Rai, Marconi presidente
per la pensione a 67 anni
LA SPINOSA QUESTIONE della proroga dell'età da pensione per un giornalista Rai da 65 a 67 anni è stata affidata a un collegio presieduto da Umberto Marconi, dirigente della sezione lavoro del tribunale di Napoli.
La questione è stata sollevata da Ermanno Corsi, redattore capo ad personam della sede partenopea della Rai, che il 16 aprile scorso ha presentato un ricorso d'urgenza, ex articolo 700 del codice civile. Sulla vicenda il 23 giugno si è pronunciata il giudice Anna Maria Beneduce, che con un'ordinanza di sei pagine ha respinto la richiesta del giornalista e ha rinviato all'udienza del 29 novembre la discussione nel merito.
Contro l'ordinanza i legali del giornalista Rai, Nunzio Rizzo e Rocco Truncellito, hanno presentato reclamo, che verrà discusso il 28 luglio, undici giorni prima dell'otto agosto data in cui Corsi compie i 65 anni che dovrebbero collocarlo in pensione. A questo punto entra in ballo Marconi che
deciderà sul reclamo come presidente del collegio di cui fanno parte come giudici a latere il segretario della sezione napoletana dell'Associazione nazionale magistrati Linda D'Ancona, relatrice, e Elisa Tomassi.
E c'è chi osserva che

Marcello De Luca Tamajo, Nunzio Rizzo e Rocco Truncellito
sarebbe stato forse opportuno per Marconi astenersi, vista la sua conoscenza con Corsi. L'astensione dal giudizio è regolamentata dal codice di procedura civile entrato in vigore il 21 aprile del 1942, che dimostra fino in fondo gli oltre sessant'anni di vita. L'articolo 51 elenca una serie di casi, alcuni curiosi; tra questi, è prevista l'astensione se "il giudice è abituale commensale di una delle parti o di alcuno dei difensori".
Molto dipende però da come il giudice valuta i suoi rapporti con le parti e con gli avvocati. Qualcuno ricorda che soltanto qualche anno fa una magistrata delle stessa sezione lavoro chiese e ottenne di astenersi da tutte le cause in cui era coinvolto l'avvocato Marcello De Luca Tamajo perché era il legale che difendeva il marito in una controversia lavoristica. Ma si trattava evidentemente di un'interpretazione estremamente rigida e fiscale, largamente lontana dai cinque casi elencati dal codice. Del resto l'articolo 51 prevede che il giudice possa chiedere "al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi" soltanto quando esistano "gravi ragioni di convenienza".