Papere e papaveri
di Josef K. Byte
LA FATICA

Abbiamo preso in considerazione l’idea di cambiare il titolo di questa rubrica: anziché “Papere e papaveri”, coniglietti e papaveri. Un po’ perché quei simpatici animali sono particolarmente prolifici, e anche gli svarioni sembrano non conoscere il controllo delle nascite; ma anche in onore dell’episodio, che vi abbiamo raccontato due numeri fa, del titolone del Corriere di Caserta su un pedofilo, di cui si faceva nome e cognome, arrestato nel Casertano mentre era in una stanza con “alcuni bambini nudi e due coniglietti”. Il giorno dopo la rettifica: si trattava
solo di uno “scherzo” fatto da un avvocato a un giovane collega, finito in pagina perché la cronista Tina Palomba non ha verificato i fatti, fedele al motto per cui la verità non deve rovinare una bella notizia.
Ora quel giornale, il cui responsabile è Gianluigi Guarino, e che ha per editore di fatto quel Maurizio Clemente

Maurizio Clemente e Franco Morgillo
finito per un paio di mesi in galera con l’accusa di “estorsione a mezzo stampa”, ha creato un precedente che potrebbe avere ripercussioni non solo nel mondo dell’editoria. Noi capiamo bene la fatica quotidiana di chiudere tante pagine dovendo occuparsi solo di Caserta e provincia. Pensate che il 31 luglio c’erano tra gli altri questi due grandi titoli di nera, “Cicciariello a Parma con Walterino e Zara” e “Derubata la moglie di Carmelo il panettiere”. Il primo era tale da disorientare persino i parenti stretti di Francesco e Walter Schiavone, facilitando il compito solo a quelli di Alfredo Zara; il secondo, apripista di una serie che potrebbe continuare con titoli come “Antonio, ti ha cercato tuo zio / Ha detto che richiama più tardi”.
Di questa fatica, lasciateci ergere a simbolo Alessandro Ceci, che nel Corriere di Caserta si occupa dell’area Maddaloni-San Felice a Cancello: il 23 agosto, su nove pezzi in pagina, otto sono siglati o firmati da lui, e c’è da credere che sia suo anche il nono. Senonché, due articoli (“S. Maria a Vico / Carfora e Morgillo conservano le rispettive poltrone nel consiglio comunale”, 61 righe, non firmato; “Cervino / Il sindaco decide per le commissioni consiliari”, 28 righe, siglato) sono parola per parola, virgola per virgola, quelli usciti tre giorni prima sulla Gazzetta di Caserta, il quotidiano diretto da Pasquale Clemente, omonimo dell’editore del Corriere, e edito da Gaetano Peluso. Ci torna alla


Pasquale Clemente e Gaetano Peluso

memoria il sussurro stizzito del nostro compagno di banco, alle medie, mentre ci passava la versione di latino: “Almeno, cambia le parole”. Niente: troppa fatica.
Ma di quali ripercussioni parlavamo? Visto che tra coniglietti e bufale, scopiazzature e menefreghismi (come dimenticare gli scoop di

Repubblica Napoli nel trigesimo dell’uscita della notizia su altri giornali?) il fenomeno sembra dilagare, proponiamo alle associazioni per la difesa dei consumatori di mobilitarsi: perché nessuno accetterebbe, aprendo una confezione di pomodori pelati, di trovarci vernice rossa o gli avanzi di un pasto. E i lettori non sono tenuti ad avere stomaci di ferro.

 
RINNOVAMENTO

Dite la verità: se siete di sinistra, non provate una specie di voluttuoso piacere masochistico a parlar male della sinistra? Ci si siede un po’ pigramente, appoggiati allo schienale della sedia, e ci si flagella con l’aria di chi si compiace della propria capacità di autocritica, e intanto non muove un dito perché “questa sinistra” (bisogna sempre premettere “questa”) ci ha deluso. Vengono in mente, e che dio ci perdoni, quei reazionari di qualche decennio fa che dicevano “se ci fosse un vero
socialismo sarei il primo a essere socialista”.
Fatta questa premessa, ora ci appoggiamo anche noi pigramente allo schienale e ci lamentiamo di questa sinistra. Guardate l’Articolo, il supplemento campano dell’Unità guidato dal

Luigi Longo, Ilaria Perrelli e Stefano Porro

direttore Stefano Porro e dal redattore capo Ilaria Perrelli. Il 20 luglio, la pagina 2, settore Politica, è aperta da un articolo firmato da Giuliana Caso; sul titolo “Dialogo e rinnovamento la linea del vertice Ds” c’è un occhiello che avrebbe fatto venire i crampi anche a Luigi Longo: “Verso la condivisione dell’impegno programmatico, dopo i mutati equilibri e in vista del congresso”. Così parla un partito moderno, rifuggendo dalle formule stantìe, dal politichese polveroso, dall’odore d’inchiostro di una vecchia telescrivente di sezione. Se a chi porta la bandana rispondiamo mettendoci la lobbia, stiamo freschi.

 
VITTORIA

Ma che a sinistra ci sia un po’ di confusione lo si capisce anche da come qualcuno ha commentato i risultati delle elezioni dello scorso giugno; escludendo che sia stato il cronista dell’Ansa Napoli a metterci del suo. Il 14 giugno Pasquale Faiella mette in rete un lancio in cui il segretario confederale della Uil Campania, Anna Rea, parla dell’ottimo risultato


Dino Di Palma, Amato Lamberti e Anna Rea

del centrosinistra in tutta la regione, sia alle europee che alle amministrative, e fa i complimenti al neo presidente della Provincia di Napoli Dino Di Palma: “Il centrosinistra governa la regione, il suo capoluogo e ora anche

la provincia, secondo i primi risultati”. “Ora” anche la provincia, perché evidentemente “prima” non era così: povero Amato Lamberti, presidente uscente, che credeva di rappresentare “questo” centrosinistra e invece faceva parte di “quel” centrodestra.

 
L'OSSO

Ettore, il cane degli spot della Tim con Naomi Campbell, ha vinto l’Osso d’oro alla sedicesima edizione del Premio Charlot di Paestum, dedicato quest’anno a Nino Manfredi. I suoi duetti con la top model, grazie anche all’attore Pino Ammendola che gli dà voce in napoletano, sono
effettivamente divertenti. Il 24 luglio l’Ansa Napoli riferisce della serata con un lancio-monstre di 83 righe, firmato da Mario Zaccaria, responsabile della redazione napoletana dell’agenzia. È un pezzo garbato e gradevole, che rappresenta anche un buon esempio di ottimizzazione della forza-lavoro: Zaccaria, infatti, faceva
Nino Manfredi e Mario Zaccaria

parte della giuria di quel premio. Perché non approfittarne? Del resto, in quei giorni estivi un po’ tutte le redazioni sono ridotte all’osso: tanto vale, ridurne all’osso, ancorché d’oro, anche i capi.

 
LO SCATTO

Avevamo pensato di ricordare Franco Esse, il fotoreporter napoletano, fondatore nel 1968 dell'agenzia Pressphoto, morto il 2 settembre a sessantasette anni, con la formula della lettera: “Caro Franco…”. Poi ci siamo fatti un po’ schifo per questa doppia ipocrisia: perché sarebbe stato rivolgersi a lui, come se potesse sentirci, solo per il narcisistico piacere di sentirci noi stessi, quando di chi se ne va resta solo il silenzio, e non c’è un aldilà cui alzare gli occhi; e perché, se avessimo voluto dirgli qualcosa di affettuoso, avremmo potuto telefonargli nei mesi scorsi, e farci mandare a quel paese. La morte non nobilita nessuno: e


Franco Esse

immaginate che mondo sarebbe, se, incontrandoci da vivi, ci parlassimo pensandoci già morti: “ciao, grande protagonista del mondo del giornalismo napoletano”; “offrimi un caffè, sensibile interprete di cinquant’anni di storia cittadina”; “Franchetie’, me l’hai ‘fatto’ il ministro, con la tua mitica Rolleiflex, o l’inseparabile Nikon?”.
Franco Esse. Sembrava che anche il nome volesse descriverlo: lui era piccolo, basso, o come si dice a Napoli, “corto”, e un cognome intero deve essergli apparso uno spreco; lo nominavi, e ti sembrava

di star dicendo “Franco S.”, per far prima, per andare al sodo, come faceva lui nel suo lavoro. Perché Franco non si è mai sentito “artista”, dio guardi: per lui, non c’era differenza tra il capo di stato in visita o il morto ammazzato. I suoi scatti, essenziali, precisi. Non cercava l’effetto, e trovava la verità: colera, terremoto, scontri di piazza, camorra, erano per lui solo l’ala nera della Storia su questa disgraziata città, senza ideologie da sostenere, o letture da sovrapporre. Scattate, scattate, qualcosa resterà, si potrebbe parafrasare: e se è stato più giornalista di tanti di noi, l’ha dimostrato anche nel fotografare, a volte, situazioni e persone senza quasi sapere perché (e un perché, a posteriori, c’era sempre), e andando sui “fatti” anche senza una commissione precisa. Poi il giornale lo chiamava, e lui la copertura l’aveva assicurata. Fino a squarci surreali: pochi giorni dopo l’assassinio di Giancarlo Siani, se ne venne nella sala stampa della questura e cominciò a fotografare i colleghi presenti. “Non si sa mai”, rispose a chi gli chiedeva perché. Tra scongiuri e lazzi, lui alzò le spalle: intanto, il suo archivio era al sicuro. Un archivio che era soprattutto nella sua mente, l’unica vera “inseparabile” macchina fotografica: una memoria stupefacente gli

consentiva, in pochi secondi, di ricostruire legami, connessioni, facce, episodi. Come un elfo plebeo nato per sbaglio a Napoli (tanto, Franco, sei
Gaetano Castanò e Franco Esse, fondatori con Wanda Parise di Pressphoto

morto, e non puoi spernacchiarci per questa retorica, questo tentativo, che ironia!, di fotografarti), il tuo compito, la tua missione, sono stati quelli di raccontare la vita congelandola in un’immagine, asciutta, implacabile, al riparo da smentite. Documentare, senza aggettivi. E di questi trent’anni in cui ti abbiamo conosciuto personalmente resta adesso l’invidia. Perché, anche ora, noi dobbiamo cercare la chiusa a effetto, la parola giusta, il guizzo; a te, bastava riavvolgere il rullino.