Jannuzzi inventa notizie,
i giornali pagano i danni

NON C'È STATO nessun incontro svizzero tra il pm di Milano Ilda Boccassini, il magistrato elvetico Carla Del Ponte, l’ex giudice Elena Paciotti e il magistrato spagnolo Carlos Castresana.
Non c’è stato un “gioco dei quattro congiurati” con “un summit a Lugano per pm italiano, svizzero e spagnolo con l’obiettivo di incastrare Berlusconi”.
Lo ha stabilito un tribunale della Repubblica italiana. In calce alle diciotto pagine della sentenza c’è la firma del giudice Carlo Montella, presidente della prima sezione civile del tribunale di Napoli, che ha ritenuto diffamatori gli articoli del senatore di Forza Italia Lino Jannuzzi, pubblicati dal settimanale Panorama (in edicola il 13 dicembre 2001 con data di copertina 20 dicembre), edito dalla Mondadori, società presieduta da Marina

Berlusconi; dal quotidiano il Giornale (il 14 dicembre 2001), di proprietà di Paolo Berlusconi; dal Velino (il 13 e 14 dicembre 2001), agenzia di stampa fondata dallo stesso Jannuzzi nel novembre del ’98. Negli articoli, esplosi, con tecnica da attentato


Ilda Boccassini e Elena Paciotti

terroristico, in maniera pressoché contemporanea dalle ammiraglie della carta stampata della galassia Berlusconi e dall’agenzia il Velino, si racconta di “strategie in toga” riferendo che, “allo scopo di trovare il modo per arrestare Berlusconi”, “in un albergo di Lugano si erano riuniti quattro personaggi di punta”. “La settimana scorsa – scrive Jannuzzi nella rubrica settimanale ‘Tazebao’, su Panorama del 13 dicembre 2001 – sono stati visti riuniti discretamente in un albergo di Lugano quattro personaggi di punta: Elena Paciotti, già presidente dell’Associazione magistrati e ora parlamentare europeo dei Democratici di sinistra, principale fautrice e fattrice del mandato di cattura europeo; Ilda Boccassini, il pm che sostiene l’accusa nei processi contro Cesare Previti e Silvio Berlusconi; Carla Del Ponte, la procuratrice europea che sta processando Slobodan Milosevic e che è stata a lungo la corrispondente svizzera in rogatorie del pool di Milano; e Carlos Castresana, il capo della procura anti corruzione di Madrid”.
Una tesi che Jannuzzi ha sostenuto su Panorama anche dopo lo ‘scoop’. Sette giorni dopo il primo articolo, il giornalista, “pur ammettendo, - è scritto nella sentenza - a seguito delle smentite dei diretti interessati, che la notizia del summit era falsa, insinuava che comunque esisteva una lobby giudiziaria che lavorava in Italia per incastrare Berlusconi”. Nella decisione di Montella viene


La rubrica di Jannuzzi del 13 (20) dicembre 2001

anche ricordato che su Panorama veniva pubblicato un altro articolo di Jannuzzi che, “lungi dallo smentire le precedenti false notizie, affermava che avrebbe in futuro dimostrato che l’incontro di Lugano era effettivamente avvenuto”.
Le tre magistrate si sono

sentite diffamate dagli articoli di Jannuzzi e, assistite dagli avvocati milanesi Salvatore e Nicola Morvillo e dal professore Valerio Tozzi del foro di Napoli, hanno presentato una richiesta di risarcimento danni al tribunale partenopeo, sede competente perché il senatore di Forza Italia ha a Napoli la sua residenza.
Contro Panorama e il Giornale, Carla Del Ponte e Elena Paciotti, difese dall’avvocato Salvatore Morvillo, si sono rivolte al tribunale civile di Milano. Il rito ambrosiano, si sa, è molto più veloce di quello partenopeo e le sentenze sono state depositate da tempo. Stesso giudice, Stefano Bonaretti della prima sezione, ma giudizi distinti contro l’editore del Giornale, la Società europea di edizioni, e il direttore responsabile Maurizio Belpietro, assistiti dagli avvocati Francesco Gatti e Alessandro Munari.
Nel giudizio promosso dalla Paciotti, il 25 gennaio 2005 Bonaretti ha condannato la See e il direttore responsabile a pagare un risarcimento di 35mila euro (oltre gli interessi), e più di diecimila euro per le spese legali, e a pubblicare a proprie spese il dispositivo della sentenza sul Giornale e sul Corriere della sera “su due colonne e a caratteri doppi del normale”.

Anche la sentenza relativa a Carla Del Ponte è stata emessa il 25 gennaio 2005, con la condanna per editore e direttore a pagare un risarcimento di 48mila euro e oltre diecimila euro di spese legali, con la pubblicazione del dispositivo, “su due colonne a caratteri doppi


Slobodan Milosevic e Cesare Previti

del normale”, sul Giornale, sul Corriere della sera e sul Corriere del Ticino.
Processo unico invece contro il direttore Carlo Rossella e la Mondadori affidato al giudice Stefano Rosa, della prima sezione del tribunale di Milano. Il 22 gennaio 2004 Rosa ha condannato la casa editrice e il direttore responsabile a risarcire il danno della diffamazione con centomila euro a favore della Paciotti e 150mila euro alla Del Ponte, oltre gli interessi, e a pagare più di ottomila euro di spese legali a ciascuna delle parti. In tutti i giudizi (anche in quello partenopeo), i magistrati hanno stralciato la posizione di Jannuzzi in attesa delle decisioni della giunta per le autorizzazioni del Senato.
Tutt’altra musica a Napoli, nelle stanze di Castelcapuano. Con una decisione sorprendente il giudice Montella, che aveva ereditato i fascicoli dall’ex presidente Gaetano Annunziata passato in corte d’appello, ha deciso di accorpare le cinque richieste di risarcimento danni: tre presentate dalla Boccassini contro Panorama, il Giornale e il Velino; una a testa dalla Del Ponte e dalla Paciotti contro il Velino.
“Si tratta di una decisione sorprendente – commenta un civilista napoletano esperto in diffamazioni – perché Montella non ha differenziato le posizioni


Napoli. Il cortile di Castelcapuano

delle parti offese, dei media utilizzati per diffamare, del loro peso, della loro diffusione”.
“Il senatore Jannuzzi – riconosce Montella nella sentenza – (a prescindere da ogni valutazione di competenza del Senato della Repubblica, circa la perseguibilità per le

opinioni da lui espresse), autore di vari articoli, ha sempre usato toni sconvenienti e particolarmente suggestivi, ha riferito fatti non veritieri, così come in sostanza riconosciuto da tutti i convenuti, ha usato espressioni offensive e denigratorie. È ovvio quindi che il discredito ingenerato nelle attrici, costituisce fatto illecito”.
Poi, con coerenza, da premesse sorprendenti arriva a conclusioni ancora più sorprendenti. Il 31 maggio Carlo Montella, napoletano, sessantacinque anni, da quaranta in magistratura, ha emesso la sentenza (depositata il 20 giugno) con la quale condanna per diffamazione la Mondadori, editore di Panorama, e il direttore Carlo Rossella (difesi dagli avvocati Giovanni Ciappa, Antonello Martinez e Claudio Novebaci); la Società Europea Edizioni, che pubblica il Giornale, e il direttore Maurizio Belpietro (assistiti dai legali Eliana Marfoglio, Alessandro Munari e Francesco Gatti); il legale rappresentante del Velino srl e il direttore Roberto Chiodi (difesi dagli avvocati Mario Monticelli e Giuseppe Cosentino).
Giudizio unificato, condanne unificate e unificate anche le liquidazioni per le spese legali, con somme lontanissime da quelle decise dai giudici milanesi: per

ogni giudizio il risarcimento è stato fissato in dodicimila euro, con 3200 euro di spese legali e la pubblicazione per estratto della sentenza su ognuno dei giornali “nelle pagine di cronaca”.
“Anche i dettagli – commenta il già citato avvocato civilista -


Renato De Tullio e Valerio Tozzi

rinnovano la sorpresa; basti pensare che secondo la sentenza l’estratto deve essere pubblicato nelle pagine di cronaca, mentre l’aggressione alla Boccassini, alla Del Ponte e alla Paciotti, con la notizia falsa dell’incontro di Lugano, il 14 dicembre 2001 era stata collocata dal Giornale in apertura di prima pagina. Senza contare che l’importo per il risarcimento del danno è stato fissato in diecimila euro, ai quali vengono aggiunti duemila euro per “la comminazione – scrive Montella – della pena pecuniaria prevista dall’articolo 12 della legge numero 47 del 1948, in proporzione alla gravità dell’offesa e alla diffusione della pubblicazione”. Dal momento che la gravità dell’offesa viene ritenuta uguale per i tre organi d’informazione, se ne deduce che è ritenuta uguale anche la capacità di penetrazione e diffusione della notizia presso l’opinione pubblica di due media molto diversi: da una parte un’agenzia di stampa conosciuta da un ristrettissimo gruppo di addetti ai lavori della cronaca parlamentare, dall’altra il primo newsmagazine italiano con una tiratura settimanale media nel 2001 superiore alle 750mila copie”. Aggiungerei


14 dicembre 2001. I titoli della prima e di pagina 9

una considerazione monetaria: per i cinque articoli diffamatori di cui si è occupato il giudice partenopeo l’importo complessivo, tra risarcimento e spese legali, ammonta a 76mila euro, largamente meno della metà dei 158mila euro liquidati, tra risarcimento e spese legali, dal giudice Stefano Rosa a Carla Del Ponte per il solo articolo di Panorama. Eppure la

Boccassini è, con tutta evidenza, il principale obiettivo del fuoco di articoli del dicembre 2001, come risulta dalle sue foto poste sempre a corredo dei servizi di Panorama e del Giornale”.
Nel maggio scorso il quotidiano di Paolo Berlusconi è stato assolto in sede penale dall’accusa di diffamazione per gli articoli che aveva dedicato a Sharifa, la mamma somala finita sotto inchiesta con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le indagini su Sharifa erano state coordinate dalla Boccassini, che aveva poi presentato querela per gli articoli del quotidiano milanese. Il 10 maggio 2005 l’esito del processo è finito sulla prima pagina del Giornale: “Caso Sharifa / “Il Giornale” assolto / Boccassini sconfitta". Sarà ora interessante vedere la collocazione in pagina che il direttore Maurizio Belpietro assegnerà alla sentenza napoletana.
Altrettanto istruttivo sarà seguire le scelte del vertice di Panorama dopo la condanna partenopea, anche perché il periodico nel diffamare la Boccassini è recidivo. Nel maggio del 2000 il settimanale della Mondadori aveva già dedicato grande attenzione a “Ilda la rossa”, con ampie anticipazioni del libro ‘Strettamente riservato’, edito da Mondadori e firmato da Paolo Cirino Pomicino con lo pseudonimo di Geronimo. Nel giugno del 2003 il giudice Giuseppe De Tullio, della prima sezione civile del tribunale di Napoli, ha condannato 'in solido' Pomicino, l’allora direttore di Panorama Roberto Briglia e la Mondadori a un risarcimento di 40mila euro, oltre cinquemila

euro di spese per gli avvocati.
Sul “summit di Lugano”, inventato dal senatore di Forza Italia, all’interno del settimanale milanese ci sono già state polemiche aspre. Dieci mesi dopo la pubblicazione degli articoli di Jannuzzi l’allora comitato di redazione di


Pietro Calabrese e Paolo Cirino Pomicino

Panorama (composto da Manuela Grassi, Francesca Oldrini e Bianca Stancanelli) indirizzò una lettera al direttore Carlo Rossella, scrivendo tra l’altro: “I fiduciari avvertono l’esigenza di ricordare che dal dicembre 2001 i giornalisti e, soprattutto, i lettori di questo giornale attendono che il senatore Lino Jannuzzi rechi le prove dell’asserito incontro svizzero fra magistrati descritti come ostili a Silvio Berlusconi. Il differimento di questo impegno, riconosciuto come inderogabile dalla stessa direzione in un fondo sulla vicenda, indebolisce l’immagine di Panorama”. Pronta e breve la risposta di Rossella: “Il caso Jannuzzi è aperto e resta valido l’impegno a dare chiarimenti non appena ve ne sarà la possibilità”.
Ora bisogna attendere le mosse, se ce ne saranno, di Pietro Calabrese, che nel novembre scorso ha raccolto l’eredità di Rossella passato alla guida del Tg5, e del cdr di Panorama, formato da Gianni Colussi, Francesca Oldrini e Antonio Padalino.