Papere e papaveri
di Josef K. Byte
OLOCAUSTO

Tra le cose belle della vita, almeno della vita nostra, c’è il calcio: da quello praticato in gioventù – con un bilancio di due autogol, due rigori causati e un fallo da espulsione su un nostro compagno di squadra, e non stiamo scherzando – a quello seguìto, in poltrona, da spettatori appassionati. Adesso, però, tra violenze negli stadi, partite truccate,

calcioscommesse, ci vogliono togliere anche questo giocattolo; e quello che abbiamo letto il 27 agosto sull’edizione napoletana di Repubblica è stato forse il colpo definitivo a un amore antico. Si parla delle tormentate vicende societarie del Napoli, tra
Aurelio De Laurentiis e Luciano Gaucci
curatori fallimentari (Nicola Rascio), consulenti (Francesco Fimmanò), giudici (Vito Frallicciardi), avvocati (Giulia Buongiorno) e aspiranti proprietari (Luciano Gaucci, Paolo De Luca, Aurelio De Laurentiis). L’articolo di Marco Azzi, intitolato “Figc, blitz fallito al Tar del Lazio”, ci aggiorna sulla situazione, ma per renderla più chiara è stato deciso di pubblicare anche una tabella. Il responsabile Giustino Fabrizio deve averlo detto al vice Domenico Del Prete, che a sua volta ha dato l’incarico al caposervizio del desk Marco Sarno, che forse l’ha subappaltato a uno dei Giganti, Ottavio Ragone, Paolo Russo e Edoardo Scotti. Ecco così una freccia con la scritta “Le tappe del caso”: sono quattro, messe in fila, e tutte sovrastate dalla cifra 839, finita lì per errore o per un codice demonologico-massonico che ci sfugge. La prima tappa: “Domani torna il processo”. La seconda: “1° settembre, consiglio Figc”. La terza: “12 settembre, via alla serie B”.


Francesco Fimmanò, Vito Frallicciardi e Nicola Rascio

La quarta: “Uccisi all’arrivo ad Auschwitz”.
No, questo è troppo: capiamo la delusione dei tifosi azzurri, la voglia di ripartire da zero, di fare piazza pulita dagli errori del passato, ma come soluzione, una soluzione finale, questa ci sembra

mostruosa. A meno che, poiché la speranza è l’ultima a morire, non si sia trattato dell’ultima, inspiegabile topica di quei felici redattori svagati: gli unici capaci di confondere un campo di calcio con un campo di concentramento.

 
IN ACQUA

Il clima olimpico ha contagiato anche i giornali: tutti a caccia di record. Un buon primato lo stabilisce la Repubblica, nella specialità del due senza, che non ha a che vedere col canottaggio, trattandosi, per esteso, del due scemenze senza pensare. Il 18 agosto Maurizio Crosetti si occupa degli atleti americani che gareggiano nel nuoto e nel basket, puntando sulla messe di medaglie di Michael Phelps, che in acqua è nel suo elemento naturale, diversamente dai deskisti, che, quando si tratta di
didascalie, sembrano essere pesci fuor d’acqua. Leggiamo: “Nessun velocista Usa è entrato in semifinale e nessuno sarà nella finale dei 100 stile libero. Non accadeva dal 1980”. La vera notizia sarebbe stata se gli Stati Uniti, senza nuotatori in
Michael Phelps (dal sito di Raisport)

semifinale, ne avessero qualificato uno in finale, magari facendolo spuntare a sorpresa in superficie, sorridente come le ragazze del nuoto sincronizzato; e non accadeva dal 1980 semplicemente perché, a Mosca, gli americani non ci andarono proprio, per la vicenda del boicottaggio. Con lo stesso criterio, anche il qui presente K. Byte non le ha mai prese da Mike Tyson.

 
WATERLOO

Invidiosi, anche i colleghi di Repubblica.it hanno cercato fino all’ultimo di eccellere nella stessa specialità, e ci sono riusciti in extremis, il 30 agosto. La pagina del sito dedicata alle Olimpiadi è sovrastata da un fascione che, se è pubblicità, non è chiaro a cosa si riferisca: si vede la sagoma di Napoleone e una freccia che indica Waterloo. Più probabilmente, è una promessa di débacle, che arriva puntuale. Prima notizia: “La finalissima della pallavolo è finita come 4 anni fa ad


Stefano Baldini (dal sito della Fidal)

Atlanta, quando l’Italia venne sconfitta dall’Olanda”. Bruciante batosta, certo, ma quattro anni fa le Olimpiadi si sono svolte a Sydney: comunque, anche per i giornalisti, l’importante è partecipare. Seconda notizia: l’inviato ad

Atene Andrea Galdi commenta la bella vittoria di Stefano Baldini nella maratona, e scrive che “per l’Italia è l’oro numero 12”. Per la verità, di ori l’Italia ne ha vinti dieci: a meno di non voler considerare anche quelli vinti, nel due senza, dal dream team di Repubblica.

 
LABIRINTO

Il dubbio, magari, può venire: discutendone a cena, al terzo limoncello, l’attimo di confusione è possibile. Dovendo fare un titolo a cinque colonne tanto vale controllare, o, almeno, leggere con attenzione l’articolo. Così, il 28 agosto, nel settore Attualità del Mattino, l’apertura è questa: “Così fu distrutta la civiltà micenea / Trovate le tracce della catastrofe di 3400 anni fa che fece nascere il mito di Atlantide”. Nel
pezzo di Federico Ungaro è scritto correttamente che si sta parlando di civiltà minoica: quella del re Minosse e dell’isola di Creta, e non quella di Micene e del Peloponneso. Il giorno dopo, una rettifica ben visibile, in un riquadro:
Il Mattino del 28 agosto

possiamo immaginare come sia sobbalzato Ungaro a leggere quel titolo. Ma li capiamo, i giornalisti del Mattino: poiché il mito colloca a Creta il labirinto di Dedalo, tra quelle vie cieche, e i ricordi di scuola, si sono smarriti anche loro.

 
GRISBI

Non è il colpo del secolo, ma poco ci manca, a giudicare dal rilievo che gli ha dato il direttore del Corriere del Mezzogiorno Marco Demarco. È infatti il titolo di spalla della prima pagina del 22 luglio: “Narcotizzati e derubati in casa / Una brutta notte a Porto Cervo”. Le vittime sono l’imprenditore napoletano Luciano Cimmino, la cui foto a colori campeggia accanto al titolo, e sua moglie. Nella sua villa in Sardegna deve aver visto l’inferno. A pagina 5, su un titolo a piene colonne, c’è anche una serie di disegni a corredare l’articolo: nel primo, la piantina dell’appartamento, col percorso seguìto dai ladri; poi la macabra scena del delitto, con le vittime che dormono mentre una sagoma traffica sui comodini, con ingrandimenti della bomboniera di ceramica da cui è stato sottratto il bottino, e del portafogli lasciato intatto; infine, ancora il portafogli, oltraggiosamente abbandonato su un divano. Abbiamo rivissuto l’orrore delle meticolose ricostruzioni del delitto di Cogne.
Nell’articolo di Vito Faenza si sente quasi il brivido di una corrispondenza di guerra. Innanzi tutto, il ritratto della vittima: “nonostante il furto, Luciano Cimmino non perde la sua tradizionale calma e racconta quanto è avvenuto”. Ma non fatevi ingannare da questa flemma apparente; l’uomo è capace di impeti felini, improvvisi e


Luciano Cimmino, Marco Demarco e Vito Faenza

temerari: “Alle sei, quando mi sono svegliato, non ho esitato un attimo a mettermi seduto sul balconcino a leggere un giornale”. Lo vediamo indugiare solo un momento, poi, con un ghigno alla Clark Gable, mormorare “al diavolo, sia quel che

sia”, e spaparanzarsi a guardare con aria di sfida il sole che sorge. È a questo punto che si accorge che la casa è a soqquadro. Il furto è di quelli che farebbero raggelare anche Scotland Yard: sono spariti quattro anelli, che la moglie di Cimmino – e vorremmo risparmiarvi questo particolare straziante – “purtroppo si era tolti perché nei primi giorni di mare le si erano gonfiate le dita”. I ladri però non hanno toccato i quattrocento euro che erano sotto il portafogli, e qui si sente che Cimmino ha in sé anche la tempra del detective: “Fin troppo evidente che i ladri hanno agito al buio e che quindi hanno preso solo gli oggetti visibili” (gli anelli chiusi ben visibili nella bomboniera, cioè, ignorando il portafogli, dove in genere si trovano solo i conti del ristorante). Ma Faenza sul fronte investigativo non vuole essere da meno: in Sardegna i furti nelle case sono frequenti, e “i ladri, italiani o stranieri che siano, prediligono piccoli oggetti, gioielli in particolare, perché possono essere anche ingoiati”. È vero: abbiamo conosciuto un mariuolo che lasciò perdere dei lingotti d’oro perché non riusciva a mandarli giù, forse in ansia pensando alla fase del recupero.
Ma vi state chiedendo perché il furtarello di quattro anelli sia stato trattato dal Cormezz come un colpo a Fort Knox? Perché a luglio scarseggiano le notizie, ecco perché. Non c’entra niente che la vittima, Luciano Cimmino, faccia parte del consiglio d’amministrazione della società editrice del giornale.

 
ETNÌE

In un’epoca in cui il mondo sta andando a rotoli per una guerra mondiale (lo è, lo è) che si traveste anche da lotta tra civiltà contrapposte, viene quasi da rimpiangere il buon vecchio razzismo nostrano fatto di terroni e polentoni. Un po’ di nostalgia dunque leggendo il lancio dell’Ansa partito da Pescara il 9 agosto, in cui si legge: “Due uomini del Napoletano, Aniello Loira, di 38 anni, di Putignano, e Walter Trinchillo di Aversa, 23 anni, entrambi di Napoli, sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza”. Putignano è in provincia di Bari, Aversa in provincia di Caserta, ma i due sono entrambi napoletani: sinonimo di delinquenti.