L'horror di "che
ha fatto il Napoli?"

DALLO SCOOP sul figlio che Maradona ebbe da Cristiana Sinagra, e di cui dopo oltre venticinque anni continua a vantarsi, alla guida di Rai Vaticano: “qualcuno doveva aver parlato bene di lui” se, parafrasando all’incontrario l’incipit del “Processo” di Kafka, Massimo Milone ha ricevuto un incarico così prestigioso, che, con i giorni che si preparano in San Pietro, è più delicato di quello di un artificiere sul campo di

battaglia.
Le sue benemerenze devono essere inattaccabili, e sconfinare dalle valutazioni professionali alla teodicea, perché le prime


Diego Armando Maradona junior e Cristiana Sinagra (*)

saltano agli occhi ripercorrendo i dieci anni della sua gestione del Tg Campania, e la seconda è un mistero della fede. Le sintetizzò bene un documento dell’assemblea e del comitato di redazione dell’otto luglio 2011: “la costante erosione degli ascolti delle edizioni del Tg e del Gr della Campania impone una approfondita riflessione sulla linea editoriale e sulla qualità del prodotto (…) Il servizio pubblico non deve, impropriamente, farsi interprete e portavoce di palazzotti e salotti locali”. È, sia detto per inciso ma chiaramente, lo stesso cdr (Silvio Luise, Ettore De Lorenzo, Rino Genovese) che il 12 febbraio scorso, mentre erano in corso le votazioni per il rinnovo dell’organismo sindacale, dimissionario dopo che i rapporti con la redazione erano finiti a pesci in faccia, ha diffuso alle agenzie un comunicato di auguri a Milone che gronda complimenti, gratitudine e soprattutto schizofrenia, perché, da quelle pesantissime valutazioni di 19 mesi fa, il curriculum di Milone si è arricchito solo di interrogazioni parlamentari ed esposti in procura sul suo operato. Alla fine è venuto fuori che questo comunicato si doveva alla penna di un paio o poco più di fedelissimi (Luise, ad esempio, non ne sapeva nulla), tanto da beccarsi un duro contro - comunicato firmato da ben 25 redattori; ma dev’essere sembrato possibile, e legittimo, parlare a nome di un’intera redazione solo per


Giuseppe Blasi e Corrado Ursi

piaggeria e per sfregio al diffuso sentire della maggioranza dei giornalisti: possibile e legittimo perché Milone, alle sue truppe, ha trasmesso per anni il messaggio che al Tg Campania il

capo e i suoi fedelissimi potevano tutto. Una “dialettica” e una linea editoriale di cui, manco a dirlo, il pubblico radiotelevisivo non è mai stato interlocutore; lunghissimo (e oggettivo: fatti e numeri) l’elenco dei “casi clamorosi in cui la realtà è stata ignorata o stravolta”, il cui climax è forse il silenzio sulla rivolta degli immigrati dopo la strage di Castelvolturno, dove un redattore andò sul posto solo tre giorni dopo il massacro di sei ghanesi. Perché dilungarsi su queste dinamiche, ora che Milone fa le valigie e porta questo carico di onori oltretevere? Perché sono figlie di una impostazione dei rapporti professionali e personali che non è mai cambiata da quando, nel luglio 2003, diventò caporedattore centrale del Tg Campania.
Il suo predecessore, Giuseppe Blasi, fu un accentratore del lavoro e dell’organizzazione redazionale. Con antica saggezza contadina, trattava il suo potere come fa chi mette i soldi nel materasso perché non si fida delle banche. Milone, al culmine di trent’anni di carriera benedetti dalla Curia napoletana (da Corrado Ursi a Michele Giordano a Crescenzio Sepe), ha optato invece per una concezione feudale in cui la distribuzione

di promozioni e la gestione mirata delle assunzioni hanno creato – oltre a quello che con un po’ di enfasi si potrebbe definire un “genocidio professionale” in cui anzianità, meriti e capacità non


Michele Giordano e Crescenzio Sepe

hanno contato nulla – una pletora di valvassori che, ubriacati da una fetta di potere apparente, o intellettualmente annichiliti dall’ossequio al benefattore, hanno perso di vista la ragione ultima del lavoro giornalistico; e a quelli che, nonostante tutto, hanno ostinatamente fatto il proprio lavoro con competenza e dignità, sono stati riservati lo sghignazzo, l’emarginazione, la mortificazione del non sentirsi mai considerati.  Un equilibrio, a ben vedere, assai fragile, perché l’obbedienza può nascere dalla convenienza, e più raramente dalla stima: Cesare fu ucciso da Bruto, non da Vercingetorige.
Milone non ha mai veramente ammirato nessuno: in un deserto di autentiche relazioni umane, la trincea dell’insulto e del disprezzo è sembrata l’unico rifugio sicuro; persino l’egolatria è apparsa più una fuga dal confronto che una sincera adorazione di se stessi, che avrebbe avuto almeno i tratti rispettabili di una tragedia della psiche. Niente di tutto questo. Il potere di Milone (che è stato poi una parodia del potere: usare un servizio pubblico per coltivare soprattutto una rete di relazioni e di vantaggi) si è fondato sull’assenza di materia del contendere, trasformando, come nei doppi infissi delle finestre, il vuoto in un sistema


Napoleone Bonaparte (**) e Arthur Wellesley duca di Wellington (***)

di protezione. Lo scontro non è mai stato sul merito delle questioni (io sono un giornalista migliore di te, questo tuo servizio è pessimo, quella notizia è sbagliata), perché così si sarebbe aperta la

porta al confronto e probabilmente alla disfatta. Comandare un esercito cui sottraggo le armi, cui dico che la battaglia è un’illusione da soldati da strapazzo, e al quale nego la dignità stessa del concetto di conquista, significa restare Napoleone semplicemente fingendo di ignorare l’esistenza di Wellington.
Ora questo stratega dell’apparenza, che sbrigava le riunioni in cui si decidevano argomenti e scalette dei tg con frettolosità infastidita, come chi eserciti i doveri coniugali perseguendo altri oggetti del desiderio, dando l’impressione, sicuramente sbagliata, di essere arrivato a metà mattinata senza aver nemmeno sfogliato un quotidiano (un classico dell’horror i suoi “che ha fatto il Napoli?” del lunedì mattina, anche dopo partite che hanno paralizzato un’intera città), si trova a dover raccontare il momento più delicato della Chiesa degli ultimi secoli dalle tribune di Rai Vaticano. È giusto augurargli l’aiuto di Dio. Quello degli uomini l’ha già avuto tutto.

Oliviero Bertini
(*) Da www.dagospia.com
(**) Da www.artinvest2000.com
(***) Da www.wikipedia.org