Cdr Mattino, vanno
in campo i senatori

I GIOVANI DI sindacato non sanno quasi niente e/o non vogliono saperne niente e allora, per il rinnovo del comitato di redazione del Mattino, sono scesi in campo i senatori. Quattro i candidati: Gianni Ambrosino, di anni sessanta (tra pochi giorni); Bruno Buonanno, cinquatasette anni a dicembre; Enzo Ciaccio, anni cinquantasei; Francesco Romanetti, il più giovane, che cinquant’anni li compie la prossima primavera; età media poco meno di

cinquantasei anni.
Si è votato domenica 28 maggio e lunedì 29 fino alle venti. Poco dopo la commissione elettorale (presidente Enzo Pagliaro, a latere Anna Maria Asprone e Alessandra Chello) ha fornito i risultati: eletti per la redazione centrale

Bruno Buonanno, Giusy Franzese e Antonio Troise

Ambrosino, Romanetti e l’immarcescibile Ciaccio, in carica da anni; per la redazione di Salerno Gianni Colucci; per le altre redazioni Rosaria Capacchione, della sede di Caserta; per i collaboratori Domenico Barbati.
Manca il rappresentante della sede romana perché i giornalisti (il responsabile Gino Cavallo, la vice Teresa Bartoli, Giusy Franzese, Maria Paola Milanesio, Elena Romanazzi, Claudio Sardo e Antonio Troise) non hanno raggiunto l’accordo su chi candidare. Vero è che la sede capitolina è una riserva indiana destinata all’estinzione perché l’editore del Mattino Caltagirone ha a Roma l’ammiraglia del suo gruppo editoriale, il Messaggero; altrettanto vero che più di un redattore ha rapporti familiari che danno garanzie assolute; vero è che il sindacato vive una fase di debolezza e disaffezione, che al Mattino sta facendo registrare primati negativi a ripetizione; resta, in ogni caso, un segnale sorprendente e allarmante che in uno dei primi dieci quotidiani italiani i giornalisti arrivino a non eleggere il rappresentante sindacale.
Torniamo a via Chiatamone. Nelle urne ha trovato conferma l’accordo anomalo siglato da Ambrosino, da sempre vicino al centrodestra ed esponente dell’ala sindacale conservatrice, e Romanetti, nel sindacato e in politica


Anna Maria Asprone, Ermanno Corsi e Giacomo Lombardi

saldamente schierato a sinistra; sono state infatti trenta le schede con i due nomi bloccati. A prima vista, l’accordo ricorda un intesa siglata una quindicina di anni fa dalle due anime del sindacalismo partenopeo. Quando nel 1992, alla vigilia delle elezioni per

Ordine e Assostampa, l’intesa tra Giacomo Lombardi, guida del gruppo conservatore, e Ermanno Corsi, negli anni settanta alla testa dei rinnovatori, venne riproposta in un’assemblea, un gruppo di giovani, concentrato soprattutto al Mattino (guidato da Romanetti) e alla Rai, con redattori anche di altre testate (Ansa, Repubblica, Unità) , bollò la spartizione definendo l’intesa di Lombardi e Corsi lo “zuppone” e presentò una lista alternativa, chiamata Autonomia e professionalità.
Un paragone che Romanetti respinge con forza. “Parlare di ‘zuppone’ – sostiene – è una sciocchezza madornale. Noi due abbiamo soltanto preso atto di una crisi profonda del sindacato interno che si trascina da anni. Una crisi confermata dal fatto che, venti giorni prima del voto, l’appuntamento per la presentazione delle candidature al cdr è andato deserto”. Ricorda che con Ambrosino è nata una discussione perché entrambi avvertivano la necessità di tornare a impegnarsi in prima persona nel sindacato aziendale e che più volte, nel corso delle assemblee semideserte tenute al giornale, era emersa una sintonia sulle iniziative sindacali da adottare.
“Rivendico tutta la mia diversità da Ambrosino; - ci tiene a precisare Romanetti – e, quando si voterà per l’Assostampa, faremo probabilmente

riferimento a liste diverse. Oggi però è indispensabile ritrovare in redazione compattezza e unità sindacale nei confronti dei vertici dell’azienda (il presidente dell’Edime Albino Majore e il direttore generale Massimo Garzilli, ndr) e del direttore politico


Francesco Gaetano Caltagirone, Massimo Garzilli, Mario Orfeo

(Mario Orfeo, ndr). C’è da far capire ai nostri interlocutori che il sindacato esiste e dialogare con il sindacato non è una concessione, è un dovere. E il contratto di lavoro non è una piattaforma sindacale, un documento di parte, ma un patto sottoscritto da giornalisti ed editori, quindi va semplicemente applicato, non ridiscusso ogni volta. Sembrano ovvietà, ma non al Mattino dove vanno recuperate regole smarrite nel tempo. Non dimentichiamo che nello scorso novembre il nostro è stato l’unico quotidiano costretto a fare un terzo giorno di sciopero aziendale, accanto ai due proclamati dalla Fnsi, per difendere il diritto a scioperare contro le forzature dell’Edime. Uno sciopero proclamato non dal cdr allora in carica (Paolo Barbuto, Maurizio Cerino e Enzo Ciaccio, ndr), ma dalla redazione”.
Romanetti è anche fiducioso che avere un cdr di ufficiali (Ambrosino è redattore capo, fa parte dell’ufficio centrale, è presidente dell’Associazione napoletana della stampa; Ciaccio è inviato; Romanetti è vice redattore capo, responsabile degli Esteri) non costituirà un problema: “Oggi non ci sono alternative; mancano giovani e redattori senza gradi disposti a candidarsi”. E indica le tre priorità individuate dal comitato di redazione: organico, organizzazione del lavoro e uso delle tecnologie. In particolare è urgente intervenire sull’organico dal momento che il giornale da aprile ha perso due capi servizio, Franco Mancusi e Manuela Piancastelli, vice responsabile


Paolo Barbuto, Silvio Bruno Geria e Manuela Piancastelli

del settore Interni. E non è stato rinnovato il contratto a termine a Silvio Bruno Geria, che sostituiva la Piancastelli in malattia.
È probabile che il nuovo cdr non abbia il gradimento del direttore Orfeo e del redattore capo centrale Antonello Velardi; le voci di via

Chiatamone davano Buonanno come candidato del tandem e Buonanno è risultato l’unico non eletto. Ma per capire che rapporto si andrà a stabilire tra direzione politica e cdr bisognerà attendere i primi confronti, a meno che Orfeo non si decida a giocare d’anticipo.
Quando, venti anni fa, Giacomo Lombardi, occupando la poltrona di redattore capo centrale e quella di presidente dell’Assostampa, provò a condizionare con una manovra a tenaglia il direttore Pasquale Nonno, che da meno di un anno aveva assunto la guida del Mattino, il direttore reagì ponendo a Lombardi un aut aut: o il giornale o il sindacato. E Lombardi fu costretto ad abbandonare l’Assostampa, affindandone la guida a un suo fedelissimo, Lello Barbuto, che alle elezioni era risultato primo dei non eletti. Altri tempi, altra azienda, altra redazione. E poi Mario non è Pasquale.