Sul Sole24Ore duello
tra Serventi e Fantoni


INTERVENTO
Tre domande all'Aran
Sono oltre seimila i giornalisti senza riconoscimento professionale

Possono oltre seimila giornalisti degli uffici stampa pubblici non avere un loro riconoscimento professionale? Possono essere tagliati fuori dalla specifica tutela contrattuale nonostante che abbiano dalla loro una legge approvata dalla maggioranza schiacciante del Parlamento? Possono non essere presi in considerazione dall'Aran, Agenzia di contrattazione del pubblico impiego, solo perché le Confederazioni sindacali riconosciute al tavolo si rifiutano di far sedere con loro anche l'unico sindacato che rappresenta i giornalisti, e cioè la Fnsi?
Queste domande le vogliamo girare all'Aran e alle confederazioni sindacali. A tutti coloro che si oppongono tenacemente alle rivendicazioni di migliaia di colleghi che aspirano solo ad ottenere ciò che una legge dello Stato gli concede, e cioè la definizione di un loro specifico profilo professionale.
Ci piacerebbe che si aprisse un dibattito vero, aperto, alla luce del sole su quella che noi chiamiamo una ingiusta, quanto incostituzionale esclusione dalla definizione di qualcosa che ci compete come sindacato e che ci viene concesso dalla legge 150/2000 sulla comunicazione ed informazione pubblica.
Innanzitutto non riusciamo bene a comprendere il ruolo dell'Aran. Se ben due ministri della Funzione pubblica, Franco Frattini prima e Mario Baccini oggi, hanno confermato la giustezza della nostra richiesta, il primo inviando all'Agenzia l'Atto di indirizzo per l'avvio della trattativa e il secondo una lettera inequivocabile di chiarimento, che cos'altro deve attendere l'Aran? Questo organismo da chi dipende? Dal Dipartimento della Funzione pubblica per cui tratta le questioni contrattuali dei lavoratori del pubblico impiego o dalle organizzazioni sindacali che siedono ai tavoli contrattuali?
La verità è che non è possibile discriminare migliaia di lavoratori degli uffici stampa pubblici appigliandosi a norme sulla rappresentanza sindacale nel pubblico impiego, quando la legge 150/2000 non solo è successiva a quelle norme (29/93) ma è una legge speciale. Così come è stata riconosciuta in maniera inequivocabile dallo stesso attuale Ministro della Funzione pubblica quando afferma che la legge 150 "deroga espressamente al sistema della rappresentanza generale" della pubblica amministrazione.
D'altronde i giornalisti degli uffici stampa non potrebbero essere rappresentati dalla vigente normativa se si prevede che debbano rappresentare almeno il 5% di tutto il settore pubblico. A conti fatti su una popolazione di 3.200.00 lavoratori i giornalisti degli uffici stampa dovrebbero, secondo questa percentuale, essere 160.000. Una simile cifra non è verosimile.
Dunque a cinque anni dall'approvazione della legge 150 per la definizione del contratto giornalistico pubblico degli addetti agli uffici stampa è tutto fermo per colpa di una visione corporativa e di potere assolutamente inaccettabile. Abbiamo più volte tentato il dialogo con le altre organizzazioni sindacali ma sempre queste si sono ritratte all'interno del loro fortino Aran negandoci la possibilità addirittura della sola presenza nella sala della trattativa.
Questo è francamente inaccettabile per la nostra organizzazione. Crediamo, addirittura, che alla lunga non possa che nuocere allo stesso movimento sindacale confederale. Ostracismi, censure ed esclusioni pregiudiziali non hanno prodotto mai nulla di buono.

26 luglio 2005 Paolo Serventi Longhi,
segretario generale Fnsi