Manette ai giornalisti,
la Consulta interviene

SUL CARCERE AI giornalisti che diffamano il 9 giugno del 2020 la Corte costituzionale, allora presieduta da Marta Cartabia, aveva dato un anno di tempo alle camere per varare una nuova legge. Ovviamente il parlamento non ha provveduto e la Corte il 22 giugno ha deciso di intervenire. All’unanimità i giudici della Consulta, presidente Giancarlo Coraggio e relatore Francesco Viganò, hanno dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa dell’otto febbraio

del 1948, numero 47, che prevedeva in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa con l’attribuzione di un fatto determinato la reclusione da uno a sei anni e il pagamento di una multa. “È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione – sottolinea un comunicato dell’ufficio stampa della Corte, guidato da Donatella Stasiol’articolo 595, terzo comma, del codice penale che prevede, per le ordinarie ipotesi di

Marta Cartabia

diffamazione compiute a mezzo stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità”.
Viene così compiuto un passo importante di avvicinamento alla normativa europea a cominciare dall’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo che eviterà il ripetersi di sanzioni della Corte di Strasburgo nei confronti dell’Italia come è avvenuto negli anni scorsi per le vicende che vedevano coinvolti i direttori Maurizio Belpietro e Alessandro Sallusti.
Rimane ora da approvare una legge che dia ordine all’intera materia ma non sarà impresa facile. Basti pensare che l’anno scorso nel giudizio davanti alla Corte costituzionale l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte si fece rappresentare dall’Avvocatura dello Stato, con i legali Salvatore Faraci e Maurizio Greco, per chiedere il mantenimento delle norme che prevedevano il carcere per i giornalisti.

Donatella Stasio

Rimane da ricordare che la questione della illegittimità costituzionale del carcere per i giornalisti condannati per diffamazione è stata sollevata nel 2019 dal Sindacato unitario dei giornalisti campani, guidato dal segretario Claudio Silvestri. L’avvocato del Sugc Giancarlo Visone, che difendeva il direttore del Roma Antonio Sasso e un ex collaboratore del quotidiano, Pasquale Napolitano, l’ha presentata al

giudice Giovanni Rossi della seconda sezione penale del tribunale di Salerno, che l’ha accolta e l’ha girata con un’ordinanza del 9 aprile 2019 alla Corte costituzionale. E pochi giorni dopo l'iniziativa di Salerno è arrivata alla Consulta una seconda eccezione di incostituzionalità sollevata dal tribunale di Bari, sezione di Modugno.