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Sentenza dura per Caltagirone
Garantito il ruolo del sindacato |
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È NETTA E dura la sentenza firmata dal giudice del tribunale di Napoli Linda D’Ancona che ha confermato la condanna per comportamento antisindacale dei dirigenti del Mattino spa per il mancato riconoscimento della corta (il giorno di riposo settimanale) ai redattori che avevano partecipato agli scioperi indetti dalla Federazione nazionale della stampa.
Dopo aver dormito |
per settimane negli scaffali della cancelleria per le carenze note dell’amministrazione giudiziaria, il provvedimento, emesso il 28 ottobre scorso, è stato finalmente pubblicato. Nelle tredici pagine della sentenza, ai ‘motivi della decisione’, il giudice |

Francesco Gaetano Caltagirone e Francesco Romanetti |
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scrive: “La domanda (del Mattino spa, del Gruppo editoriale Caltagirone, ndr) è priva di fondamento. Questa giudicante condivide le argomentazioni contenute nell’impugnato decreto, che si presenta immune da censure”. La D’Ancona fa riferimento al decreto del giudice Fabrizio Amendola, che il 6 febbraio scorso è stato il primo a pronunciarsi sulla questione. |
LA DENUNCIA |
La denuncia per attività antisindacale, in base all’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, è stata presentata nel novembre 2006 dall’avvocato Lucio Giacomardo per conto dell’Associazione napoletana della stampa presieduta da Gianni Ambrosino, componente anche del comitato di redazione del Mattino, insieme a Enzo Ciaccio e Francesco Romanetti.
Dopo qualche traccheggiamento dei vertici aziendali (l’amministratore delegato Albino Majore, il direttore generale Massimo Garzilli, il capo del personale Raffaele Del Noce), assistiti dai legali Marcello De Luca Tamajo e Antonio Armentano, si è tenuta l’udienza del 25 gennaio 2007, dopo di che Amendola ha depositato la sua decisione.
Intanto in questi mesi è uscito di scena uno dei protagonisti della contesa, Gianni Ambrosino. A giugno ha passato il testimone di presidente |

Antonio Armentano e Lucio Giacomardo
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dell’Assostampa a Enzo Colimoro e il 6 novembre, appena una settimana dopo il successo per l’articolo 28, si è dimesso dal cdr, per "motivi strttamente personali". È subentrato il primo dei non eletti, Bruno Buonanno. Anche il 2008 si è aperto con |
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due novità registrate dalla gerenza del Mattino: il 10 gennaio ha fatto il suo esordio ufficiale il vice direttore Virman Cusenza, mentre l’otto è stato eliminato il nome di Massimo Garzilli.
E torniamo alla decisione del giudice D’Ancona. “È evidente – è scritto nella sentenza – che se la condotta datoriale illegittima fosse proseguita, l’organizzazione sindacale avrebbe potuto bensì formalmente proclamare altri scioperi, ma non avrebbe potuto garantire l’adesione allo sciopero da parte dei lavoratori, atteso che questi ultimi sarebbero stati coscienti di vedersi applicare un trattamento non giustificato, direttamente ricollegato all’esercizio del diritto di sciopero, e si sarebbero visti applicare ulteriori detrazioni alla loro retribuzione, non solo per le giornate di sciopero, ma anche per un’altra giornata”. Questo è, secondo il giudice, il “cuore” della questione: “La condotta della società ricorrente ha natura plurioffensiva, nel senso che lede contemporaneamente i diritti economici del lavoratore (alla percezione della aliquota giornaliera, ingiustamente detratta in occasione degli scioperi) ed i diritti dell’organizzazione sindacale, la quale si vede frustrare la possibilità di proclamare astensioni e ottenere la partecipazione dei lavoratori agli scioperi”. |
IL COMMENTO |
Sulla decisione del tribunale di Napoli, che costituirà un precedente importante per le vertenze di altre aziende editoriali, Iustitia ha chiesto un commento all’avvocato Bruno Del Vecchio, da oltre dieci anni legale della Federazione |
nazionale della stampa.
“Con ricorso al Tribunale di Napoli in virtù dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, l’Associazione Napoletana della Stampa ha denunciato alla magistratura l’illegittimità del comportamento assunto dall’editore della testata Il Mattino in |

Virman Cusenza (*) e Massimo Garzilli |
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occasione di alcune giornate di sciopero proclamate dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (il Sindacato unitario dei giornalisti italiani) dal settembre al dicembre 2006. In particolare, l’editore aveva trattenuto ai giornalisti non solo la retribuzione relativa alle giornate di sciopero (come prevede la normativa in vigore), ma anche la retribuzione relativa al giorno di riposo settimanale non coincidente con la domenica – la c. d. corta – spettante ai medesimi giornalisti nella settimana durante la quale era stata indetta l’astensione collettiva dal lavoro.
La posizione dell’editore – errata, come ora sarà chiaro – non poteva essere accettata dal Sindacato il quale è stato quindi costretto ad utilizzare il particolare strumento giudiziale di tutela (l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, appunto) accordato alle associazioni sindacali contro qualsiasi atto posto in essere dal datore di lavoro al fine di impedire o limitare l’esercizio dell’attività sindacale o il diritto di sciopero; uno strumento destinato a garantire l’effettività del principio della libertà sindacale e ad offrire ai sindacati uno scudo protettivo, al riparo del quale potersi organizzare ed agire, all’interno |

Bruno Buonanno e Marcello De Luca Tamajo
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dei luoghi di lavoro, per la realizzazione dei legittimi interessi dei lavoratori che rappresentano ed assistono.
Non può dubitarsi, nel nostro caso, che il negare ai giornalisti il riposo settimanale a seguito di una legittima astensione collettiva dal lavoro, |
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costituisce oggettivamente una grave limitazione al libero esercizio del diritto di sciopero, in quanto potrebbe potenzialmente indurre il giornalista a non aderire alla protesta per evitare di vedersi non riconosciuto il giorno di riposo settimanale.
La posizione assunta dell’editore, anche nel corso del giudizio, la si può così sintetizzare: il giornalista acquista diritto alla c. d. corta sola se lavora regolarmente gli altri giorni della settimana, svolgendo tutto il proprio orario di trentasei ore. Aderendo allo sciopero (e non svolgendo, quindi, nella settimana in cui lo sciopero viene proclamato, l’orario pieno di trentasei ore) il giornalista non ha il diritto al giorno di riposo settimanale ulteriore rispetto alla domenica.
Tale interpretazione, come prima accennato, è errata.
Quella che con termine abbreviato viene definita “corta” è, ai sensi dell’art. 7 del Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico, una precisa articolazione dell’orario di lavoro – la settimana corta, appunto – in ragione della quale il giorno aggiuntivo di riposo (rispetto alla domenica) non è qualcosa che matura in ragione della prestazione lavorativa, ed in proporzione a questa, ma è una |
giornata, comunque retribuita, in cui la prestazione di lavoro non è esigibile.
Ciò è quello che si evince con chiarezza dalla disciplina fissata negli articoli 7 e 19 del contratto nazionale di lavoro giornalistico, che prevede espressamente, |

Gianni Ambrosino e Albino Majore |
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oltre al limite orario di trentasei ore settimanale, il diritto per il giornalista di godere, oltre alla domenica, di un altro giorno di riposo retribuito infrasettimanale che non può coincidere con una festività. Pertanto, se il giornalista usufruisce della cosiddetta “corta”, la sua assenza, in detto giorno, va considerata giustificata e retribuita, senza che si possa prevedere alcuna forma di sua “maturazione”attraverso l’effettiva prestazione lavorativa.
Il Tribunale di Napoli (sia in prima istanza che nel successivo giudizio di impugnazione), operando una corretta lettura delle norme contenute nel contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico (con particolare riferimento agli articoli prima richiamati) ha escluso la fondatezza delle argomentazioni dell’editore affermando, in linea con l’interpretazione fornita dal Sindacato dei giornalisti, che il diritto al riposo settimanale ulteriore alla domenica, come ora specificato, deriva unicamente dall’applicazione della contrattazione collettiva e che se tale diritto è negato in virtù dell’adesione ad uno sciopero, sussiste un comportamento che viola i diritti del Sindacato proclamante, reprimibile con la particolare azione prevista dall’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori.
In questa prospettiva, il Tribunale partenopeo, dopo avere correttamente interpretato la disciplina contrattuale in materia di riposi settimanali e dopo avere ritenuto, altrettanto correttamente, che la partecipazione ad uno sciopero non può certo danneggiare il giornalista con riferimento alla |

Enzo Ciaccio e Raffaele Del Noce
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cosiddetta corta, ha concluso per la dichiarazione di antisindacalità del comportamento assunto da Il Mattino.
La correttezza della decisione di Napoli è peraltro avvalorata da una precedente – e conforme – sentenza emessa dal |
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Tribunale di Bologna nell’ottobre 2004, investito, anche in questo caso per un comportamento antisindacale, dall’Associazione Stampa Emilia Romagna. Il Giudice di Bologna aveva anch’esso ritenuto che per i giornalisti la cosiddetta settimana corta è semplicemente l’effetto dell’articolazione, stabilita dal contratto, del rapporto di lavoro e non un beneficio che matura progressivamente in forza delle giornate lavorative svolte.
La sentenza del Tribunale di Napoli si segnala anche per un altro aspetto, di natura più generale, che mette bene in luce il ruolo del sindacato, ruolo che non può venire messo in discussione, soprattutto oggi, dove la precarietà del lavoro e, quindi, l’incertezza del futuro, è per molti elemento determinante del vivere.
È di indubbio rilievo leggere nei provvedimenti giudiziali, come quelli in esame, che l’interesse collettivo alla libertà ed attività sindacale può essere pregiudicato non solo da comportamenti lesivi dei diritti di esclusiva pertinenza del sindacato come associazione, ma anche da condotte incidenti su situazioni soggettive del singolo lavoratore (è quella che, tecnicamente, viene definita |
plurioffensività). In altri termini, il sindacato può agire, con lo strumento dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, quando il comportamento del datore di lavoro è anche finalizzato alla lesione di diritti dei singoli lavoratori (come nel caso di negazione del diritto alla corta). Il principio, già affermato in giurisprudenza e ribadito dal Tribunale di Napoli, è, nei fatti, un principio di responsabilità per il sindacato intero, sia quando agisce nell’ambito delle contese sindacali, sia quando è costretto a richiedere l’intervento della magistratura. È vero che lo strumento |

Massimo D'Antona (**) |
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giudiziale, per il sindacato, non può diventare un ordinario strumento di pressione, ma è altrettanto vero che in ogni Stato democratico deve essere garantita al sindacato – come a qualsiasi altro soggetto – la possibilità di ricorrere al magistrato; possibilità che, per quanto riguarda in particolare la realtà italiana, è garantita, nei termini prima illustrati, anche quando il datore di lavoro viola i diritti dei singoli lavoratori.
A questo proposito è sempre attuale l’insegnamento di uno dei nostri più acuti e sensibili giuristi, Massimo D’Antona, noto al grande pubblico per il modo in cui ha trovato la morte e non per il pluridecennale impegno di avvocato e di docente ai massimi livelli del diritto del lavoro e del diritto sindacale, non solo italiani.
Per D’Antona è un errore considerare l’azione sindacale esclusivamente quale diretta espressione delle legittime istanze dei lavoratori. Il Sindacato, infatti, non agisce solo per volontà dei lavoratori, ma anche per diretta investitura dello Stato. Il suo potere normativo e le prerogative di tutela sono garantite proprio dallo Stato attraverso i suoi fondamentali principi giuridici (principi vincolanti, quindi) espressi dalla Costituzione e da tutte le altre norme dell’Ordinamento”. |
(*) Da www.radio.rai.it
(**) Da www.raifiction.rai.it |
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