Mattino, accordo con
metà cdr e senza Fnsi

IL 22 GIUGNO 2009 rischia di diventare una data importante nella storia del Mattino, “il quotidiano più autorevole e più diffuso del Mezzogiorno”, fondato il 16 marzo 1892 da Edoardo Scarfoglio. Il 22 giugno a Roma, nella sede del ministero del Lavoro a via Fornovo, è stato sottoscritto un verbale d’accordo sul ‘piano di riorganizzazione in presenza di crisi’ redatto dai dirigenti del Mattino spa. La richiesta era stata presentata il 29 maggio e il 16

giugno al ministero si era chiuso un primo incontro senza che le parti riuscissero a trovare un’intesa.
La crisi del giornale sarebbe certificata da un leggero rosso del bilancio 2008, chiuso con perdite per 380mila euro, e un deficit per il 2009,


Fabio Morabito e Luigi Ronsisvalle

secondo una previsione avanzata dall’azienda e supportata soltanto dal forte calo registrato dalle entrate pubblicitarie nei primi mesi dell’anno in tutte le aziende editoriali, di tre milioni di euro, che poi la stessa azienda ha fatto lievitare a quattro milioni. L’accordo, stipulato alla presenza dei dirigenti del ministero del Lavoro Francesco Cipriani e Piera Del Buono, è stato sottoscritto dai rappresentanti della parte datoriale: per la Federazione editori c’erano Sergio Moschetti e Stefano Scarpino, per il Mattino spa il pensionato, in piena attività, Massimo Garzilli, il capo del personale Raffaele Del Noce e Giovanni Santorelli, accompagnati dal direttore responsabile Mario Orfeo (e non si capisce perché il contratto di lavoro continui a inserire i direttori tra i giornalisti, mentre da molti anni sono quasi sempre il terminale della proprietà in redazione).
Sul versante giornalisti la colonna delle firme è in gran parte bianca: hanno rifiutato l’accordo i rappresentanti della Federazione della stampa Luigi Ronsisvalle e Lucia Visca e delle Associazioni stampa di Roma (il presidente Fabio Morabito e il vice Massimo Rocca) e di Napoli (il presidente Enzo Colimoro e i consiglieri Maurizio Cerino e Cristiano Tarsia). E si è spaccato il comitato di redazione del Mattino: hanno dato la


Raffaele Del Noce e Giovanni Santorelli

loro adesione Marco Esposito e Pietro Treccagnoli della sede centrale e Nicola Battista, rappresentante delle redazioni distaccate (Avellino, dove Battista lavora, Benevento e Caserta); ha firmato “per presa d’atto” Antonio Troise, delegato della

redazione romana che con l’accordo viene soppressa; erano assenti Gianni Colucci, che ricopre il doppio ruolo di rappresentante della redazione di Salerno e segretario dell’Assostampa partenopea, e il delegato dei collaboratori Marco Di Caterino; Daniela De Crescenzo, della sede centrale, ha espresso sull'accordo un dissenso totale e ha informato con una mail tutti i giornalisti del Mattino.


L’accordo

Vediamo nel dettaglio l’accordo operativo dal primo luglio. Il primo punto è la chiusura della redazione romana, che conta sei unità: Gino Cavallo, dal due giugno trasferito a Napoli all’ufficio dei redattori capo, compie il due settembre cinquantotto anni e va in pensione; gli altri cinque (con la responsabile della redazione Teresa Bartoli, ci sono Giusy Franzese, Maria Paola Milanesio, Elena Romanazzi e Antonio Troise) hanno due possibilità: accettano il trasferimento a Napoli con lo zuccherino di una mensilità e mezzo di bonus o vanno in cassa integrazione, che l’azienda attiva per un anno, dal primo luglio 2009 al 30 giugno 2010.
Il secondo punto riguarda gli esuberi: venti redattori a tempo pieno (articoli

uno), due corrispondenti (articoli 12) da Milano (Frank Cimini) e Reggio-Messina-Catania (Antonio Prestifilippo); due collaboratori fissi (articoli 2). “Le predette eccedenze – è scritto nell’accordo – verranno gestite, oltre che attraverso il blocco del


Gianpaolo Longo e Luisa Russo

turn over, con il pensionamento di vecchiaia/anzianità, con l’attivazione degli ammortizzatori sociali, con la mobilità interna tra le varie sedi”.
Il terzo punto è la cassa integrazione che per i primi due mesi, luglio e agosto, “interesserà a rotazione l’intera platea dei giornalisti con la sola eccezione dell’ufficio del redattore capo centrale” per una durata “mediamente considerata di una settimana”. “Con effetto dal primo settembre 2009 l’intervento di cassa integrazione, a zero ore e senza rotazione, interesserà fino a un massimo di ventitre giornalisti tenendo conto che contestualmente con tale data verrà a cessare l’ufficio di corrispondenza di Roma e verranno abolite le corrispondenze dalla Lombardia, da Catania, Messina e Reggio Calabria e la collaborazione relativa ad argomenti di cronaca di natura economica”.
La seconda parte dell’accordo è una sorta di mini patto integrativo aziendale che riguarda il riposo settimanale e lo straordinario con allegate due schede.


Santa Di Salvo, Vittorio Raio e Lino Zaccaria

“Una procedura del tutto anomala, – fa notare un vecchio sindacalista – che va a incidere anche sugli straordinari dopo che il cdr ha accettato un taglio di ventiquattro unità e la cassa integrazione a rotazione di tutti i

giornalisti (ufficio centrale escluso). Senza dimenticare che l’organico del Mattino ha perso a giugno quattro redattori andati in pensione (Santa Di Salvo, Vittorio Raio, Luisa Russo e Lino Zaccaria), ad aprile Antonio Amabile, che ha dato le dimissioni, e l’ex capo cronista Gianpaolo Longo, che ha lasciato il giornale a febbraio”.


La rottura

Tra i due blocchi dell’accordo ci sono le dichiarazioni a verbale del cdr e della Fnsi (insieme alle associazioni stampa romana e napoletana). Le tredici righe scritte a penna dai componenti del cdr presenti al ministero fanno tenerezza e hanno una chiusa di umorismo involontario. “L’azienda – scrivono – ha assicurato che non saranno trascurate ‘le caratteristiche che hanno fanno del Mattino il più importante quotidiano del Mezzogiorno’ “. Ma quali sono le “assicurazioni” di cui si parla dopo che i sindacalisti del Mattino hanno per settimane sostenuto che la redazione romana era lo spartiacque tra un giornale capace di leggere il Paese con propri cronisti per una difesa piena e consapevole degli interessi del Sud e un foglio inevitabilmente destinato a una dimensione locale? Forse memori delle dichiarazioni fatte e dell’iniziativa pubblica del 18 maggio, intitolata “Un Mattino mi son svegliato”, Esposito,

Treccagnoli, Troise e Battista affermano di ritenere che “l’azzeramento delle redazione di Roma sia incoerente con tale obiettivo”. E concludono: “Il cdr pertanto auspica un sollecito ripensamento”.
È invece durissima la dichiarazione a verbale della Fnsi e delle associazioni stampa che decidono di non sottoscrivere l’accordo per una serie articolata di motivi: non c’è “contezza dei termini dell’accordo e delle ricadute contrattuali e economiche


Marco Esposito

sui singoli giornalisti”; manca un “quadro normativo preciso che assicuri certezza di condizioni del trattamento pensionistico ai colleghi in esubero”; non è “stato ultimato l’accertamento della reale sussistenza dello stato di crisi che comporta sacrifici per i livelli occupazionali della redazione e esborsi per la collettività”; non c’è il “riscontro tra i risparmi che l’azienda intende ottenere e il numero degli esuberi dichiarato”; manca “un preciso piano di rilancio”; è stata “rimarcata la volontà dell’azienda di procedere comunque alla chiusura della redazione romana”. Inoltre il sindacato nazionale e le associazioni regionali prendono “atto che una parte del cdr non ha sottoscritto l’intesa” e rilevano “la irritualità dell’accordo sul pagamento dello straordinario in presenza di tagli occupazionali”.


L’assemblea

Il giorno dopo la firma dell’accordo il cdr convoca per il pomeriggio un’assemblea, che si rivela subito calda. Si comincia con la relazione di Marco Esposito che spiega i termini dell’intesa e parla del ruolo anomalo, della Fnsi, che in alcuni passaggi ha assunto un ruolo “antagonista” rispetto al cdr, in contrasto con quanto concordato nei giorni precedenti. E anche nei giorni successivi sarà Esposito a ricoprire il ruolo di portavoce replicando alle fortissime perplessità espresse dal cdr del Messaggero e inviando una lettera


Maurizio Cerino e Giuseppe Crimaldi

aperta ai giornalisti del Mattino per rispondere alle loro domande.
Torniamo all’assemblea. Prima ci sono le richieste di chiarimenti avanzate da Gaty Sepe, Fulvio Scarlata, Federico Vacalebre, Francesco Romanetti. Poi Giuseppe Crimaldi, nella

prima fase presidente dell’assemblea (verrà poi sostituito da Maurizio Cerino), legge la nota inviata da Daniela De Crescenzo che esprime un forte critica alla firma apposta all’accordo da alcuni componenti del cdr e si dichiara invece in piena sintonia con le scelte della Fnsi; prende poi la parola l’ex cdr Enzo Ciaccio, che contesta l’accordo perché è un patto integrativo improprio che non ha niente a che vedere con la crisi e i prepensionamenti e si dichiara molto perplesso sullo strappo con la Fnsi.
Il secondo no secco arriva da Romanetti perché, dice, la precedente assemblea aveva chiarito che il cdr non aveva alcun mandato a firmare. L’assenza di un mandato e le perplessità sull’integrativo improprio, peraltro siglato in una situazione di fortissima pressione dell’azienda, vengono ribadite da Gigi Di Fiore. Esposito e Treccagnoli insistono su un punto: abbiamo firmato in buona fede il migliore accordo possibile; ma critiche e riserve continuano a piovere sul cdr con gli interventi di Scarlata, Jouakim, Sapio, Bartoli e di altri redattori e Ciaccio propone di convocare subito un’assemblea da tenere con i vertici della Fnsi. Vengono quindi presentate due proposte di voto a scrutinio segreto: la prima di Gigi Di Fiore chiede che sia messo ai

voti l’accordo firmato dal cdr in sede ministeriale; la seconda di Elio Scribani chiede di votare la fiducia al comitato di redazione. Il presidente dell’assemblea Cerino nomina quindi Carla Di Napoli presidente della commissione elettorale perché organizzi il voto.


Gigi Di Fiore e Elio Scribani

In attesa del voto la situazione a via Chiatamone rimane calda con un fitto scambio di mail e di amare previsioni su promozioni imminenti. Non bisogna però avere fretta: per sapere se è stato fatto un passo in avanti decisivo sulla strada che porta il Mattino verso il Quotidiano di Puglia piuttosto che in direzione Messaggero o è stato firmato “il migliore degli accordi possibili” sarà sufficiente aspettare qualche settimana.


Il Messaggero

Contro l’accordo del 22 giugno si sono schierati in tanti non solo a via Chiatamone, ma anche nelle sedi sindacali romane. Luigi Ronsisvalle, vice segretario della Fnsi e componente del dipartimento sindacale, il 18 maggio ha partecipato, con il presidente della Fnsi Roberto Natale e il segretario Franco Siddi, alla manifestazione ‘Un Mattino mi son svegliato’, organizzata dal cdr nell’aula del consiglio provinciale  a Santa Maria La Nova, ed è sorpreso dai cambiamenti avvenuti nell’arco di un mese.
“Quattro giorni prima dell’incontro per il Mattino – osserva Ronsisvalle – il cdr del Gazzettino di Venezia, d’intesa con Fnsi, Stampa veneta e romana, ha firmato il non accordo. E ora si stanno aprendo spazi con l’azienda per arrivare a intese che tengano conto delle richieste della redazione. All’incontro


Gino Cavallo e Antonio Troise

per il Mattino invece la Federazione e le associazioni stampa di Napoli e Roma si sono trovate davanti un’intesa già confezionata dall’azienda e dal cdr. Avevamo un mandato esplicito dell’assemblea di non firmare accordi che prevedessero la chiusura

della sede di Roma e penalizzazioni per i prepensionandi. Due punti questi indicati come irrinunciabili nell’incontro pubblico organizzato il 18 maggio a Napoli; erano irrinunciabili per gli esponenti politici intervenuti,  per i sindacalisti e anche per i componenti del comitato di redazione. Poi qualcuno ha cambiato idea”.
E Ronsisvalle respinge con energia anche l’accusa di una Federazione della stampa poco disponibile al dialogo: “Innanzitutto precisiamo che la Fnsi non può sottoscrivere accordi che violino il contratto. E la pagina sulle corte firmata al ministero del Lavoro è del tutto fuori dal contratto di lavoro, senza contare che su questo nodo due anni fa l’Assostampa napoletana aveva denunciato il Gruppo Caltagirone per attività antisindacale, ottenendo in tribunale un doppio successo. Nel corso dell’incontro ho chiesto informazioni sui dati di bilancio del Mattino, un’azienda che fino all’anno scorso ha presentato conti in attivo, e notizie certe sugli esuberi. Non ho avuto risposte, ma mi è stato detto che bisognava approvare gli accordi aziendali sulle corte e sugli straordinari come condizione imprescindibile per la firma dell’intesa. Ma si può parlare di trattativa se una delle parti non modifica in alcun punto le proprie richieste iniziali? Devo anche aggiungere che ho preso visione degli accordi aziendali soltanto tre giorni dopo l’incontro romano quando mi sono stati  inviati da alcuni colleghi di Napoli. Agli accordi erano allegati gli elenchi dei giornalisti che dovranno sottoscrivere l’intesa sullo straordinario, perché i

dirigenti del Mattino sanno bene che si tratta di diritti individuali”.
Concorda in pieno con Ronsisvalle il comitato di redazione del Messaggero che


Franco Siddi, Enzo Colimoro e Roberto Natale

il 24 giugno ha inviato una mail al cdr del Mattino. L’esordio è “cari colleghi, non vi nascondiamo la nostra viva preoccupazione per l’intesa che avete siglato a Roma la notte del 22 giugno”. Segue un riepilogo dei punti dell’accordo, appena temperato da un punto interrogativo, e un giudizio secco: ”il quadro ci pare inquietante”. Poi un passaggio sull’integrativo ‘improprio’: “quel piattino lì, degli straordinari e delle corte, ci pare davvero indigeribile”. E a dar forza alle perplessità viene aggiunta una notizia: “La mattina seguente al vostro accordo l’azienda, evidentemente ringalluzzita dallo sfondamento effettuato, ha rotto unilateralmente le trattative con noi, proprio quando vedevamo uno spiraglio di luce”.