Ricapitoliamo brevemente i fatti. Nicola Spinosa, non un passante ma l’ex direttore di Capodimonte da tutti riconosciuto come fra i più autorevoli esperti del pittore lombardo, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno solleva con forza alcuni temi che riguardano la mostra allestita da Sylvain Bellenger. Afferma che spostare le «Sette Opere di Misericordia» dal Pio Monte, sottraendo la tela al suo habitat naturale, è un’opzione irricevibile. Tanto più, poi, se si tratta di trasferirla ad appena due chilometri di distanza. Non sarebbe meglio organizzare una sezione della mostra proprio nella cappella di via Tribunali, offrendo ai visitatori un percorso culturale diffuso sul territorio? Sinceramente tuttora, dopo la bufera che ha scatenato, mi sembra una domanda sensata. Alla quale, però, nessuno ha risposto in modo convincente.
Nella lunga e interessante dissertazione che il giorno seguente abbiamo ospitato sul nostro giornale a firma di Alessandro Pasca di Magliano, governatore del Pio Monte, si difende la scelta della Confraternita e si attacca a muso duro Spinosa che nel 2004 ospitò lo stesso dipinto nella sua mostra su Caravaggio allestita a Capodimonte. Peccato, però, che il quadro fosse già nel museo per un restauro conservativo i cui esiti vennero sottoposti al pubblico in un contesto espositivo e scientifico degno dell’occasione. Abbiamo pubblicato successivamente un intervento critico di Vincenzo Trione, uno favorevole di Gennaro Matacena e un’urticante intervista con Tomaso Montanari. Avremmo accolto con grande interesse anche il punto di vista del direttore Bellenger: gliel’abbiamo chiesto, ce l’ha promesso, poi ha fatto marcia indietro e alla fine ha detto di non voler parlare con noi «perché mi avete rovinato la mostra». Faccia quel che gli pare, nessun problema. Sebbene converrebbe ricordargli che pure i lettori di questo giornale pagano le tasse con cui viene pagato il suo stipendio di funzionario ministeriale e avrebbero diritto, al pari degli altri, di ascoltare dalla sua voce come spende il denaro pubblico che gli è stato affidato. Ma è in quel «mi avete rovinato la mostra» che si nasconde il nocciolo della vicenda. Cosa gli avremmo rovinato? L’esposizione probabilmente avrà, come accade in tutto il mondo, un itinerario che attraverserà la città e concederà ai visitatori di gustare appieno i luoghi della Napoli caravaggesca che diedero vita al capolavoro del maestro.
Forse l’affermazione del direttore nasconde il disappunto per un mancato incremento degli ingressi nel museo? Il dubbio è lecito se pensiamo che la riforma Franceschini ha sovrapposto cultura e marketing, mescolandoli in un’unica poltiglia, al punto che un altro dei simboli di questa stagione, Mauro Felicori, oggi commissario della Fondazione Ravello, in un’intervista sul Venerdì di Repubblica può definire «azienda» un sito monumentale, suggerire di nominare un ingegnere o un esperto d’impiantistica quale suo successore alla guida della Reggia di Caserta (dove ancora giace dimenticata la collezione Terrae Motus e la tutela appare un optional), dimenticare di essere stato nominato esclusivamente per riscrivere lo statuto. E tutto senza che nessuno muova un dito.