"Serviva un giornalista
come te trenta anni fa"

HA AVUTO UNA buona eco sulla stampa napoletana il libro sull’omicidio di Giancarlo Siani 'Il caso non è chiuso', scritto dal giornalista Roberto Paolo ed edito da Castelvecchi, in vendita dal 22 novembre. L’ultimo a scriverne è stato Gianluca Abate sul Corriere del Mezzogiorno del 18 dicembre, dopo i lanci del cronista dell’Ansa Enzo La Penna, l’intervista al tg campano di Anna Teresa Damiano e i servizi dei due principali quotidiani partenopei: Il Mattino e Repubblica Napoli, firmati rispettivamente da Pietro Perone e

Conchita Sannino.
Cominciamo dall’articolo di Perone, pubblicato il 28 novembre, molto critico sin dal titolo di prima pagina: ‘L’ipotesi che Siani non avrebbe mai fatto’. Nel settembre del ’93, dopo le dichiarazioni del pentito Salvatore Migliorino, Perone in

Sergio Amato e Filippo Beatrice

tandem con Giampaolo Longo, sotto la guida del redattore capo Pietro Gargano, seguì per mesi le indagini (che in qualche caso vennero addirittura anticipate) sull’omicidio del 1985 rilanciate dal pm Armando D’Alterio e dal capo della squadra mobile Bruno Rinaldi. E il coinvolgimento di Perone nella vicenda Siani spiega in gran parte la stroncatura senza appello: “sulla vita di Giancarlo Siani sono stati scritti fiumi di inchiostro. Taluni lavori di buona fattura che rendono onore alla memoria, altri improvvisati ma sinceri. Non era ancora accaduto, però, che si scrivesse l’ennesimo libro senza tenere nel giusto conto le sentenze che hanno lentamente attraversato i tre gradi previsti dalla giustizia italiana”.
Il giorno successivo i vertici del Mattino decidono di riequilibrare il primo servizio con un articolo affidato a uno dei cronisti di giudiziaria, Leandro Del Gaudio, che con Roberto Paolo ha lavorato per anni al Roma. La recensione puntuale dà conto delle indagini ripartite nel 2010 a bassa velocità e condotte da ben sette tra aggiunti (Alessandro Pennasilico, Giovanni Melillo,

Pietro Perone e Conchita Sannino

Filippo Beatrice) e sostituti della procura di Napoli (Giuseppe Narducci, Sergio
Amato
, Enrica Parascandolo, Henry John Woodcock), ricorda che la pista delle cooperative di ex detenuti e del clan Giuliano di Forcella era stata già

battuta in anni lontani e riporta l’opinione liquidatoria di Armando D’Alterio, oggi procuratore a Campobasso: “Già verificate quelle ipotesi”.
Chiudiamo con l'intervista con titolo nella prima pagina dell’edizione napoletana di Repubblica, che il 27 novembre è il primo quotidiano a occuparsi del libro. Nel 1985, quando venne ucciso il cronista ‘abusivo’ del Mattino, l’inviata di Repubblica Conchita Sannino aveva sedici anni e questo dato in parte spiega perché sbaglia il nome di Vincenzo Cautero, capozona del clan Giuliano al Vomero assassinato appena quattro mesi dopo Siani, uno dei personaggi chiave della ricostruzione di Roberto Paolo, che nell’articolo viene chiamato ‘Cautiero’.
C’è però un passaggio clamoroso nell’intervista di Repubblica. Conchita Sannino chiede a Roberto Paolo cosa pensano gli amici e Paolo Siani, il fratello di Giancarlo, delle ipotesi avanzate nel libro. Questa la risposta: “Di Paolo voglio riportare solo una cosa, toccante: “Mi fa rabbia che non ci fosse un giornalista come te 30 anni fa”.
Per chi ha vissuto la Napoli della metà degli anni ottanta la risposta è davvero sorprendente. Vediamo ora i tre protagonisti di questa risposta. Per Conchita Sannino la domanda è semplice: chi intervista deve riportare qualsiasi cosa dice il suo interlocutore? Per Roberto Paolo la questione è diversa. Dato, ovviamente, per scontato che le parole del fratello di Giancarlo siano state riportate in maniera testuale, sarebbe stato necessario un po’ di autocontrollo.

Per Paolo Siani la questione è più complessa. Poche settimane dopo l’omicidio del cronista del Mattino gli amici decisero di costituire un’associazione per essere vicini a Paolo e tenere accesi i riflettori sulla storia professionale di Giancarlo Siani e sulle

Pino Cimò (*) e Corrado Stajano (**)

indagini di magistratura e polizia che da subito avevano iniziato a zigzagare. Nel giro di alcuni mesi l’associazione si arenò perché secondo diversi 'fondatori' bisognava operare scelte anche critiche nei confronti dei vertici del Mattino che sembravano poco interessati a stimolare le indagini, mentre Paolo Siani era pienamente allineato alle posizioni del giornale.
Per quanto riguarda i 'giornalisti che trenta anni fa non c'erano', possiamo ricordare che avevano intenzione di scrivere un libro personaggi dello spessore di Giuseppe D’Avanzo e Corrado Stajano, forse poi distolti anche dai muri di forze dell’ordine, magistrati e stampa locale, mentre il cronista Pino Cimò, scomparso un anno fa, dedicò una copertina del mensile Frigidaire ai mandanti dell’omicidio individuando a Torre Annunziata il groviglio di malavita, affari e politica, ma venne lasciato solo, querelato e condannato per diffamazione, con i quotidiani napoletani che davano ampio risalto non alle denunce di Cimò, ma alle denunce contro Cimò.
Oggi il tempo e le celebrazioni hanno fatto dimenticare l'aria plumbea che si respirava intorno alla vicenda Siani, ma chi è interessato a conoscere meglio quegli anni può leggere le due relazioni di polizia giudiziaria redatte dal capo della squadra mobile Bruno Rinaldi: la prima di venticinque pagine del dicembre 1993; la seconda di 330 pagine del l’agosto 1995. Per chi non ha

Roberto Paolo e Bruno Rinaldi

tempo è sufficiente leggere le due cartelle della testimonianza della giornalista francese di Antenne 2 Dominique Torres. In giro per il mondo per un’inchiesta sui giornalisti uccisi per il loro lavoro, alla fine del 1987 con tre colleghi trascorse dieci giorni tra Napoli e

Torre Annunziata. Della visita al Mattino e degli incontri con Carlo Franco, Giuseppe Calise, Pasquale Nonno ed Enzo Perez, le rimase una sensazione di gelo. Questa la sua conclusione: “Dopo una mattinata sprecata nel tentativo di cavar fuori qualcosa, abbiamo deciso di rinunciare. Più che delusi eravamo sorpresi, anzi sbigottiti. Ci siamo riimmersi nel traffico, ma non sentivo i clacson perché cercavo una spiegazione. Escludendo, ma soltanto per motivi logici, l’ipotesi della complicità, mi chiedevo: questi del Mattino sono atterriti dalla camorra o totalmente indifferenti, anche quando ammazzano uno di loro?

(*) Da www.histonium.net
(**) Da www.unipv.it