Corte d'appello e Procura generale: "notizia errata"

IL 31 MARZO il presidente della Corte d’appello di Napoli Antonio Buonajuto e il procuratore generale (facente funzioni) Luigi Mastrominico hanno convocato i cronisti di giudiziaria dei principali quotidiani cittadini. Ai giornalisti Leandro Del Gaudio (Mattino), Dario Del Porto (Repubblica Napoli), Titti Beneduce (Corriere del Mezzogiorno) e Fabio Postiglione (Roma) riuniti alle 13,30 nell’ufficio di Buonajuto, i vertici della magistratura

napoletana hanno comunicato che la notizia sparata quel giorno in prima pagina dal Mattino (Silvia Ruotolo, sentenza choc / assolto l’autista del commando) “non era una notizia falsa”, ma era una notizia “priva di fondamento”.
La notizia “priva di


Rosaria Capacchione e Alessandra Clemente

fondamento” era “l’assoluzione” di Mario Cerbone, l’autista del commando che l’undici giugno del 1997 al Vomero, a salita Arenella, aveva per errore ucciso Silvia Ruotolo. Martedì 29 marzo la III sezione della Corte d’assise d’appello, presieduta da Omero Ambrogi, aveva infatti confermato la decisione di primo grado (IV corte d’assise, presidente Giustino Gatti) e condannato Cerbone all’ergastolo. “In passato – ricorda uno dei veterani della cronaca giudiziaria partenopea - soltanto in pochissimi casi il responsabile di un ufficio giudiziario è intervenuto per chiedere la rettifica di una notizia inesatta, con una lettera al giornale o con la convocazione del cronista in tribunale. È invece senza precedenti l’iniziativa congiunta dei vertici giudiziari del distretto della Corte d’appello di Napoli”.
Ma perché due alti magistrati, notoriamente moderati, decidono “un’iniziativa senza precedenti”? La scossa iniziale arriva dalla reazione del giudice Omero Ambrogi. La mattina del 31 marzo è impegnato in udienza, ma appena legge la prima pagina del Mattino scrive una lettera al presidente della Corte d’appello


Virman Cusenza e Giustino Gatti

per denunciare che in alcuni articoli “sono stati espressi giudizi estremamente critici sull’operato dei giudici, che non avrebbero approfondito lo studio degli atti processuali”. Non a caso nell’incontro con la stampa Buonajuto legge, con toni decisi ma

non polemici, la lettera di Ambrogi. E poi aggiunge: “Noi dobbiamo tutelare l’immagine dell’ufficio e anche dei nostri magistrati che escono lesi per quanto è stato ricamato attorno a questa storia assurda”.
Il secondo motivo è che la notizia ‘capovolta’ è stata pubblicata dal giornale più diffuso della Campania e del Mezzogiorno, con un’eco quindi molto vasta. Il terzo è l’enfasi con la quale il Mattino ha pompato la notizia: titolo forte (“Sentenza choc”) di taglio medio in prima; cronaca affidata a una delle redattrici di punta, Rosaria Capacchione; spalla firmata da una collaboratrice della giudiziaria, Viviana Lanza, che aveva anticipato in cronaca la notizia della sentenza; e in prima spazio al commento sulla “assoluzione” chiesto ad Alessandra Clemente, la figlia di Silvia Ruotolo, che così apre l’intervento: “Ho l’anima spezzata. Mi ha preso l’amarezza alla  notizia che Mario Cerbone, che guidava l’auto del commando assassino nella terribile mattina in cui morì mia madre Silvia Ruotolo, è stato assolto. Io, mio fratello Francesco, mio padre Lorenzo ce l’aspettavamo. O meglio, lo

temevamo”. A marcare l’enfasi c’è anche il titolo a tutta pagina in cronaca (“Sentenza choc, assolto killer di Silvia Ruotolo”), con una definizione, “killer”, che dopo una sentenza di assoluzione è a dir poco inesatta.
Nel pomeriggio del 31 marzo l’Ansa e l’Agi


Titti Beneduce, Leandro Del Gaudio e Dario Del Porto

scrivono dell’errore di “alcuni quotidiani” e della conferma dell’ergastolo a Mario Cerbone. E il giorno successivo fanno mea culpa sulle pagine del Mattino il direttore Virman Cusenza nella rubrica delle Lettere e Rosaria Capacchione nelle pagine di cronaca. È apprezzabile che il direttore e la cronista si assumano la responsabilità dello svarione, ma non sono convincenti le spiegazioni che forniscono. Nette invece le poche righe che la Capacchione pubblica su Facebook: Questo che trovate qui sotto è il testo dell'articolo pubblicato oggi, 1 aprile 2011, su Il Mattino di Napoli, a mia firma. È la storia di un errore, del quale mi sento obbligata moralmente a chiedere scusa a chi mi legge, a chi legge il mio giornale. Un errore fatto in perfetta buona fede, senza alcuna negligenza, ma comunque un errore.
Rispondendo a una lettrice, Cusenza spiega che la notizia è stata verificata “chiamando il legale dell’imputato che aveva assistito alla lettura della sentenza” e “non paghi di questo abbiamo ritenuto opportuno sentire anche la


Lorenzo Clemente, Lucia La Posta e Fabio Postiglione

famiglia di Silvia Ruotolo”. Come se la telefonata a casa Clemente rientrasse “nelle procedure di rito” per controllare la veridicità di una notizia.
La cronista parla invece di “un equivoco”; l’avvocato Michele Basile, legale di Cerbone, avrebbe ammesso l’errore: “Sono

stato presente alla lettura del dispositivo della corte di assise d’appello e quando ho sentito il presidente che leggeva il dispositivo di conferma della sentenza impugnata, ho inteso che fosse quella emessa il 15 aprile del 2004 dalla IV sezione di assise di appello, che aveva assolto il mio assistito”.
Una confessione piena, che lascia perplessi. L’avvocato Basile, che ha quasi venti anni di attività professionale alle spalle, sente il presidente Ambrogi parlare di conferma e pensa alla sentenza annullata dalla Cassazione, quindi pensa a un giudizio di appello che confermerebbe un precedente giudizio d’appello? E ancora, come ha fatto notare Buonajuto ai giornalisti, leggendo il dispositivo della sentenza: Basile sente della condanna di Cerbone al pagamento delle spese e pensa che il suo assistito sia stato assolto?
Ultimo punto: come fa un grande giornale a incappare in un errore simile? Per chi al Mattino fa la fronda al direttore la risposta è semplice: la colpa è dello

scoopista Cusenza che chiede ogni giorno a suoi di avere una notizia napoletana in esclusiva da sparare in prima. È però una risposta sbagliata perché, almeno in questo caso, Cusenza è innocente: chiede ai suoi redattori notizie e non bufale. E i cronisti di via


Vincenzo Lomonte e Luigi Vollaro

Chiatamone dovrebbero essere pių attenti ricordando che quattro anni fa incapparono in un altro grave infortunio annunciando che la villa di trenta camere confiscata al boss Luigi Vollaro sarebbe tornata al Califfo, notizia del tutto infondata che in primo grado č costata al Mattino una condanna al pagamento di 60mila euro di risarcimento a cinque magistrati della sezione Misure di prevenzione di Napoli (Giovanna Ceppaluni, Eugenia Del
Balzo
, Paola Faillace, Lucia La Posta, Vincenzo Lomonte). Anche in quel caso non vennero fatte tutte le verifiche necessarie, verifiche da raddoppiare quando il giornale vuole montare un caso su una notizia.
“La velocità – spiega un redattore del Mattino – riduce i tempi delle verifiche. Ma in alcuni casi è una scelta pericolosa e ridicola: la sentenza era di martedì e i concorrenti non sono particolarmente agguerriti. Invece qualcuno decide che “l’assoluzione” va sparata per dare un buco agli altri. Ma chi esaspera questo ragionamento ha in testa un lettore inesistente che la mattina mentre beve il caffè legge tutti i giornali e fa la conta dei buchi”.
Per chiudere rimane la considerazione amara di un presidente di corte d’assise: “Ci vorrebbe in ogni caso un maggiore rispetto per il lavoro dei magistrati e per le assoluzioni, altrimenti decidiamo che per arrivare a sentenza basta mettere in fila gli articoli dei giornali e così otteniamo anche un taglio drastico delle spese e dei tempi della macchina giustizia”.