Siani, il Mattino
ignora don Ciotti

È UN UOMO testardo don Luigi Ciotti, direttore del mensile Narcomafie e presidente dell’associazione Libera. E il 23 settembre nella sala Siani del Mattino, in occasione della consegna dei premi intitolati al cronista ucciso dalla camorra nel 1985, ha rilanciato una sua proposta: per dare un segnale forte il Mattino deve inserire il nome di Giancarlo Siani nella gerenza del giornale.
Già nel 2005 aveva avanzato l’idea e questa volta l'ha ripetuta con forza con

la sua voce profonda in una sala affollata da rappresentanti delle istituzioni locali (Alfredo Ponticelli, Leonardo Impegno, Luigi Rispoli, mentre Bassolino era da poco andato via), delle forze dell’ordine (il questore Santi Giuffrè e i generali Franco Mottola


Santi Giuffrè, Giuseppe Mango e Franco Mottola

e Giuseppe Mango) e della magistratura (l’aggiunto della procura di Napoli Aldo De Chiara), con il coordinamento dei lavori affidato al direttore del Mattino Virman Cusenza e all'ex redattore capo Pietro Gargano.
Sul nodo Siani il quotidiano di via Chiatamone ha sempre seguito un doppio binario. Un cronista rivendicato a pieno titolo dall’azienda quando si parlava del ‘santino’ Giancarlo; una prudenza grande invece su tutti i terreni a rischio scivolosità perché Siani è morto da abusivo (lavorava da tre mesi alla cronaca cittadina, ma aveva ancora il contrattino da corrispondente da Torre Annunziata) e la certezza della sua assunzione in tempi brevi sta soltanto nelle dichiarazioni rilasciate dai vertici del giornale dopo l’omicidio.
Da allora è cambiato l’editore; sulla poltrona di Paquale Nonno si sono seduti cinque direttori; ma il direttore amministrativo, oggi ufficialmente consulente, è ancora il direttore di un quarto di secolo fa, Massimo Garzilli.


Antonio Bassolino, Lucio D'Alessandro e Leonardo Impegno

In ogni caso il giorno successivo nella gerenza del Mattino il nome di Giancarlo Siani non c’era e la proposta di don Ciotti non ha trovato spazio neanche nel resoconto dei premi firmato da Daniela De Crescenzo. Nel resoconto mancano anche i pochi lampi arrivati dagli

interventi di alcuni dei premiati. Basti citarne qualcuno. Antonio D’Ambrosio, autore con Esmeralda Calabria e Peppe Ruggiero del documentario ‘Biutiful cauntri’, nel ritirare il primo premio si è detto dispiaciuto del fatto che Bassolino fosse subito andato via. “Avrei voluto fargli sapere  – ha aggiunto – che a me piaceva il Bassolino che sfilava per Mimmo Beneventano (il consigliere comunale del Pci a Ottaviano ucciso dalla camorra nel novembre del 1980, ndr)  ma non piace per niente il Bassolino degli ultimi anni, il Bassolino della spazzatura”. Ex aequo con gli autori di ‘Biutiful cauntri’ è stato premiato il giornalista siciliano Alberto Spampinato per il libro ‘C’erano bei cani ma molto seri. Storia di mio fratello Giovanni’, corrispondente da Ragusa del quotidiano L’Ora di Palermo ucciso dalla mafia nell’ottobre del 1972. Il secondo premio è andato a Vittorio Mete per il libro ‘Fuori dal comune’, un’indagine sui comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. Dalla metà degli anni novanta, ha ricordato Mete, calabrese di Lamezia che lavora all’università di Firenze, c’è stata una riduzione drastica nel numero di comuni

sciolti per mafia, imputabile soltanto al calo di attenzione dello Stato, perché si era esaurita l’onda emotiva delle stragi, e alla colpevole disattenzione dei media.
Stimolanti alcuni dei premiati; rituale e melassica la gran parte degli interventi istituzionali,


Mino Jouakim, Roberto Morrione e Laura Tricomi

con il preside della facoltà di Scienze della formazione del Suor Orsola Benincasa Lucio D’Alessandro, che ha accostato Giancarlo Siani a Gaetano Filangieri e Ferdinando Galiani. Retorici gli interventi, sciatti alcuni dei resoconti: al premio Siani Ansa Napoli ha dedicato quattro take firmati da tre cronisti, tra cui Franco Tortora che cita “l’imprenditore Peppino Impastato”.
Una menzione è andata all’attore Libero De Rienzo, che interpreta Giancarlo Siani nel film di Marco Risi Fortapàsc, premiato da don Luigi Ciotti mentre correggeva a penna sulla pergamena il Di Rienzo in De Rienzo.
A don Ciotti Iustitia ha chiesto il perché di un singolare appello pubblicato dal Mattino alla vigilia del giudizio d’urgenza promosso dall’ex capo redattore Mino Jouakim che, ritenendosi diffamato da come era stato rappresentato nel film, chiedeva il sequestro della pellicola; richiesta poi respinta dal giudice.
L’appello era chiaro fin dal titolo: “Non fermate Fortapàsc”, che suonava come una sorta di invito al giudice Laura Tricomi a soprassedere su eventuali


Lirio Abbate, Lorenzo Clemente e Libero De Rienzo

forzature, più o meno ‘diffamatorie’, perché “il sequestro del film sarebbe una beffa per Giancarlo e per tutti quelli che gli hanno voluto bene”. In calce le firme di don Luigi Ciotti, del cronista dell’Ansa minacciato dalla mafia Lirio Abbate, di Geppino Fiorenza, di

don Tonino Palmese, di Lorenzo Clemente, marito di Silvia Ruotolo uccisa dal fuoco impazzito di camorristi nel giugno 1997, di Paolo Siani e del giornalista Roberto Morrione. “Ho firmato l’appello – ha spiegato don Ciotti – perché me lo hanno sottoposto persone che stimo e sono documentate sui fatti di cui si parla come Roberto Morrione e Paolo Siani. In ogni caso da parte mia non c’era nessuna volontà di interferire sul lavoro dei magistrati che va sempre rispettato”.