Diffamazione, la colpa è
al 70% del collaboratore

C’È UNA NOVITÀ importante in tema di diffamazione: la colpa (e quindi la copertura del risarcimento da pagare) è al 70 per cento del collaboratore che ha scritto il pezzo; il rimanente trenta per cento va ripartito tra l’editore che si becca il 20 e il direttore responsabile che risponde soltanto del 10 per cento. La modifica del codice civile è arrivata a sorpresa tra gli operatori del diritto da una citazione notificata il 14 giugno dai dirigenti del Mattino all’ex

collaboratrice Amalia De Simone. La svolta che fa finalmente chiarezza sulla ripartizione delle responsabilità tra i condannati per diffamazione indicati dalla legge sulla stampa (editore, stampatore, direttore responsabile e autore dell’articolo) non


Raffaele Del Noce e Massimo Garzilli

ha per ora un padre certo, ma tre possibili genitori: l’editore Francesco Gaetano Caltagirone; la coppia di ‘ragazzi’ (più di centotrenta anni in due) che guida il Mattino spa (il pensionato dal gennaio 2008 Massimo Garzilli e il prossimo pensionato Raffaele Del Noce); l’avvocato Francesco Barra Caracciolo. Sappiamo però con certezza chi ha ufficializzato la notizia: è Barra Caracciolo che con un testo di nove pagine “cita” la giornalista “a comparire” davanti al tribunale di Napoli il prossimo 12 novembre e le chiede “di restituire al Mattino spa la somma di euro 48.465,88 pari al 70% dell’importo corrisposto (ai diffamati, ndr) di 69.236,98 euro”.
Ricapitoliamo velocemente la vicenda. Il 4 gennaio 2007 il Mattino nel settore Grande Napoli, allora guidato da Antonella Laudisi, pubblica una paginata sulla ‘notizia’ che la megavilla di trenta stanze a San Sebastiano al Vesuvio sequestrata al boss della camorra Luigi Vollaro, noto come il ‘califfo’, sta per tornare al camorrista. La clamorosa “sconfitta dello Stato”, per usare le parole del Mattino, è imputabile “alla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Napoli” che “dopo il sequestro non ha disposto la confisca del  bene”. La fonte dello ‘scoop’ è l’avvocato Vittorio Trupiano, che gira ai


Enzo Lomonte e Luigi Vollaro

cronisti un’ampia documentazione. E il 4 gennaio, con il Mattino, scrivono della villa che “sarà restituita a Vollaro” anche il Roma, Cronache di Napoli, E Polis Napoli e Metropolis. Ma la notizia è del tutto infondata: nel novembre 2003 la Sezione per

l’applicazione delle misure di prevenzione del tribunale di Napoli, con Enzo Lomonte presidente e giudici a latere Paola Faillace e Lucia La Posta (relatore e estensore), ha rigettato l’istanza di revoca della confisca avanzata dagli avvocati del ‘califfo’; il 3 dicembre del 2004 l'Agenzia del demanio della Campania ha consegnato la villa al sindaco di San Sebastiano al Vesuvio.

La ripartizione

Torniamo ora alla novità della ripartizione del risarcimento, dopo una micro notazione di stile sul testo elaborato dall’avvocato del Mattino, che parla della “signora De Simone”, laureata in Giurisprudenza con una tesi in Filosofia politica (relatore il professore Giulio Maria Chiodi) e abilitata a esercitare la professione di avvocato, e del “dottor Mario Orfeo”, che agguantata la maturità classica al Pontano ha abbandonato gli studi per dedicarsi a tempo pieno al giornalismo. Nella citazione Barra Caracciolo ricorda che, secondo l’articolo 2055 del codice civile, “ciascun coautore dell’illecito si presume, nel dubbio, tenuto a rivalere in parti uguali, nella specie un terzo, l’importo della condanna pagata dal coobbligato solidale, salvo che la gravità delle rispettive colpe e l’entità delle conseguenze derivate siano diverse e quindi diverso l’importo da restituire”. Qui l’avvocato piazza il colpo magistrale: “Orbene il danno è stato arrecato per la sua quasi totalità dall’articolo giornalistico a firma della De Simone che è stata condannata per diffamazione non avendo posto la dovuta cura ed esame delle fonti cui è tenuta. È perciò evidente che la

responsabilità dell’illecito è sostanzialmente imputabile ad ella in via esclusiva e non certo al direttore e all’editore”.
La conclusione è inevitabile e netta: “Pertanto ai sensi dell’articolo 2055 non può operare la presunzione di parità di incidenza causale


Lucia La Posta e Antonella Laudisi
giacché in questo caso occorre tenere presente della “gravità delle rispettive colpe” e “dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate”. Orbene non v’è chi non veda come la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze è incommensurabilmente più elevata a carico della De Simone che ha studiato i problemi, esaminato le fonti e scritto l’articolo. Alla luce di quanto sopra appare, pertanto, equo indicare le responsabilità dell’editore nel 10% e nel 20% quella del Direttore. Consegue che il regresso nei confronti della giornalista De Simone è pari al 70% della somma pagata dal Mattino spa”.

Il desk
È perentorio Barra Caracciolo e poco importa che Amalia De Simone, sbagliando, ha scritto, come del resto i cronisti degli altri quotidiani, l’articolo sulla scorta del copioso materiale fornito dall’avvocato Trupiano. Poco importa che la collaboratrice in quattro anni ha scritto per il quotidiano centinaia di articoli, con una serie di servizi in esclusiva che nel 2006 le hanno consentito, su segnalazione dell’intera cronaca del Mattino, di ottenere un riconoscimento al premio nazionale Cronista dell’anno per lo scoop su Silvestro Delle Cave, il bambino scomparso e poi ucciso a Cicciano, in provincia di Napoli. Poco importa che l’intera fila di comando del giornale non


Vittorio Del Tufo e Gino Giaculli

abbia fatto il lavoro per il quale è pagato: leggere, passare, se necessario far riscrivere l’articolo quando presenta passaggi oscuri o delicati. A parte il direttore Mario Orfeo e il redattore capo centrale Antonello Velardi, il secondo dorso del giornale era affidato a

Claudio Scamardella, mentre sulla poltrona di capo cronista sedeva Gianpaolo Longo, con numero due Vittorio Del Tufo, e alla guida della Grande Napoli c’era Antonella Laudisi con il vice Gino Giaculli.      
Barra Caracciolo è avvocato dal 1982 e da molti anni  lavora per i quotidiani: è il legale del Mattino, è l’avvocato che su Napoli difende Repubblica; eppure sembra dimenticare che un collaboratore si limita a scrivere e mandare al giornale l’articolo, mentre l’impaginazione e la titolazione sono di competenza esclusiva dei graduati del giornale che per questo lavoro ricevono una indennità aggiuntiva. Impaginazione e titolazione che il collaboratore vede soltanto il giorno dopo quando va in edicola a comprare il giornale.


La rettifica

Veniamo all’ultima questione, che è però decisiva: la rettifica. La De Simone ha scritto una notizia sbagliata; gli ufficiali della cronaca hanno sbagliato molto di più a enfatizzare una notizia delicata senza effettuare controlli e senza interpellare qualcuno dei tanti giornalisti esperti in servizio a via Chiatamone; per fare qualche nome: Enzo Ciaccio, Gigi Di Fiore, Elio Scribani e i cronisti di giudiziaria Giuseppe Crimaldi e Leandro Del Gaudio. Nonostante ciò una rettifica tempestiva e adeguata avrebbe chiuso il caso.
Basta ricordare la bufala pubblicata dal Mattino il 31 marzo 2011 in prima

pagina: “Silvia Ruotolo, sentenza choc / assolto l’autista del commando” e a corredo un intervento della figlia di Silvia Ruotolo, Alessandra Clemente, che ha un incipit drammatico: “Ho l’anima spezzata”. All’interno la cronista Rosaria Capacchione


Leandro Del Gaudio e Elio Scribani

scrive che la terza sezione della Corte d’assise d’appello, presieduta da Omero Ambrogi ha assolto uno degli uomini del commando che aveva ucciso Silvia Ruotolo. Il giorno stesso della pubblicazione, su sollecitazione di Ambrogi, il presidente della Corte d’appello Antonio Buonajuto e il procuratore generale reggente Luigi Mastrominico convocano una conferenza stampa per far sapere che la Corte non ha assolto, ma condannato il killer, quindi la notizia pubblicata dal quotidiano di via Chiatamone è del tutto priva di fondamento. E il primo aprile il direttore Virman Cusenza deve ammettere che “purtroppo ieri il Mattino è incorso in un errore”. La rettifica è anche messa molto male: lo svarione è in prima pagina, l’ammissione dell’errore è in pagina interna, nella rubrica delle Lettere al direttore; ma la vicenda finisce lì.


La 'toppata'

Cosa succede invece per la villa di Vollaro? I magistrati della Sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione (il presidente Mario Cozzi e i giudici Giovanna Ceppaluni, Eugenia Del Balzo, Paola Faillace, Lucia La Posta, Vincenzo Lomonte) decidono di seguire una strada istituzionale: Cozzi


Antonio Buonajuto e Luigi Mastrominico

scrive una lettera al presidente del tribunale di Napoli Carlo Alemi per affidargli la richiesta di rettifica da indirizzare al giornale. Alemi contatta i vertici

del Mattino, lascia messaggi, ma non riesce a parlare con nessuno; decide allora di inviare una lettera a Mario Orfeo, ma non riceve risposta. In tribunale Amalia De Simone raccoglie la notizia della richiesta di rettifica, informa il giornale e viene spedita da Gino Giaculli a parlare con il presidente del tribunale; il 22 gennaio scrive il pezzo secondo le direttive e le misure che le sono state assegnate. Sono trascorsi diciotto giorni dalla bufala e ce ne vorranno altri tre prima che al Mattino decidano di pubblicare qualcosa, un pastrocchio su una colonnina nascosta in taglio basso a pagina 38, che viene bollato come ‘non rettifica’ da Carlo Alemi interpellato da Iustitia nel gennaio 2007. “La notizia pubblicata in forma anonima dal Mattino – dichiara il presidente del tribunale di Napoli - non ha assolutamente i requisiti della rettifica chiesta dai giudici della Sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione. A questo punto i colleghi potranno assumere tutte le iniziative

che riterranno opportune”.
Va anche ricordato che il 14 febbraio 2007 c’è a Napoli un’audizione della Commissione parlamentare antimafia e alcuni componenti chiedono al prefetto di Napoli Alessandro Pansa notizie sulla vicenda della villa di


Eugenia Del Balzo e Alessandro Pansa

Vollaro a conferma del fatto che il Mattino ha dato informazioni false e non ha posto rimedio all’errore. E tocca al prefetto fare chiarezza: “per quanto riguarda la villa di Vollaro, i giornali hanno scritto una cosa sbagliata. Mi dispiace, ma hanno completamente ‘toppato’. La villa è confiscata già da qualche anno, ma non la utilizza nessuno. La famiglia, il clan Vollaro, è interamente spossessata di quel bene”.   


La citazione

I giudici diffamati decidono allora che errare è umano, ma perseverare con un atteggiamento arrogante da parte dei vertici del quotidiano di via Chiatamone, dal direttore ai responsabili della cronaca, è inaccettabile, così tutti i componenti della Sezione, con l’eccezione del presidente Cozzi, danno mandato agli avvocati Adriano Giuffrè e Achille Janes Carratù di citare in giudizio il Mattino; citazione che viene depositata davanti al tribunale civile di Roma il 19 aprile 2007. E il 27 ottobre 2009 il giudice Anna Mauro deposita la sentenza che condanna Il Mattino, Mario Orfeo e Amalia De Simone al risarcimento dei danni da diffamazione. Ora è in corso l’appello e la prossima udienza è fissata al 18 gennaio 2013 davanti al giudice Giuseppe Lo Sinno.
Ripercorrendo i passaggi e le date di questa vicenda emerge con chiarezza che la mancata rettifica è l’elemento decisivo che spinge i magistrati all’azione giudiziaria. La conferma arriva dalle pagine della citazione dei magistrati dedicate al comportamento del Mattino dopo la pubblicazione dell’articolo. Scrivono tra l’altro gli avvocati Giuffrè e Carratù, “come risulta fin troppo evidente, l’anonimo pubblicato non tendeva affatto a rettificare le notizie false, addirittura tacendo dell’avvenuta pubblicazione delle stesse su “Il Mattino”,


Francesco Gaetano Caltagirone e Franco Siddi

richiamando i passi meno significativi della missiva del presidente del tribunale e omettendo quelli più importanti, ricostruendo infedelmente lo svolgimento dei fatti”.  
Se allora il nodo è la rettifica è di tutta evidenza che le responsabilità della collaboratrice sono nulle,

quelle dell’editore derivano soltanto dall’affidarsi a una squadra che talvolta toppa e toppa in maniera grave; proporremmo quindi all’avvocato Barra Caracciolo una nuova ripartizione per la copertura del risarcimento: alla De Simone il 5 per cento; per l’editore confermeremmo il 20; il 75 per cento non può non andare ai responsabili di scelte arroganti e autolesionistiche.
Accantonate le percentuali, resta la gravità del comportamento di un editore come Caltagirone che consente ai suoi manager di sparare con un cannone su una cronista spremuta dal 2004 al 2007 con richieste anche di più pezzi al giorno e con aperture a raffica delle pagine di cronaca (le collezioni del giornale lo testimoniano) e poi via via emarginata fino a rendere impossibile la collaborazione. La vicenda è la spia di una interpretazione ‘selvaggia’ dei rapporti di lavoro che costringerà anche i presidenti dell’Ordine nazionale e della Federazione della stampa, Enzo Iacopino e Franco Siddi, a intervenire. In ogni caso, se a piazza Cenni c’è un giudice (e un avvocato onesto e capace), il Mattino, che già vanta una buona serie di sconfitte giudiziarie, civili e penali, potrebbe portare a casa un risultato imprevisto.