Dopo cent'anni si scioglie
il sindacato dei giornalisti

DOPO CENTO ANNI è destinato a sciogliersi il sindacato dei giornalisti della Campania. Nato nel 1912 come Unione dei giornalisti napoletani e diventato nel 1954 Associazione napoletana della stampa, verrà seppellito da una sentenza della Corte di cassazione che ha condannato il sindacato a pagare al Comune di Napoli oltre tre milioni di euro per il ritardato rilascio della Casina del boschetto in Villa comunale e 20.200 euro di spese legali.

La mazzata non è una sorpresa perché la Cassazione si è limitata a confermare le quaranta pagine della sentenza depositata nel maggio del 2006 dalla


Casina del boschetto, 23 marzo 1991. Lello Barbuto e Antonio Campajola

Corte d’appello di Napoli e si abbatte su un sindacato, dal maggio 2007 presieduto da Enzo Colimoro, che già versa in condizioni disastrose sia sul versante finanziario (è sufficiente ricordare i 75mila euro che deve all’Ordine dei giornalisti per i quali Colimoro aveva chiesto un piano di rateizzazione che poi non ha rispettato) che sul versante ‘politico’: su una platea di 11.097 giornalisti presenti negli albi dell’Ordine regionale (con 1.529 professionisti e 9.568 pubblicisti), gli iscritti al sindacato non raggiungono neanche le mille unità: al 31 dicembre 2012 l’Assostampa dichiara 534 professionali (professionisti) e 391 collaboratori (pubblicisti), per un totale di 985 unità.


La mazzata
La mazzata, dicevamo, non è una sorpresa, eppure dal 2006 i dirigenti del sindacato, prima Gianni Ambrosino e da sei anni Colimoro, non hanno fatto assolutamente niente, ad esempio non hanno cercato con palazzo San Giacomo una soluzione sostenibile per la spinosissima questione e hanno atteso immobili il sigillo della Cassazione. Ma hanno fatto anche di peggio: con


Gianni Ambrosino e Franco Maresca

protervia e cecità hanno diffuso, insieme all’Ordine dei giornalisti, comunicati per sollecitare l’immediata restituzione della Casina del boschetto. La conferma arriva dall’archivio Ansa che dal novembre 1999, quando viene eseguito lo sfratto, registra 437 lanci sulla

Casina e dal luglio 2007, con Colimoro presidente e sentenza Corte d’appello notificata, un bombardamento di altri 76 take, nonostante le parole chiare degli amministratori del Comune di Napoli; basti citare Marcello D’Aponte, assessore al Patrimonio della giunta Iervolino, che nel maggio del 2009 dichiara: “prima si chiude il contenzioso e poi si parla della Casina”.
E ora un breve riepilogo di una vicenda contrassegnata da insipienza, miopia e arroganza da parte dei dirigenti degli organismi rappresentativi dei giornalisti campani che va avanti dal 4 maggio 1985 quando scade, e non viene rinnovato, il contratto di locazione tra l’Associazione napoletana della stampa, con l’Ordine regionale nella veste di subaffittuario, e il Comune di Napoli.


129.931 lire

Per la Casina i giornalisti pagano nel 1985 un canone mensile di 129.931 lire per un immobile a via Caracciolo di 3500 metri quadri, di cui 1300 metri coperti e 2200 scoperti. È uno scandalo che qualcuno pensa di far durare all’infinito, con locali utilizzati anche per il gioco d’azzardo con presenze di camorristi, irruzioni della polizia e successive condanne penali di alcuni dei responsabili. Le trattative per il rinnovo girano a vuoto, mentre l’Assostampa sottoscrive nel 1987 con l’imprenditore Antonio Campajola, titolare della Villa Scipione srl, un contratto di sublocazione della durata di nove anni particolarmente vantaggioso. I punti principali del contratto li riepiloga il

giudice Alessandro Cocchiara, estensore della sentenza della Corte d’appello: “In effetti, solo per una parte dei locali occupati dal Circolo della stampa e precisamente quelli destinati alla ristorazione e al bar, nonché le aree esterne poi attrezzate a cura e a spese


Lucio Giacomardo e Luigi Pietro Rocco di Torrepadula
della sub-conduttrice (la società di Campajola, ndr) le parti convennero un canone mensile (nel 1987) di 10 milioni di lire da rivalutare dopo tre anni, oltre all’accollo da parte della stessa sub conduttrice delle spese di ristrutturazione del locale e di sostituzione degli arredi. A ciò aggiungasi che la Villa Scipione si impegnò a corrispondere all’Associazione della stampa la somma di lire 500.000 al giorno per l’uso dei locali di rappresentanza, nonché ad offrire agli associati e loro familiari pranzi e servizi al bar a prezzi scontati. Infine all’atto della sottoscrizione del contratto la Villa Scipione srl versò all’Associazione di lire 200 milioni che quest’ultima si impegnò a restituire in 48 mesi (ma non vi è prova della restituzione, come non v’è prova di quanto nell’intero rapporto sia stato corrisposto per l’uso giornaliero dei locali di rappresentanza)”.


Un miliardo

Un fiume di denaro largamente superiore al miliardo di lire che qualcuno ha messo in tasca e che è ora indispensabile individuare per trovare i fondi per pagare il Comune. Ma chi ha guidato l’Assostampa dal maggio ’85 in poi?
Al momento della scadenza del contratto di locazione il presidente è Giacomo Lombardi, scomparso nell’aprile dell’anno scorso, che dopo qualche settimana lascia la poltrona a Lello Barbuto, in carica fino alla sua morte, nel marzo del 1994. Ne raccoglie il testimone Franco Maresca al quale subentra nell’ottobre 2002 Gianni Ambrosino, mentre dal giugno 2007 il presidente è Enzo Colimoro che nei sei anni precedenti è stato segretario del direttivo.
Torniamo ora agli inutili tentativi di rinnovare il contratto. Ed è sempre il giudice estensore della sentenza d’appello a spiegarci l’impasse. Il sindacato “aveva un preciso interesse - scrive Alessandro  Cocchiara – a procrastinare


Fausta Como e Marcello D'Aponte

le trattative (per il rinnovo del contratto con il Comune, ndr) perché doveva rispettare gli impegni assunti nei confronti della Villa Scipione srl alla quale, sotto l’apparente affidamento dei servizi di ricreazione e ristoro, aveva nella sostanza

sublocato una parte dell’immobile preso in locazione dal Comune di Napoli, per la durata di nove anni a partire dal ‘novantesimo giorno successivo alla ultimazione dei lavori di ristrutturazione e del completamento degli arredi' (vedi scrittura privata autenticata del 9 ottobre '87, registrata il 29 ottobre 1987)”.
A un certo punto gli amministratori del Comune decidono di interrompere la manfrina e insieme alla ER spa, la società di Alfredo Romeo che gestisce gli immobili comunali, assistiti dal professore Stefano Cianci, notificano ‘l’intimazione di sfratto per finita locazione e contestuale citazione per convalida’. Siamo al 30 aprile 1993 e si apre il contenzioso giudiziario.


Le sentenze
Il 6 maggio ’98 il pretore Antonio Troise condanna l’Assostampa, difesa dall’avvocato Calcedonio Porzio, per la ritardata restituzione della Casina e stabilisce che il danno andrà quantificato in un nuovo giudizio. Si va in tribunale e il Comune schiera sempre l’avvocato Cianci, mentre i legali del sindacato sono Luigi Pietro Rocco di Torrepadula e Sergio Manfredonia. Il giudice della decima sezione civile Fausta Como però non quantifica il danno, ma con una decisione sorprendente, depositata il 25 ottobre 2002, lo azzera stabilendo che il Comune non ha diritto a risarcimenti.
Da poche settimane Ambrosino è al vertice dell’Assostampa e, con la sentenza della Como in tasca, avrebbe ottime possibilità di chiudere la vicenda, ma non viene presa nessuna iniziativa e si arriva alla sentenza della

Corte d’appello, depositata il 16 maggio 2006, che condanna il sindacato al pagamento di 2.528.347,24 euro, oltre interessi legali e rivalutazione Istat, e a 32mila euro di spese legali tra primo e secondo grado. E nelle sentenza d’appello ci sono parole


Enzo Ciaccio e Cristiano Tarsia

molto dure per Fausta Como: “il primo giudice aveva ritenuto che gli oltre 14 anni di ritardo nel rilascio dell’immobile (dal 1985 al 1999) non avevano arrecato alcun pregiudizio al Comune, dovendosi ritenere evidentemente congruo un canone mensile di lire 129.931 per un immobile di 1300 metri quadri coperti e 2200 scoperti nella centralissima villa comunale di Napoli, dove si svolgevano continuamente, come notorio, sontuosi ricevimenti e feste, ciascuno del costo di decine e a volte centinaia di milioni di vecchie lire. Senza tenere conto che certamente non casuale era stata l’offerta dell’Associazione di un canone mensile di 38.650.000 di lire per il rinnovo della locazione, oltre al versamento, a titolo di acconto sul risarcimento del maggior danno ex articolo 1591 del codice civile della somma di lire 382.066.386”.


Chi paga?

Non è facile dare una risposta alla domanda: ora chi paga? Secondo esperti della materia consultati da Iustitia sono di tutta evidenza le responsabilità dei quattro presidenti dal 1985 al 1999, di cui due defunti. Ed è altrettanto evidente, dicono, che i 20.200 euro di spese legali sono a carico dell'Assostampa e di chi si è avventurato in un temerario ricorso per Cassazione. Ma le persone coinvolte potrebbero essere anche altre.
“È un caso senza precedenti; - fanno sapere dalla Fnsi - in ogni caso siamo una Federazione di associazioni autonome che quindi rispondono in proprio della loro attività”. Anche i vertici in carica del sindacato cercano di chiamarsi


Raffaele Auriemma e Filiberto Passananti

fuori, ma in questo caso la situazione è diversa. Il tre luglio, con l’avvocato Lucio Giacomardo nelle vesti di consulente, Colimoro ha riunito i componenti del direttivo (con il segretario Cristiano Tarsia e il tesoriere Filiberto Passananti, i consiglieri

Raffaele Auriemma, Antonio Boccia, Maurizio Cerino, Enzo Ciaccio, Carmen Fimiani, Lucia Licciardi, William Nuzzolillo e Mario Orlando) per informarli della sentenza della Cassazione, notificata il 19 giugno, che “'conferma la condanna del Sindacato dei giornalisti a pagare al Comune di Napoli un risarcimento di circa tre milioni di euro”.
Il presidente ha dichiarato “l'assoluta estraneità ai fatti degli attuali organismi di governo dell'Assostampa” e precisato che “l’unica responsabilità che spetta al direttivo è ricercare una strada per affrontare la situazione d’emergenza che mette a rischio l’esistenza stessa del sindacato”. Da qui la richiesta di un incontro in tempi rapidi con i vertici del Comune per cercare un accordo.

Lo scioglimento
Sul fronte di palazzo San Giacomo Attilio Auricchio, capo di gabinetto del sindaco De Magistris, sceglie la strada del silenzio e c’è da chiedersi se è riservatezza da ex carabiniere o idee ancora poco chiare. E forse qualche terza fila dell’amministrazione comunale sta lavorando a una soluzione ‘a tarallucci e vino’, ma davanti ci sono le montagne della Corte dei conti e della Procura della Repubblica.
Linea chiara invece dagli avvocati. “Abbiamo notificato la sentenza – dichiara il professor Cianci – e andremo avanti con i passi successivi. Intanto vedremo

se, insieme ai presidenti, altri saranno chiamati a rispondere”. Sulla stessa lunghezza d’onda il dirigente dell’avvocatura civile del Comune Fabio Ferrari: “dopo la notifica c’è il precetto che prevediamo entro luglio. E a settembre il terzo passo: il pignoramento”.


Maurizio Cerino e Carmen Fimiani

Nel mirino ci sono i presidenti, - spiega una dei legali - ma le responsabilità potrebbero allargarsi se dovessero venir fuori documenti sottoscritti dai componenti dei consigli direttivi o verbali di assemblee degli iscritti che approvano il mancato rilascio della Casina. “In ogni caso, salvo eventi imprevedibili, - chiarisce l’avvocato Giacomardo – dopo l’incontro con i dirigenti del Comune, Colimoro dovrà convocare l’assemblea degli iscritti per proporre lo scioglimento dell’Associazione napoletana della stampa”.