Condannata l'Unità,
42mila euro a Miller

AVEVA CHIESTO UN risarcimento di 250mila euro; il giudice gliene ha riconosciuti 42mila. Nel settembre 2002 Arcibaldo Miller, magistrato napoletano di 57 anni, aveva citato in giudizio la giornalista Sandra Amurri, il direttore dell’Unità Furio Colombo e Giorgio Poidomani, rappresentante legale della Nuova Iniziativa Editoriale, la spa che edita il quotidiano, per un articolo pubblicato il 14 maggio 2002, intitolato “Quell’ispettore dai rapporti inopportuni”, con catenaccio “Tra i tecnici chiamati da Castelli per i controlli su Napoli anche Arcibaldo Miller, ex indagato per amicizie pericolose”.
Il 4 aprile 2005 il giudice Maria Rosaria Rizzo, della prima sezione civile del

tribunale di Roma, ha emesso la sentenza, condannando la Amurri, Colombo e Poidomani a pagare un risarcimento di 40mila euro, cui vanno aggiunti duemila euro di sanzione pecuniaria inflitta alla Amurri, in quanto autrice dell’articolo, e settemila euro di spese legali.
La Rizzo, salernitana, quarantasei anni, in magistratura dal 1987, per


Furio Colombo e Giorgio Poidomani

alcuni anni distaccata al ministero della Giustizia, nella sentenza riepiloga i passaggi indicati come diffamatori nella citazione presentata da Miller, con l’assistenza degli avvocati Giovanni Arieta, professore straordinario di Diritto e procedura civile all’università di Camerino, e Francesco Barra Caracciolo.
“Le attribuzioni offensive” lamentate dal magistrato napoletano, che il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha nominato nel maggio scorso capo dell’ufficio ispettivo del dicastero di via Arenula, sono sei. La prima e la più importante: “essere stato chiamato, in qualità di vice capo dell’ispettorato del ministero della Giustizia, a investigare proprio sul comportamento degli ex colleghi di ufficio”. Tra le altre “attribuzioni offensive” fatte dall'Unità a carico di Miller: “aver affermato il falso negli interrogatori resi al pm di Salerno dichiarando di conoscere soltanto di vista Mimmo Sarmino, ammettendo solo successivamente di avere avuto rapporti diretti con lui, capozona a Ercolano del boss Carmine Alfieri”; “di aver affermato il falso dichiarando al pm Bonadies di non sapere che la madre dell’avvocato Esposito gestiva una casa di appuntamenti, pur avendo indagato nel 1982, insieme ad Alfredo


Giovanni De Rosa e Alfredo Fino

Fino, la detta signora (Maria Esposito, ndr) e la figlia Aurora, per sfruttamento della prostituzione”; infine l'accusa all’Unità che, “nel pubblicare una lettera di rettifica del capo dell’ispettorato, dottor Schiavon, relativo all’esatta qualifica del dottor Miller – ispettore generale capo – e alla non vera sua partecipazione al gruppo di

ispettori inviati a Napoli, aveva aggravato l’illecito, anche con apprezzamenti ironici, per poi sottrarsi all’obbligo di pubblicare una ulteriore rettifica dello stesso Schiavon”.
Il giudice Rizzo non presta grande attenzione alle varie e gravi “attribuzioni offensive”, né alla qualifica imprecisa riportata dall’Unità, ma si concentra sul primo punto, le possibili ispezioni a Napoli, evidenziato dalla titolazione dell’articolo.
“Un sostanziale rilievo – è scritto nella sentenza – assume la mancata dimostrazione della verità della notizia, per come presentata, dell’incarico al dottor Miller, ‘ex indagato per amicizie pericolose’, dei ‘controlli su Napoli’ e della circostanza che egli ‘oggi potrebbe investigare proprio sui comportamenti e sugli atti degli ex colleghi di ufficio’ (vedi sottotitolo e testo dell’articolo). Questi particolari costituiscono il nucleo informativo qualificante della notizia e del giudizio fortemente critico dell’articolo, e ciò, oltre che per il suo contenuto, anche per il titolo e sottotitolo, che rendono esplicito già nell’immediata percezione, il suo reale significato e l’intenzione dell’autore”.

“L’intero contesto espressivo – continua il magistrato – evidenzia immediatamente la grave anomalia di un ex indagato chiamato a un incarico ispettivo, in quel momento particolare e per quelle verifiche particolari; incarico che avrebbe potuto riguardare anche persone di colleghi, che in passato avevano indagato sul


Francesco Barra Caracciolo e Martino Umberto Chiocci

suo conto per fatti di rilievo penale. Il dottor Miller viene così presentato come un inquisitore chiamato e postosi nella condizione di esercitare non tanto una legittima funzione di controllo istituzionale, quanto possibili atti di ritorsione e di personale vendetta. Non si tratta quindi di semplici inesattezze (dati insignificanti ovvero irrilevanti, come sostenuto dai convenuti), ma degli elementi qualificanti la intenzione di attribuire, non solo al capo dell’ispettorato, responsabile del conferimento dell’incarico, ma anche al dottor Miller per avere accettato una iniziativa inquinata all’origine da un serio sospetto di mancata trasparenza e scarsa obiettività”. La Rizzo ne trae quindi la conclusione che “siamo ben lontani dall’ipotesi di un giudizio di mera opportunità per l’inquadramento nell’organico dell’ispettorato e sul conferimento in via generale delle relative funzioni a un magistrato in passato coinvolto in inchieste per gravi episodi (anche se tutte risoltesi favorevolmente); giudizio critico che avrebbe costituito un legittimo, anzi il doveroso, compito di una stampa libera e informata, costituzionalmente garantito”.
Contro la sentenza del tribunale di Roma Martino Umberto Chiocci e Oreste Flamminii Minuto, i legali che assistono la Amurri, Colombo e l’Unità, hanno annunciato a Iustitia che l’appello verrà presentato a settembre.


Alfredo Guardiano e Raffaele Numeroso

Intanto i commenti alla decisione delle prima sezione civile sono piuttosto critici. “La sentenza – osserva un legale che da decenni si misura con le molte facce della diffamazione – sembra dar ragione a chi, a destra comea sinistra, tra gli avvocati e i tra i docenti di diritto, teorizza che non può essere un magistrato a giudicare un magistrato, ma bisogna esplorare

nuove soluzioni. In ogni caso è necessario evitare che ci sia anche solo l’ombra del sospetto di un condizionamento. Nel giudizio per l’articolo dell’Unità comunque chi decideva aveva di fronte il capo degli ispettori del ministero che un giorno potrebbe doversi occupare della sua attività”.
Critico su un altro versante un veterano della cronaca giudiziaria romana.
“La sentenza del giudice Rizzo – dice – mi lascia francamente perplesso: la decisione viene centrata sul ‘possibile’ invio a Napoli dell’ispettore Miller, che, peraltro, l’Unità ha enfatizzato piazzandolo nel titolo. Si tratta però, come si evince dall’articolo, di una semplice ipotesi. E le perplessità espresse dalla giornalista sulla scelta di Schiavon, evidentemente, non sarebbero cambiate nel caso di un invio del neo ispettore a Perugia o a Palmi. Non solo. Le duecentouno righe scritte da Sandra Amurri sono zeppe di notizie importanti e gravi, alcune addirittura esclusive, ma su queste il giudice tace. Sottolinea invece che un ‘giudizio critico avrebbe costituito un legittimo, anzi il doveroso, compito di una stampa libera e informata, costituzionalmente garantito’. Infine un dato assolutamente sorprendente per una costruzione, la sentenza della Rizzo, che sembra giudicare offensiva, e comunque non supportata da elementi concreti, l’ipotesi dell’invio a Napoli di Miller come ispettore:

nell’aprile 2004 Miller è stato spedito come ispettore al tribunale di Napoli per la scarcerazione di un boss della camorra”.
Il 7 aprile dell’anno scorso infatti Miller, con Giovanni Schiavon, ha fatto un’ispezione al tribunale di Napoli perché era tornato in libertà per decorrenza termini il capo clan dei Campi flegrei Paolo Sorprendente e ha incontrato i


Carmine Alfieri e Paolo Sorprendente

magistrati della quinta sezione penale (il presidente Clara Donzelli e i giudici Alfredo Guardiano e Rossella Tammaro), che avevano disposto la scarcerazione. I due ispettori hanno incontrato anche i vertici della magistratura partenopea: il presidente del tribunale Giovanni De Rosa, il procuratore generale Vincenzo Galgano e il presidente della corte d’appello Raffaele Numeroso.

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