Bocca 'diffamatore': 50mila €
all'Ordine avvocati di Napoli
COMINCIA IL 9 giugno davanti alla prima sezione civile della corte d'appello di Roma, relatore Giuseppe De Santis, il giudizio di secondo grado che vede contrapposti l'Ordine degli avvocati di Napoli e il giornalista Giorgio Bocca, autore di un fondino intitolato 'La capitale delle illegalità' pubblicato dal Venerdì, il magazine di Repubblica, l'otto luglio del 1994.
Il commento di Bocca arriva a distanza di soli quattro mesi dalla tempesta giudiziaria che ha messo a soqquadro Castel Capuano, facendo emergere intrecci d'affari di uomini della camorra con magistrati, avvocati e esponenti delle professioni; tra gli arresti effettuati il 7 marzo '94 ci sono magistrati del calibro di Armando Cono Lancuba, scomparso un paio di anni fa, e avvocati come Alfredo Bargi, ex senatore dc, assolto in giudizio.
Nella nota Bocca elenca una serie di comportamenti ai limiti (e oltre) della
legalità diffusi tra i cittadini napoletani; ricorda la gestione disinvolta del ministero degli Interni durante la gestione Gava; invita La Capria e altri scrittori napoletani a non dolersi poi dei "pregiudizi nordisti"; si schiera in difesa del procuratore Agostino Cordova e
Agostino Cordova, Antonio Gava e Eugenio Scalfari
spende parole dure sugli avvocati napoletani e sui rapporti di "molti" di loro con "la Camorra e il ceto politico più ladro d'Italia".
Il fondino sul Venerdì non piace ai dirigenti dell'Ordine degli avvocati di Napoli, presieduto dal civilista Francesco Landolfo, che presenta una denuncia per diffamazione nei confronti di Bocca e di Eugenio Scalfari, allora direttore di Repubblica e del Venerdì.
Al termine del lungo iter giudiziario, Bocca è stato condannato per diffamazione, con sentenza definitiva, emessa nell'ottobre 2001 dalla quinta sezione della Cassazione, presidente Franco Marrone, giudice estensore Giuseppe Sica. In primo grado l'Ordine degli avvocati di Napoli, presieduto da Francesco Landolfo e difeso dall'avvocato Paolo De angelis, si costituisce parte civile, ma l'editorialista del Venerdì e Scalfari sono assolti. Nel secondo grado la
sentenza viene ribaltata: la terza sezione penale della corte d'appello di Roma, presidente Giuseppe Pizzuti, giudice relatore Anna Maria Ciccone, il 9 marzo del 2000 condanna Bocca e Scalfari, assistiti dall'avvocato Giovanni Le Pera, al pagamento di una multa per il primo di un milione e mezzo di lire, per il secondo di un milione e delle spese di giudizio liquidate in tre milioni 580mila lire.
Ordina, per una sola uscita, la pubblicazione della sentenza sul quotidiano La Repubblica e, a titolo di riparazione pecuniaria, condanna Bocca al pagamento di trenta milioni di lire e Scalfari a venti milioni e alla rifusione delle spese legali alla parte civile liquidate in 3.580.000 lire, mentre rinvia la liquidazione del risarcimento del danno al giudizio civile.
In Cassazione viene confermata la condanna di Bocca e, per un difetto formale, annullata quella di Scalari.
Il 27 novembre 2003 arriva anche la
decisione della magistratura civile. Il giudice Alberto Bucci, presidente della prima sezione civile del tribunale di Roma, con una sentenza di poco più di una pagina, quantifica in 50mila euro e a quattromila di spese processuali il risarcimento dovuto all'Ordine partenopeo, assistito dall'avvocato Achille Janes Carratù.
"In primo grado non ottenemmo giustizia - è il commento del tesoriere dell'Ordine degli avvocati Roberto Fiore - per un articolo che diffamava


Alfredo Bargi, Achille Janes Carratù e Raffaele La Capria

l'intera città, ma alla fine il nostro diritto è stato riconosciuto. E, nei primi giorni di aprile, abbiamo approvato una delibera per destinare la somma liquidata al fondo di assistenza per avvocati e vedove di avvocati".
Com'è naturale, molto diverso il giudizio di
Bocca. "Di citazioni ne ho avute tante - dichiara a Iustitia - e non le seguo più. Però questa degli avvocati me la ricordo perché ero stato a Napoli per una serie di inchieste e avevo intervistato il procuratore Cordova, che mi sembrava determinato a far rispettare la legge. Non so cosa sia successo negli anni successivi; forse è 'impazzito' perché si è accorto di essere impotente".
"Quanto alla sentenza di condanna in favore degli avvocati napoletani - continua Bocca - devo dire che mi ha lasciato interdetto, anzi esterrefatto perché dimostra l'abisso che separa la giustizia formale da quella reale. Siamo di fronte a una decisione corporativa, perché esiste una giustizia dei legulei che non è vincibile. Pensiamo all'attività da anni messa in campo a livello nazionale dagli avvocati di Previti e Berlusconi. È comunque una giustizia che emette multe, ma moralmente non conta niente".