Finegil - La Città,
raffica di citazioni

SI CHIAMA Marco Mattiello ed è il primo giornalista che porterà in tribunale per una vertenza di lavoro la Finegil, la catena dei quotidiani locali del gruppo l’Espresso, dopo il primo novembre, data che segna il passaggio de La Città dal gruppo presieduto da Carlo De Benedetti alle Edizioni Salernitane del tandem formato da Giovanni Lombardi e dai Di Canto, padre e figlio, rispettivamente Vito e Donato.
L’avvocato Alfonso Esposito, che assiste Mattiello, il 20 settembre ha

depositato al tribunale di Salerno le ventotto pagine del ricorso e l’udienza è fissata per il prossimo 23 maggio davanti al giudice del lavoro Ippolita Laudati.
Nativo di Nocera Inferiore, dove vive e lavora, cinquanta anni da compiere a dicembre, da diciotto pubblicista, Marco, all’anagrafe Marcantonio, Mattiello pubblica il primo articolo con la Città nell'agosto del 1997 e va avanti per diciassette anni. Si occupa di calcio

Carlo De Benedetti

minore, seguendo tutte le squadre dell’Agro nocerino sarnese, e scrive molte migliaia di articoli, firmando anche più pagine al giorno. Nei primi giorni del gennaio 2015 sottoscrive il nuovo contratto di collaborazione che però non diventerà mai operativo: per ragioni oscure viene congelato dal suo capo servizio che non gli chiede più articoli; secondo le voci di redazione sarebbe stato punito per commenti tranchant espressi su Facebook. Ora chiede diverse centinaia di migliaia di euro per le differenze retributive maturate in diciassette anni di lavoro, i contributi previdenziali e i danni morali.
Nel carniere dell’avvocato Esposito c’è già un importante successo contro la Finegil. Ha assistito Giampaolo Bisogno, pubblicista nocerino di quaranta anni, collaboratore della Città dal ’95 (il giornale era in edicola da un mese) al 2010, che ha visto riconosciute le sue richieste sia in primo che in secondo grado e poi, evitando il passaggio in Cassazione, ha chiuso con un accordo molto oneroso per l’azienda.
Sono intanto partiti contro la Finegil i ricorsi dei redattori del quotidiano salernitano, assistiti dall’avvocato Lucio Giacomardo. Ed è singolare che la citazione in giudizio sia stata firmata da tre quarti dei giornalisti, forse perché, al di là di qualifiche e spettanze sicuramente maturate e non riconosciute, è scattata una sorta di rivincita nei confronti di una società che dopo venti anni

Giovanni Lombardi

spesi insieme li ha scaricati da un giorno all’altro senza un vero motivo.
I dirigenti del gruppo l’Espresso avevano spiegato ai redattori che le cessioni del Centro di Pescara e della Città di Salerno si inserivano “nel piano di consolidamento teso a garantire il rispetto delle soglie di tiratura previste dalla normativa in vigore”. In sostanza, sostenevano, il gruppo l’Espresso, con Repubblica e i giornali Finegil, dopo

l’accordo con la Stampa e Il Secolo XIX, era ben oltre il tetto del 20 per cento della tiratura dei quotidiani nazionali fissato dalla legge dell’editoria.
La spiegazione non suonava molto convincente perché la cura dimagrante tagliava quotidiani che davano un apporto minimo al monte copie della nuova aggregazione societaria. A confermare tutte le perplessità è arrivata, con data 30 settembre, la delibera dell’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che dopo la relazione del consigliere Antonio Nicita ha deciso “di non avviare un’istruttoria”. Ma queste sono considerazioni poco utili perché riguardano operazioni ormai chiuse.