La denuncia alla procura
firmata da Kadiatou Cisse

Al sign. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Napoli

DENUNCIA QUERELA

Io sottoscritta Kadiatou CISSE, nata a Kaorou Dalaba (Repubblica di Guinea) il 1/1/1977 e residente ad Arzano (NA) alla Via Porziano n. 2, personalmente e nella qualità di sorella (come risulta dall'allegata certificazione rilasciata dall'Ambasciata) e, quindi, di prossima congiunta ex art. 597, III co., c.p. di fu Mohamed Khaira CISSE, nato a Coyah (Repubblica di Guinea) il 20/03/1970 e deceduto il 5/6/2003 in Arzano, con il presente atto propongo formale denuncia querela per tutti i reati che la S.V. riterrà di ravvisare nei fatti di seguito esposti, ed in particolare per il reato di diffamazione a mezzo della stampa, e chiedo la punizione dei colpevoli ai sensi di legge. Voglia la S.V. accertare inoltre se sussista una responsabilità penale per omissione anche in capo al direttore o vicedirettore responsabile, preposto al controllo sul contenuto del periodico.
IN FATTO:
In data 5/6/03 in Arzano, a seguito di un assurdo susseguirsi di eventi, un militare dell'Arma dei Carabinieri feriva mortalmente mio fratello, Mohamed Khaira CISSE, all'interno della mia abitazione e, in ordine a tale grave episodio, sono in corso indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica di Napoli al fine di accertare eventuali responsabilità penali per la morte di una persona innocente ed ammalata.
A questo grave e triste episodio ha fatto seguito la pubblicazione, alla pagina n. 26 del quotidiano "Il Mattino" di Napoli del giorno 6/5/03, di un articolo giornalistico (che si allega in fotocopia) che riportava circostanze non corrispondenti ai dati di fatto ed era palesemente di parte oltre che gravemente diffamatorio nei miei confronti nonché verso la memoria di mio fratello defunto.
Precisamente, il giorno 6 giugno 2003 veniva pubblicato sul predetto quotidiano, un articolo a firma di Domenico Maglione relativo alla morte di mio fratello Cisse Mohamed Khaira e di contenuto palesemente diffamatorio, infatti, le circostanze ivi riportate sono gravemente offensive dell'onore e della reputazione di mio fratello deceduto e della mia persona, in particolare era scritto quanto segue:
  "… un carabiniere ha ucciso con un colpo di pistola un immigrato della Nuova Guinea che l'aveva ferito con un coltello da cucina. La vittima si era scagliata contro il militare intervenuto per sedare una rissa …"
Non è affatto vero che mio fratello, Cisse Mohamed Khaira, ferì il carabiniere intervenuto per sedare una rissa perché non vi fu mai alcuna rissa.
Invero, i carabinieri furono chiamati unicamente per collaborare con il personale del 118, a loro volta chiamati per effettuare il ricovero di mio fratello, che soffriva di una forte sindrome depressiva e che da giorni rifiutava il cibo, per cui all'arrivo dei militari egli era steso sul letto privo di forze.
  " … nell'abitazione, presa in fitto da alcuni extracomunitari, è scoppia improvvisamente una lite. A causarla, a quanto pare, il comportamento di Cisse Mamadou, 27 anni, (il giovane poi ucciso) di infilarsi, armato di coltello, nel letto di una donna con la quale divideva, insieme con altri l'alloggio. Questa, chiaramente impaurita, ancorché ignara delle reali intenzioni del connazionale, incomincia a gridare a squarciagola. Due extracomunitari accorrono in suo aiuto e, resisi subito conto di quanto sta accadendo cercano di convincere Mamadou ad abbandonare i suoi propositi bellicosi. Tutto vano. Nel frattempo, però, qualcuno attirato dalle urla, avverte con una telefonata i carabinieri… "
Anche questa parte dell'articolo sono riportate numerose circostanze non vere, e precisamente: 1) non scoppiò alcuna lite; 2) mio fratello non si infilò né tentò di infilarsi nel letto di alcuna donna; 3) nessuna donna si mise a gridare a squarciagola; 4) nessuno cercò di convincere mio fratello ad abbandonare i suoi propositi bellicosi; 5) i carabinieri furono chiamati da una mia amica, come suggerito dal 118, per l'eventualità che mio fratello rifiutasse il ricovero in ospedale e non quindi da qualcuno attirato dalle urla.
  "…I militari fanno irruzione nell'appartamento cercando, con molta precauzione, di riportare la calma. Ma Cisse Mamadou ormai è una furia indomabile. Non vuole sentire ragioni. E brandendo il coltello si scaglia contro uno dei due carabinieri ferendolo per fortuna in maniera non grave ... "
È falso ed è gravemente offensivo della memoria di mio fratello definirlo, come fa l'autore dell'articolo, "un furia indomabile" e che non voleva sentire ragioni, ed altrettanto falso è che egli, brandendo il coltello, si scagliava contro uno dei due carabinieri ferendolo.
  " …A favore del carabiniere sembrano siano state anche le dichiarazioni rilasciate dai connazionali della vittima, descritta come una persona irascibile e negli ultimi tempi anche preda di uno stato di forte depressione psico-fisica..."
Quanto riportato anche in questo periodo non corrisponde al vero poiché mio fratello non era affatto una persona irascibile e né io né i miei connazionali dichiarammo mai nulla del genere in proposito.
  "…Bisognerà chiarire qual è stata la scintilla che ha scatenato l'aggressione di Mamadou nei confronti della donna: se si è trattato di un tentativo di violenza a scopo sessuale o se alla base c'erano altri motivi…"
Come sopra detto, non vi fu alcuna aggressione ad una donna ed anche la mera formulazione di un'ipotesi di tentativo di violenza sessuale è gravemente lesiva dell'onorabilità di mio fratello morto: come era ben noto nel vicinato e nella comunità degli extracomunitari, infatti, l'unica donna convivente con la vittima ero io, ragion per cui ancor più grave è stato il lasciare intendere, a coloro i quali ci conoscevano, che la violenza sessuale sarebbe stata intentata in danno della sorella.
L'articolo citato narra fatti completamente diversi da quelli realmente accaduti e che in parte appaiono solo frutto della fantasia dell'autore, dai quali traspare la figura di una persona irascibile, aggressiva, una furia indomabile ed infine si prospetta addirittura l'ipotesi che egli intendesse violentare la sorella, unica donna con lui convivente.
Il diffondersi della notizia di cronaca ha avuto come effetto che io e la mia famiglia, nei giorni seguenti alla pubblicazione, venissimo isolati nell'ambito della nostra comunità.
Alla tacita emarginazione si sono aggiunti episodi di aggressione verbale e fisica, che erano chiara manifestazione del discredito che ha infangato l'onorabilità della mia famiglia.
In particolare, la formulazione di un ipotesi di un tentativo di violenza sessuale ai miei danni da parte di mio fratello ha gravemente danneggiato l'immagine della moralità all'interno della mia famiglia, inevitabilmente gettando un sospetto di incesto.
Solo grazie all'intervento pubblico in nostra difesa, effettuato dal parroco (e riportato dalla stampa), ha parzialmente attenuato il clima di diffidenza e disistima nei nostri confronti, che si era ingenerato sia all'interno della nostra comunità che nella cittadinanza.
I fatti narrati, così come rappresentati nell'articolo, sono del tutto difformi dalla realtà: mio fratello infatti, a causa di una forte crisi depressiva, aveva cominciato a rifiutare, oltre le cure, anche il cibo, deperendo ogni giorno di più.
Il 4 giugno 2003, mi recavo a Treviso per ritirare i documenti di mio fratello con l'intento di preparare il viaggio di ritorno dello stesso in Guinea, nella speranza che lì potesse riprendersi.
Tornata a casa la sera dello stesso giorno, mio marito mi riferiva che lo stato di Mohamed stava precipitando per il deperimento sia fisico che psicologico. Temendo che potesse tentare il suicidio, avevo pregato un'amica italiana di telefonare al 118 per ricoverarlo, ma gli operatori del 118 rispondevano che, trattandosi di un ricovero coatto, la famiglia doveva avvisare i Carabinieri.
Il mattino dopo, partito mio marito per Napoli, verso le sette nel notare mio fratello talmente debole da non avere neanche la forza di parlare, mi allarmavo e telefonavo alla mia amica italiana, che si recava subito da me, e la pregavo di chiamare il 118 perché ero agitata e temevo di non riuscire ad esprimermi bene in italiano, paventando che mio fratello poteva venir meno da un momento all'altro.
Nel frattempo arrivava anche mio cugino, Fato Cisse, che ogni giorno mi aiutava ad assistere il malato.
Intorno alle 7,30 la mia amica chiamava ancora una volta il 118, sentendosi ancora rispondere che loro non possono intervenire senza la presenza delle Forze dell'Ordine.
A questo punto telefonano al 113 che rispondeva di non avere la competenza e di rivolgersi al 112.
Chiamato il 112, spiegando ancora una volta che sollecitavamo l'arrivo di un'ambulanza per lo stato di grave deperimento e di pericolo in cui versava mo fratello, chiedevamo l'intervento dei Carabinieri.
Intorno alle 9,45, bussavano alla porta, aprivo ed entravano due Carabinieri, uno dei quali impugnava una mitraglietta e chiedeva dove si trovava la persona ammalata, così gli indicavo mio fratello disteso immobile sul letto nell'ingresso e chiedendo se con loro era arrivata anche l'ambulanza.
Questo quindi è stato il reale motivo dell'intervento dei Carabinieri, totalmente differente da quello riferito nel giornale (la rissa scaturita da un tentativo di violenza sessuale).
I fatti successivi all'ingresso dei Carabinieri nell'appartamento costituiscono già oggetto di indagini preliminari da parte della Procura della Repubblica di Napoli, la quale accerterà un'eventuale responsabilità penale.
IN DIRITTO
Sussistono nel caso di specie tutti gli estremi del delitto di diffamazione a mezzo della stampa, ritiene infatti la giurisprudenza di legittimità che l'intento diffamatorio può essere raggiunto oltre che in maniera esplicita, anche con mezzi indiretti e mediante subdole allusioni, come prospettando l'ipotesi di un tentativo di violenza sessuale a danni della sorella convivente.
Tale ipotesi, anche se formulata con espressioni dubitative o nella forma dell'insinuazione, integra il reato di diffamazione, anche se l'addebito sia espresso in forma tale da suscitare il semplice dubbio sulla condotta disonorevole.
La non corrispondenza tra alcuni fatti narrati e quelli accaduti, unitamente alla formulazione di alcune gravi insinuazioni, rendono il contenuto dell'intero articolo giornalistico gravemente diffamatorio e lesivo dell'onorabilità della persona offesa.
Tanto premesso, con il presente atto, personalmente e nella qualità di sorella di fu Mohamed Khaira CISSE, propongo formale denuncia querela per tutti i reati che la S.V. riterrà di ravvisare nei fatti sopra esposti, ed in particolare per il reato di diffamazione a mezzo della stampa, e chiedo la punizione dei colpevoli ai sensi di legge.
Dichiaro di volere essere informata circa l'eventuale archiviazione ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 408, 2° comma, c.p.p.
Con il presente atto dichiaro di nominare quale mio difensore di fiducia l'avvocato Mario Fortunato del Foro di Napoli, con studio in Napoli alla Piazza Bovio n. 8.
Si allegano:
1) Certificazione dell'Ambasciata della Repubblica di Guinea;
2) Fotocopia dell'articolo pubblicato sul quotidiano Il Mattino del giorno 6/5/2003 e che si assume di contenuto diffamatorio;

Napoli, 2/9/2003.

in fede
Kadiatou Cisse