritenuta responsabile dell’attività giornalistica del proprio compagno. Il Fabrizio non aveva ragione di “sbottare” con la propria redattrice, e di farle presente che la vicenda le avrebbe procurato l’antipatia dei colleghi, affermazione questa che, anche ovviamente contro le intenzioni di chi l’aveva proferita, poteva assumere una connotazione minacciosa, anche in quanto pronunciata sul posto di lavoro dal superiore della Capua”.

 


(*) Da www.musicalblog.it