Saviano non diffamò
Cronache e Corriere

IL 27 FEBBRAIO il giudice della seconda sezione civile del tribunale di Napoli Massimiliano Sacchi ha emesso la sentenza con la quale ha rigettato la richiesta di risarcimento danni da diffamazione presentata da Domenico Palmiero, direttore dei quotidiani Cronache di Napoli e Corriere di Caserta, nei confronti dello scrittore Roberto Saviano, del Mattino spa e di Mario Orfeo, nel 2008 direttore del quotidiano di via Chiatamone. E ha condannato

Palmiero a pagare quattromila euro di spese legali: per Saviano gli avvocati sono Giovanna Astarita e Antonio Nobile, che segue anche le vicende penali dello scrittore, per Orfeo e per il Mattino Francesco Barra Caracciolo.
Il punto di avvio della


Claudio Fava e Mario Orfeo

vicenda è il Festival della letteratura di  Mantova del 2008. Il 7 settembre Saviano chiude la manifestazione con un intervento molto duro sui rapporti tra i clan della camorra e i giornali locali e mostra su un grande schermo alcuni titoli di quotidiani casertani, cominciando con quello che definisce “il più doloroso”: Don Peppe Diana era un camorrista.
Si scatenano le reazioni con le agenzie che lanciano dichiarazioni a raffica. Alla querelle il Mattino dedica quattro servizi: il primo, l’otto settembre, è firmato da Francesco Mannoni (Saviano: giornali diretti dalla camorra); il 9 ci sono un articolo di Giuseppe Crimaldi (Clan e stampa, l’Ordine si divide) e un’intervista di Adolfo Pappalardo a Claudio Fava; il 10 ancora Crimaldi (Indagare sulle accuse di Saviano). Un anno e mezzo dopo arriva la citazione di Palmiero, assistito dall’avvocato Barbara Taglialatela, con la richiesta di 50mila euro di risarcimento danni.
Il giudice in premessa respinge l’eccezione sollevata dall’avvocato Barra Caracciolo sulla legittimazione del direttore di Cronache di Napoli e del Corriere di Caserta (dal primo agosto 2011 trasformata dall’editore Maurizio Clemente in Cronache di Caserta) perché mai citato negli articoli


Giovanna Astarita e Antonio Nobile

pubblicati dal Mattino. Peraltro, in un’udienza dell’aprile 2011, Palmiero dichiarava di rinunciare all’azione nei confronti di Orfeo. E veniamo al merito della sentenza.
La Cassazione, spiega il giudice, ha chiarito che perché ci sia diffamazione “non è necessario che il

soggetto passivo sia nominato precisamente e specificamente, ma la sua individuazione deve avvenire attraverso elementi quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono essere valutati complessivamente, di guisa che possa desumersi, con ragionevole certezza, l'inequivoca individuazione dell'offeso”.
In questo caso, però, anche a prescindere della effettiva portata diffamatoria degli articoli e, quindi, dell’intervento di Saviano, “ciò che appare mancare è la riferibilità delle asserite dichiarazioni diffamatorie” a Palmiero.
Sicuramente, continua Sacchi, l’intervento dello scrittore a Mantova ha avuto a oggetto la “vicinanza tra certa stampa locale campana ed associazioni camorristiche”, come del resto emerge “dalla lettura degli articoli dei quotidiani nazionali che riportavano la notizia”. E “può ritenersi provata anche la circostanza che, nel corso del proprio intervento, il Saviano abbia effettivamente fatto esplicito riferimento a determinati giornali campani, tra i quali anche quelli diretti” da Palmiero, “mostrandone in pubblico alcuni titoli e commentandone il contenuto. Tali circostanze,

però, di per sé non provano la portata diffamatoria dell’intervento del Saviano al Festival della letteratura di Mantova, perché dalle stesse non emerge, nemmeno in maniera indiretta ed allusiva, alcun elemento idoneo a dimostrare” che


Giuseppe Crimaldi e don Giuseppe Diana

lo scrittore “abbia in quell’occasione descritto i redattori ed i cronisti di quelle testate o il direttore come giornalisti asserviti o, comunque, condizionati da legami camorristici”. Né lo fa il direttore di Cronache di Napoli che “si limitava, infatti, ad invocare il contenuto allusivo dell’intervento del Saviano, senza dedurre elementi concreti di
supporto
”. E per di più “non riportava neppure integralmente il contenuto del discorso” tenuto a Mantova, ma ne citava soltanto uno stralcio, riprendendolo dal Mattino.
A questo punto il magistrato arriva al punto nodale della motivazione. “Gli interventi di Saviano durante il Festival di Mantova – scrive Massimiliano Sacchi - vanno ricondotti al cosiddetto giornalismo d'inchiesta, da reputarsi quale “espressione più alta e nobile dell'attività di informazione. Con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”.
E continua: “come affermato dalla Suprema Corte, “con il giornalismo di inchiesta l'acquisizione della notizia avviene ‘autonomamente’,


Francesco Barra Caracciolo e Adolfo Pappalardo

‘direttamente’ e ‘attivamente’ da parte del professionista e non mediata da ‘fonti’ esterne mediante la ricezione ‘passiva’ di informazioni. Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli

che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici”.
Il giudice aggiunge ancora: “la responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell'editore, del governo o di altri organismi dello Stato. In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dell'attività di informazione, quale genus già individuati dalla giurisprudenza di legittimità, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dell'attendibilità della fonte, fermi restando i limiti dell'interesse pubblico alla notizia, e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dell'esposizione.
Sacchi osserva infine: “ne consegue che detta modalità di fare informazione non comporta violazione dell'onore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: l'oggettivo interesse a rendere consapevole l'opinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; l'uso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale”.