Assostampa, il tormentone
della Casina del boschetto

IL 4 MAGGIO l’agenzia Ansa mette in rete una dichiarazione di Enzo Colimoro, presidente dell’Associazione napoletana della stampa. Colimoro ricorda a chi l’avesse dimenticato di essere “per statuto anche presidente del circolo della stampa”, che, come è noto, da dieci anni non esiste più, anche se alle elezioni per il sindacato si elegge ancora il direttivo del circolo. Manifesta poi “apprezzamento per l’impegno profuso, seppur con notevole ritardo (è

grato Colimoro, ma severo, ndr) in consiglio comunale con l’approvazione di un ordine del giorno per chiedere al presidente del consiglio comunale Leonardo Impegno la convocazione di una seduta con all’ordine del giorno la ristrutturazione definitiva della Casina del boschetto e la riconsegna della storica sede al circolo della stampa”.


Enzo Colimoro e Renato Rocco

Sulla questione della Casina Colimoro interviene con periodicità regolare, in genere insieme al rappresentante dell’Unione cronisti campani Renato Rocco e al presidente dell’Ordine regionale Ottavio Lucarelli, accompagnati o preceduti da dichiarazioni di sostegno di qualche esponente politico locale.
Il 4 maggio, giorno di sfratti e di traslochi, fa da battistrada il consigliere comunale di Forza Italia Ciro Signoriello che si impegna per far restituire ai giornalisti la Casina del Boschetto, “un tempo epicentro nazionale ed internazionale dell'informazione e della cultura”. E dalla dichiarazione di Signoriello si capisce che Napoli ha urgente bisogno di spazi come la Casina.
Una settimana fa l’Unione cronisti aveva preso l’iniziativa di riunire davanti alla Casina del boschetto il consiglio direttivo. Il 12 febbraio scorso era stata l’Unione dei giornalisti campani seniores (per capirci, i pensionati), con presidente Ermanno Corsi e segretario Sergio Gallo, a marcare “il disagio per la perdita del circolo della stampa”, seguiti a ruota da dichiarazioni di Colimoro e del Corecom campano, presieduto da Gianni Festa, che formulava voti affinché venisse “restituito alla cultura, senza alcuna distinzione,


Leonardo Impegno e Ciro Signoriello

il circolo della stampa di Napoli”.
A leggere le agenzie si resta decisamente perplessi perché, nonostante le centinaia e centinaia di disoccupati, le centinaia e centinaia di precari, i giornali chiusi o prossimi alla chiusura, i tagli pesanti persino in testate un tempo solide, la Casina sembra per i rappresentanti della categoria una questione vitale per l’oggi e per il

futuro del giornalismo napoletano. Conviene allora vedere nei suoi vari aspetti la questione Casina per avere tutti (cronisti, esponenti politici, opinione pubblica) le idee più chiare.
Intanto una premessa: dal novembre '99, quando ha ripreso il possesso della Casina del boschetto, il comune di Napoli, guidato da Antonio Bassolino e poi da Rosa Russo Iervolino, è riuscito a mandare in malora una struttura che, grazie agli investimenti fatti negli anni ottanta dall’imprenditore Antonio Campajola, si presentava come una sede lussuosa, non a caso tra le più richieste in città per cerimonie (matrimoni e prime comunioni), feste e manifestazioni. Questo però attiene esclusivamente alle responsabilità politiche e amministrative del sindaco e dei suoi assessori.
Cominciamo dalla Casina del boschetto, al centro della Villa comunale davanti al mare di via Caracciolo, con 2.200 metri quadrati scoperti e 1.300 coperti su due livelli. Difficile fare una valutazione del canone mensile della struttura: nel 1996, quando la Casina era ancora affidata al sindacato giornalisti, il professore Marcello Orefice lo valutò in una quarantina di milioni di lire;

Iustitia ha interpellato alcuni agenti immobiliari per avere oggi una indicazione sul canone mensile; la risposta è stata tra i 25mila e i 30mila euro, costo annuo quindi tra i 300mila e i 360mila euro.
Passiamo all’Assostampa guidata da un disoccupato di lunga durata (l'agenzia presso la quale lavorava ha chiuso la redazione di Napoli nel settembre 2004), puntualizzando


Rosa Russo Iervolino e Antonio Bassolino

che un presidente disoccupato non è una questione privata, né una questione secondaria perché è indispensabile, in una realtà disastrata come quella campana, un presidente forte per difendere al meglio i diritti dei lavoratori dell’informazione in tutte le sedi e con tutti gli interlocutori. Non a caso quando nella primavera del 2007 Gianni Ambrosino rese definitiva la sua scelta di non ricandidarsi al vertice dell’Assostampa per puntare all’Ordine nazionale, ci fu chi teorizzò, al di là dei nomi proposti, che era preferibile un candidato pensionato piuttosto che un disoccupato.
Occupiamoci ora del sindacato e dei suoi conti. Iustitia ha chiesto a Colimoro e all’impiegata  dell’Assostampa, Donatella Pappalardo, copia dei bilanci 2007 e 2008. La risposta è stata che il bilancio 2008 non è ancora pronto, anche se lo statuto della Napoletana, all’articolo 7 primo comma, prevede che l’approvazione debba avvenire entro il mese di gennaio, mentre il bilancio 2007, nonostante dieci giorni di tallonamento, non è emerso. La perseveranza di Iustitia ha comunque raggiunto un risultato perché in una delle numerose telefonate fatte al sindacato è stata comunicata la convocazione dell’assemblea degli iscritti per il 15 giugno con all’ordine del giorno l’approvazione del bilancio. Intanto pubblichiamo il bilancio 2006 e non è un gran bilancio. Un solo dato: l'importo complessivo della situazione patrimoniale attiva è di 495mila euro, di cui 451mila, cioè oltre il 91 per cento, è costituito da crediti


Gianni Festa e Sergio Gallo

da incassare dal circolo della stampa, che da dieci anni non esiste più. C'è di peggio: nel bilancio 2004 i crediti fantasma vantati dal presidente dell'Assostampa nei confronti del presidente del circolo della stampa, cioè di se stesso, ammontavano 405mila euro, quindi in due anni i crediti sono lievitati di 46mila euro.

Dal 2006 la situazione economica è peggiorata perché due anni fa c’è stata la separazione della contabilità tra Assostampa e Ordine, con un riflesso immediato sulle quote versate. Prima l’impiegata addetta alla riscossione delle quote chiedeva ai giornalisti che si presentavano per pagare l’iscrizione annuale all’Ordine, obbligatoria per legge, anche la quota del sindacato e spesso, soprattutto dai pubblicisti, la incassava. Oggi gli uffici sono su piani diversi e hanno affollamenti, si fa per dire, diversi.
Sulle finanze sforacchiate del sindacato non servono molte parole perché i debiti sono storici e non si intravede la  possibilità di azzerarli: a parte i soldi dovuti agli ex dipendenti (con Giuseppe Acerra va avanti una rateizzazione che si concluderà nel 2011, con Vincenzo  Caccamo è aperto un contenzioso sul versante lavoristico e infortunistico) c’è il debito con l’Ordine regionale dei giornalisti che ammonta a 81.637,33 euro con restituzioni di importo così modesto, poco più di mille euro nel 2008, che occorreranno svariati decenni per azzerarlo. Ma questo debito apre anche un altro fronte molto delicato, perché l’Ordine è un ente pubblico e non ha alcun titolo per prestare soldi: della faccenda potrebbero occuparsi la Corte dei conti, la procura della Repubblica e persino il tribunale civile se qualcuno degli iscritti dovesse chiedere conto di come vengono gestiti i soldi delle quote di iscrizione. Con iscritti in calo e un bilancio in contrazione costante, per di più segnato da un rosso storico, l’Assostampa può chiedere al comune di Napoli la Casina del boschetto? Con quali titoli e con quali soldi?
E veniamo all’ultimo punto: il contenzioso aperto tra il sindacato dei giornalisti e il comune di Napoli. Il contratto di locazione della Casina, per il quale l’Assostampa paga al comune 129.931 lire al mese, scade il 4 maggio 1985;

vanno a vuoto vari tentativi di rinnovarlo e il 15 aprile 1994 il pretore firma l’ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione. Il sindacato, con una scelta incomprensibile, prima non si presenta in udienza per opporsi alla convalida dello sfratto, poi non presenta appello. Il 6 maggio 1998 il giudice Massimo Troise deposita la sentenza con la quale


Giuseppe Acerra e Donatella Pappalardo

riconosce il diritto del comune di Napoli a ottenere il risarcimento del danno causato dall’Assostampa con il ritardo nella restituzione della Casina.
E veniamo a quella che per ora è l’ultima puntata del contenzioso. Il 16 maggio 2006 la seconda sezione della corte d’appello di Napoli, presieduta da Domenico Balletta, con giudici a latere l’estensore Alessandro Cocchiara e Umberto Di Mauro, ribalta la sentenza di primo grado scritta dal giudice Fausta Como e condanna l’Assostampa a risarcire il comune di Napoli con 2.528.347,84 euro, oltre interessi maturati fino al pagamento, e a pagare 31.400 euro di spese legali. Nelle quaranta pagine della sentenza l’estensore spiega con chiarezza che l’Assostampa “aveva un preciso interesse a procrastinare le trattative (per il rinnovo del contratto, ndr) perché doveva rispettare gli impegni assunti nei confronti della Villa Scipione srl alla quale aveva nella sostanza sublocato una parte dell’immobile preso in locazione dal Comune di Napoli per la durata di nove anni”.
“In effetti, – scrive Cocchiara – solo per una parte dei locali occupati dal Circolo della stampa, e precisamente quelli destinati alla ristorazione e al bar, nonché le aree esterne poi attrezzate a cura e a spese della sub-conduttrice (la srl Villa Scipione, ndr), le parti convennero un canone mensile (nel 1987) di dieci milioni di lire da rivalutare dopo tre anni. A ciò aggiungasi che la Villa Scipione si impegnò a corrispondere all’Associazione napoletana della stampa la somma di 500mila lire al giorno per l’uso dei locali di rappresentanza. Infine all’atto della sottoscrizione del contratto la Villa Scipione srl  versò all’Associazione 200 milioni di lire che quest’ultima si impegnò a restituire in 48 mesi (ma non vi è prova della restituzione, così non vi è prova di quanto nell’intero rapporto sia stato corrisposto per l’uso giornaliero dei locali di rappresentanza)”.
Ora si attende che la corte di cassazione si pronunci sul ricorso presentato dagli avvocati del sindacato. Ma dal momento che è in piedi un contenzioso così impegnativo che senso hanno le dichiarazioni di amministratori e consiglieri comunali sul futuro della Casina?