Mi manda Piccone

Cara Iustitia cara,
d’estate è meglio non avere idee: a brillare è solo la fronte. L’acquisto del libro I napoletani di Generoso Picone, giornalista politico e critico letterario del Mattino, è stata la nostra idea di luglio e il nostro tormento d’agosto. Sciropparsi un libro che provoca continue resistenze (e desistenze) conviene quando il volume possiede un’anima. Se non ce l’ha, e la lettura non s’interrompe, significa che quella dose masochistica presente in ogni lettore prevale sul buonsenso di fermare lo sperpetuo. Siamo stati masochisti fino al midollo con Picone, al punto che sulla spiaggia la compassione dei bagnanti si è manifestata con incoraggiamenti del tipo: «Su! Su! Su vai, un’altra pagina e ce la fai, dai, dai!» mentre i familiari, vedendoci boccheggiare come i pesci volanti di Ernesto Tatafiore in copertina, ci hanno riempito di bibite fino a farci raddoppiare la pancia. A libro finito, sul lido hanno dato una festa in nostro onore con tanto di preghiera liberatoria: «Benedetta sia tu pagina 245».
Nel corpo a corpo con il volume, un’immagine ci ha consolato, salvandoci dalla deriva: la notte, dopo l’uscita del libro, un Picone sudato e stralunato, s’aggirava per le stanze in preda al terribile dubbio di non aver citato un amico a pagina 168 e di essersene dimenticati altri due nel quaderno degli appunti. Effettivamente quella che prometteva di essere «una guida d’autore ai napoletani di ieri e di oggi», si è rivelata una passerella di nomi e cognomi, qua e là interrotta da ritrattini, episodi sfilacciati e tentativi di colore. Ogni volta che pensiamo al libro di Picone ci vengono in mente quei pezzi di cronaca mondana dove il giornalista si limita ad elencare i convenuti di un party con l’unica preoccupazione di non dimenticare un nome. Guai poi se un refuso intacca la sua lista:suda al solo pensiero che il cugino del cugino del festeggiato è già pronto a infangarlo, aizzato non poco dalla consorte gallonata il cui cognome è stato defraudato. La sensazione che abbiamo avuto, noi che critici letterari non siamo, è che Picone, con gli occhi fissi sul listone, abbia smarrito la via del saggio e imboccato quella del paggio. Prima di tutto la gerenza, poi organigrammi con la pala, infine capitoli abbuffati di adunanze: la gioiosa macchina dei ringraziamenti e degli omaggi è bella e sfatta. A libro chiuso, proviamo un barattolo di tenerezza per l’autore e il suo capolavoro mancato. A preoccuparci, infatti, è un’indiscrezione trapelata in questi giorni: stando ai racconti dei vicini, il giornalista, per domare l’insonnia e placare un’overdose di citazioni, invece delle pecorelle conta gli Antonio Ghirelli.
A libro spalancato, però, il barattolo si frantuma di colpo, pensando come Generoso Picone, autore di numerosi saggi di critica letteraria e di narrativa, sia stato capace di produrre in un solo lavoro una serie di sviste e discutibili passaggi tanto da picconare la nostra innata indulgenza. Non potendo richiedere all’autore né alla casa editrice (Laterza) il rimborso del volume, pari a 16 euro, abbiamo deciso di pescare da I napoletani 16 perle, almeno per risarcire il nostro buonsenso.
1. Più che una perla questo è un conchiglione. A pagina 17, l’autore descrive gli ultimi momenti di vita di Eleonora de Fonseca Pimentel: «Eleonora salì i gradini verso la morte. “Forsam et haec olim meminisse iuvabit”, “Forse un giorno gioverà ricordare anche queste cose” furono le sue ultime parole, una citazione dal primo libro dell’Eneide». Peccato per Picone che la buonanima di Virgilio non scrisse mai «forsam», ma «forsan», avverbio che, come indica il vocabolario di latino Castiglioni-Mariotti, sta per «fors sit an» e significa «forse, può darsi il caso che». Un refuso? «Forsam».
2. Napoli, 1845. L’autore descrive a pagine 27 il fermento della città: «Si respirava un’aria di cosmopolita vivacità che stupì Stendhal: “Per me è senza confronti la più bella città del mondo”. La strada dell’esibizione di abiti e toillettes era la riviera di Chiaia, preferibilmente da attraversare in carrozza». Non riusciamo a immaginare in quanti modi si potesse percorrere la Riviera. Quante berline erano parcheggiate a Piedigrotta? Quanti vespini rombavano a Santa Lucia? In quante gouaches gli scugnizzi sfrecciavano sugli skateboard?
Napoli, 1845. Stendhal era morto da tre anni.
3. A pagina 62 scopriamo che il Corriere della Sera fu fondato il 5 marzo del 1876 a Milano dal napoletano «Eugenio Torelli-Violliez». Da dove sia spuntata la «zeta» finale lo possiamo chiedere a Zazà, anche se difficilmente riusciremo a beccarla. Il fondatore corretto è Eugenio Torelli-Viollier che cominciò la carriera di giornalista nel 1860 all’Indipendente diretto da Dumas padre. Picone conferma «Torelli-Violliez» anche nell’Indice dei nomi (pagina 266), bissando lo svarione ma almeno liberando sé stesso dall’impaccio della contraddizione.
4. A pagina 70 si parla del commercio della pizza «ogge a otto», ovvero, come spiega l’autore, «mangiata oggi e pagata dopo otto giorni o comunque quando se ne aveva la possibilità, di cui narra Alexandre Dumas nel suo romanzo Il corricolo, pubblicato in più volumi tra il 1841 e il 1843: pratica che in molti casi nascondeva la formula di un prestito usuraio». La spiegazione di Picone è giusta, ma cita un’autore che parlò sì di pizza «a otto», ma non ne capì l’autentico significato. Dumas, infatti, nel Corricolo sosteneva che le pizze venivano cucinate otto giorni prima e per questo erano vendute come pizze più economiche. Una cantonata a quattro stagioni.
5. Se in un libro di saggistica si cita per la prima volta un personaggio, bisogna avere la sensibilità (e la creanza) di presentarlo al lettore, d’introdurlo sul proscenio. A maggior ragione, se Picone ha anche scelto di non commentare le pagine con uno straccio di nota - spesso fonti e date delle citazioni sono omesse - in un volume in cui sbucano carneadi da tutti gli angolini, l’imbarazzo di chi legge è simile a quello di uno che si ritrova ad una festa dove non conosce neanche il festeggiato. Emblematico è il passaggio di pagina 135. L’autore sta descrivendo i successi di critica della rivista Sud e il carattere del suo direttore: «Pasquale Prunas si era fatto garante dell’indipendenza del giornale. E quando Mario Alicata gli offrì il sostegno del Pci, a condizione però che cambiasse la formula di Sud ritenuta troppo anarchica (pare che Emilio Sereni fosse più possibilista, ma nel partito non prevalse la sua linea)…». Solo ventidue pagine dopo, veniamo a sapere - noi che di Sereni conosciamo Vittorio, il poeta di Luino - che Emilio era un amico di Renato Caccioppoli. Non chiedevamo che una noticina per Emilio Sereni, del tipo: “Storico e uomo politico, autore di diverse opere di agraria, tra le quali Il capitalismo nelle campagne (1947)”.
Il rigore di un saggista si misura dai dettagli.
6. Picone detesta la «erre». Nonostante sia un rrrampante giornalista, quando può la umilia, la calpesta. Dopo «Viollier» sostituito con «Violliez», a pagina 158 si ripete: «Caccioppoli che conosceva il tedesco, pronunciò le sue parole in modo che i militari della Wehmacht lo potessero capire». Picone che, come noi, non conosce il tedesco, avrebbe almeno potuto smanettare un po’ su Internet o consultare una Garzantina: in Germania dal 1935 al 1945 il complesso delle tre forze armate si chiamava Wehrmacht (da Wehr, difesa e Macht, forza).
7. Sarà stata forse una telefonata notturna di Antonella Cilento o qualche reminescenza protogaddiana a distrarre nuovamente il nostro critico senza erre che, alle pagine 186 e 188, piazza una memorabile tripletta: il rione dove don Mario Borrelli fonderà la Casa dello Scugnizzo, è scritto «MaterDei» invece del comunissimo Materdei. Ci risulta che a un tale eccesso di devozione celeste non ricorra neanche Borrelli nel suo libro Marciapiedi. Un’illuminazione ci chiarisce il mistero: dopo il capitolo dedicato a suicidi e comunisti, la trovata di Picone suona come una mossa politica, decisamente mastelliana: riequilibrare il tutto con un triplice inchino a Nostra Signora.
8. Se Enrico De Nicola, sontuoso avvocato napoletano e primo presidente della Repubblica, è citato di striscio a pagina 151, Picone si straccia le vesti per la norvegese Berit Frigaard Buonomo, animatrice, negli anni Settanta, insieme a Geppino Fiorenza («psicologo e aspirante giornalista») della Mensa dei bambini proletari a Montesanto. La vicenda si dilunga per due paragrafi - da pagina 192 a pagina 203 - in cui il distacco del saggista è come il futuro di Bagnoli: una chimera. Per carità, «Mensa sana in corpore sano»: l’iniziativa è nobile, ma sa troppo di «amici miei». Abbondano fiumane di nomi, fumate d’incenso e momenti di stranamore. In un brano il tenore del racconto: «Fiorenza ama dire che la scintilla scattò nel maggio 1972 per le strade di Oslo, città dove in realtà non era mai stato. Ma lo fa per dare un tocco di leggenda alle origini di un’avventura che davvero per un po’ riuscì a portare la fantasia al potere».
Secondo voci di corridoio, Picone sarebbe stato contattato da un editore di Oslo per un pamphlet dal titolo provvisorio I norvegesi, sottotitolo Ricordi e fiordi.
9. La coppia del cuore Fiorenza-Fraagard Buonomo ritorna anche nella pagina dei «Ringraziamenti» il cui testo, e ciò non ci meraviglia, vista l’abilità dell’autore nell’omaggiare e distribuire conoscenti e compagni nelle pagine precedenti, è di dieci righe scarse. Un esempio degli elenchi: pagina 198. “Fiorenza chiamò a raccolta i suoi maestri , i suoi amici. Da Vera Lombardi a Francesco De Martino, da Vittorio Russo a Sergio Piro, da Renato Carpentieri a Giulia Villone, da Bianca Staro a Concetta Vinciprova e Adele Nunziante Cesaro”. L’elenco continua per tredici righe con trentaquattro nomi + "Maurizio Valenzi  e altri ancora”.
10. A pagina 216 Picone si cimenta nel confronto tra le poetiche di Giuseppe Marotta e Domenico Rea che, nel 1947, pubblicarono rispettivamente L’oro di Napoli e Spaccanapoli. Titolo del paragrafo: L’oro di Spaccanapoli. Titolo felice, ma riciclato. Nel 2000 Vittorio Paliotti in Napoli dopo ‘a nuttata lo utilizza per il capitolo in cui mette a raffronto le opere e le vite di Peppino e Mimì. Ma la lunga notte dei titoli è solo cominciata…
11. Quando un libro non scorre, non dice, non entra, non leva e non mette, ma elenca, c’è il pericolo che s’incanti. Il lettore rischia, pur svoltando e correndo, di ritrovarsi ogni volta tra i piedi un concetto più rognoso del seccatore oraziano della via Sacra. E’ da guinness dell’aterosclerosi l’abuso che il giornalista del Mattino fa dell’espressione «Il silenzio della ragione», titolo dell’ultimo capitolo del Mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, ritratto spietato della città del dopoguerra.La frase diventa l’ossessione dell’autore che l’infila nelle pagine 111, 123, 139, 142, 225, 229 in tutte le salse e posizioni possibili. Alfonso Pecoraro Scanio, vedendosi superato in presenzialismo dalla locuzione ortesiana, ha già in mente di preparare un’interrogazione parlamentare sulla ragione del silenzio.
12. Altro giro, altra ossessione. Innamorato dei titoli che non gli vengono, Picone ne prende un altro dall’ultimo numero della rivista Sud: «Qui il mare è anche una latrina» (pagina 137), e con il metodo del refrain, tra una lista e una svista, lo ripropone nelle pagine 226 e 238. Nuovi ricami. Con il filo degli altri.
13. Aristofane scrisse «Le nuvole»: lì dobbiamo cercare la testa di Picone quando a pagina 141 ci mette al corrente che «nel 1954 Compagnone esordì nella narrativa pubblicando La vacanza delle donne, favola moralistica tra Aristofane e Swift», e, a pagina 221, rilancia la notizia in modo pressappoco identico: «l’esordio ufficiale è del 1954 con La vacanza delle donne, una favola che utilizza il calco della Lisistrata di Aristofane in cui Compagnone rivela la sua capacità fantastica, allusiva, moralista alla Swift o alla Voltaire».
14. Nell’Indice dei nomi, mappa finale degli invitati alla mensa di Picone, tra numerosi cognomi senza nomi (Boschi, maresciallo; Gambuzzi, avvocato; Rocca, monsignore; Potts, calciatore; Spelterin, comandante…) a pagina 260 salta agli occhi un Keaton Baster, invece di Buster. Un paradosso se si pensa che Keaton, In The General (1926), nei panni di un piccolo manovratore sudista di una locomotiva riesce a vincere da solo la guerra contro i nordisti, mentre nei Napoletani non è riuscito neanche a mettere in salvo il suo nome.
15. Generoso Picone non è napoletano. E’ irpino purosangue (è nato ad Avellino il 20 gennaio1958), però non ce lo dice né nelle 267 pagine del libro né nella breve biografia. Chissà se lo psicologo Geppino Fiorenza sappia darci una spiegazione sul perché l’amico abbia preferito seppellire le proprie origini. Non azzardiamo ipotesi, né ci interessa farlo, ma inesorabilmente «l’ombra scura del silenzio della ragione» è calata sui Napoletani.
16. Dopo un libro così - il cui titolo, peraltro non è originale, come lo stesso Picone ammette a pagina 229, citando il volume I napoletani di Mario Schettini - noi uomini qualunque e napoletani dalla nascita, fregandocene di ciò che scrisse Elias Canetti: «Chi mi consiglia un libro me lo strappa di mano, chi lo esalta me lo guasta per anni» proponiamo tre opere, tutte anima e core: Napoli sempreviva di Carlo Nazzaro, Nostalgia di Napoli di Guglielmo Peirce, Napoletani si nasceva di Vittorio Paliotti. E di Nazzaro, direttore del Roma negli anni Trenta e poi condirettore del Mattino con Giovanni Ansaldo, ci piace ricordare che era un irpino, orgoglioso di esserlo tra i napoletani con e senza il don. Altre Napoli, altri irpini. byte byte!

Fausto Molosso

(1) da internet: Caccioppoli da http://matematica.uni-bocconi.it/caccioppoli/fotografie.htm; Cilento, foto di Vincenzo Cottinelli da www.lalineascritta.it; Keaton da www.newworldclassics.com
(2) Torelli Violler dal Corriere della sera
(3) Alicata, foto di Paolo Ricci
(4) Prunas nell'affresco dipinto da Piergiorgio Maoloni nella sede del Messaggero
(5) Nazzaro, foto di Arturo Fratta
(6) Ansaldo dal Mattino
 
Generoso Picone
Ernesto Tatafiore
Antonio Ghirelli
Torelli Viollier (2)
Mario Alicata (3)
Pasquale Prunas (4)
Emilio Sereni
Renato Caccioppoli (1)
Antonella Cilento (1)
Mario Borrelli
Enrico De Nicola (1)
Geppino Fiorenza
Vera Lombardi
Francesco De Martino
Sergio Piro
Renato Carpentieri
Maurizio Valenzi
Giuseppe Marotta (1)
Domenico Rea
Vittorio Paliotti
Anna Maria Ortese (1)
Pecoraro Scanio
Luigi Compagnone
Buster Keaton (1)
Carlo Nazzaro (5)
Giovanni Ansaldo (6)