Miller deve restituire
53mila euro all'Unità

DOPO DUE sconfitte nette l’Unità si aggiudica un round decisivo nella vicenda giudiziaria che la vede contrapposta al magistrato Arcibaldo Miller.
In sintesi i fatti. Nel maggio del 2002 la giornalista Sandra Amurri pubblica sull’Unità un articolo intitolato ‘Quell’ispettore dai rapporti inopportuni’, completato dal catenaccio ‘Tra i tecnici chiamati da Castelli (allora ministro della Giustizia, ndr) per i controlli su Napoli anche Arcibaldo Miller, ex indagato per amicizie pericolose’. Il direttore del quotidiano è Furio Colombo, il rappresentante legale Giorgio Poidomani, la società

editrice è la Nie, la Nuova iniziativa editoriale spa.
Miller non gradisce l’articolo e quattro mesi dopo cita l’autrice, il direttore, l’amministratore e la società chiedendo un risarcimento di 250mila euro.

Francesco Barra Caracciolo e Martino Umberto Chiocci

Nell’aprile del 2005 il giudice della prima sezione civile del tribunale di Roma Maria Rosaria Rizzo accoglie le tesi di Miller, assistito dagli avvocati Giovanni Arieta e Francesco Barra Caracciolo, e condanna Amurri, Colombo e Poidomani a un risarcimento di 42mila euro cui vanno aggiunti settemila euro di spese legali. Nel giugno del 2010 la sentenza viene confermata dalla Corte d’appello di Roma, che aggiunge altri 4.700 euro di spese legali, ma l’avvocato Martino Umberto Chiocci, che difende l’Unità, presenta ricorso in Cassazione.
Il 12 marzo la terza sezione civile, con presidente Giovanni Battista Petti, consiglieri Danilo Sestini, Francesco Maria Cirillo, Antonella Pellecchia e Marco Rossetti relatore, deposita la sentenza con la quale, come del resto chiesto anche dal sostituto procuratore generale Giuseppe Corasaniti, il ricorso viene accolto.
Nelle undici pagine la Cassazione smonta riga per riga la decisione della Corte d’appello (presidente Roberto Cimorelli Belfiore, consiglieri Fabrizio Mancuso e il relatore Gerardo Sabeone), usando anche espressioni molto ruvide, ed è un’articolata e argomentata difesa delle libertà di critica.
La motivazione dei giudici di secondo grado “è gravemente viziata sul piano della esaustività, su quello della logica e su quello della coerenza”.
Sul primo punto il relatore Rossetti scrive: “la Corte d’appello ha affermato in astratto che l’articolo suggeriva al lettore cattivi pensieri sullo scopo della nomina di Miller a ispettore, ma non ha spiegato in pratica donde avesse tratto tale convincimento”.
Secca la stroncatura sul piano della logica: “se una critica non è motivata

Giorgio Poidomani

essa è gratuita e perciò denigratoria; se una critica è troppo motivata essa sarebbe ugualmente denigratoria. Tale ‘reductio ad absurdum’ rende evidente il vizio logico da cui ha preso le mosse la sentenza impugnata, e cioè ritenere denigratorio impiegare troppi particolari per spiegare le ragioni della propria critica politica”.
Arriviamo alla ‘coerenza’: ”la neutralità è requisito che può esigersi dal giornalista

che riferisce fatti, non da quello che formula giudizi di critica politica. Non solo, infatti, qualsiasi giudizio politico di per sé non può essere neutro, ma anzi l’opinionista politico, una volta correttamente dichiarata quale sia la propria ideologia di partenza, ha il preciso dovere di non essere neutro, posto che in un ordinamento democratico è proprio l’alternarsi di tesi e antitesi, nel libero dibattito sui mezzi d'informazione, che consente al lettore di raggiungere una nuova e più esauriente sintesi. Per i fini che qui rilevano, dunque, l’ascrivere a un giornalista di non essere stato ‘neutro’ nell’esprimere delle opinioni è una motivazione incoerente, perché da un giornalista d’opinione può esigersi di non essere mendace e di non indulgere al turpiloquio, non di essere ‘neutro’ ”.
Potrebbe bastare, ma la Suprema corte va avanti e pianta anche i paletti per un'eventuale valutazione negativa dell’articolo ‘incriminato’: “la sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale nel motivare la propria decisione: a) ove ritenga denigratorio l’articolo oggetto del giudizio, avrà cura di indicare i passi, le proposizioni, gli

accostamenti o le metafore aventi contenuto diffamatorio; b) eviterà di fondare la propria decisione sul mero richiamo alla ‘dovizia di particolari’ contenuti nell’articolo; c) eviterà di esigere da un giornalista di opinione una posizione neutrale nell’esprimere critiche politiche”.
E in chiusura di sentenza il giudice relatore ribadisce: “non lede l’onore altrui il giornalista che, per esprimere un

Furio Colombo (*)

giudizio negativo sul conferimento di un incarico politico, riferisca di procedimenti penali e disciplinari cui in passato venne sottoposta la persona incaricata, se i fatti riportati siano veri, il tono non sia offensivo e si dia correttamente conto dell’esito assolutorio di quei procedimenti”. 
Che succede ora? La causa deve essere riassunta davanti alla Corte d’appello di Roma entro sei mesi dal deposito, che diventano sette con la sospensione feriale, e quindi entro il 12 ottobre. Arcibaldo Miller ha davanti tre strade: non riassume il giudizio e la storia finisce qui; va avanti con un nuovo processo davanti alla Corte d’appello; avvia una trattativa con i legali dell’Unità per cercare di strappare uno sconto e non restituire per intero i 42mila euro intascati ai quali vanno aggiunti gli 11.700 euro di spese legali e gli interessi maturati nei dieci anni trascorsi dalla sentenza di primo grado. 


(*) Da www.dagospia.com