Don Merola: "Perché
non sono parte civile"

SI È APERTO con la testimonianza dell’ex parroco di Forcella don Luigi Merola il processo per le minacce subìte dallo stesso sacerdote e dal giornalista Arnaldo Capezzuto da parte di esponenti della famiglia Giuliano. Intimidazioni dirette, telefonate, lettere anonime e sms che hanno portato al rinvio a giudizio di cinque imputati accusati di minacce e violenza privata: Luigi Giuliano e Carmela De Rosa, genitori di Salvatore, condannato

con sentenza definitiva a venti anni per l’omicidio di Annalisa Durante; lo zio di Salvatore, Guglielmo Giuliano; Salvatore Turino e Gilda D’Angelo.
Davanti al giudice monocratico Carlo Spagna, presidente dell’undicesima sezione


Luigi Merola e Carlo Spagna

penale del tribunale di Napoli, dopo Merola, hanno testimoniato Arnaldo Capezzuto e Monica Fasciglione, la segretaria di redazione di Napolipiù, il quotidiano presso il quale allora lavorava Capezzuto, che nel gennaio 2006 rispose alla telefonata con minacce di morte indirizzate al cronista: “S’adda fa i cazzi suoi, Capezzuto, o sinnò ‘o sparamm”.  
In apertura di udienza si sono costituiti parte civile Arnaldo Capezzuto, assistito dall’avvocato Cesare Amodio, e l’Ordine dei giornalisti della Campania, rappresentato dal presidente dell’Ordine degli avvocati partenopei, il civilista Francesco Caia, coadiuvato dai penalisti Giuseppe Vitiello e Salvatore Impradice. Subito dopo i testi hanno risposto alle domande del presidente, dell’accusa affidata al vice pretore onorario Maria Elena De Iuliis, dei legali delle parti civili e degli avvocati degli imputati: Giuliana Arrà per i genitori di Salvatore Giuliano, Ciro Balbo per Salvatore Turino e Gilda D’Angelo, mentre Guglielmo Giuliano è stato affidato a un difensore d’ufficio.
Secca la deposizione della segretaria di redazione che ha ripetuto in aula le minacce fatte  da una voce maschile alterata. Puntuale la testimonianza di Capezzuto che ha ricordato le intimidazioni subite perché si occupava con ritmo quotidiano di Forcella e dell’attività del clan Giuliano. Articolato e segnato dal pessimismo il quadro disegnato da don Luigi Merola, che ha lasciato il quartiere nel giugno 2007, un “quartiere dove oggi si è ripreso a


Arnaldo Capezzuto e Cesare Amodio

spacciare droga indisturbati persino davanti alla mia parrocchia”.
Poi don Merola ha spiegato a Iustitia perché è stato teste, ma non sarà parte civile: “La presenza in aula come parte civile mi appare in

contraddizione con l'essere sacerdote. Non mi sento un prete anticamorra, ma un prete che si batte per il recupero delle persone e delle realtà oppresse dalla criminalità. Non mancherà mai la mia testimonianza e la mia denuncia, perché la verità ci farà liberi, come dice Gesù nel vangelo di Giovanni; ma è altrettanto certo che da parte mia non ci sarà accanimento giudiziario”.
La prossima udienza è fissata per il 20 febbraio 2009.