Mattino, più cronaca
contro il calo copie

CALANO LE COPIE, ma cresce la gerenza: potrebbe essere questa la sintesi ruvida sulla svolta organizzativa impressa al Mattino da Mario Orfeo dopo due anni e mezzo di direzione e meditazione.
Al Corriere della sera lo staff di vertice è formato dal direttore Paolo Mieli, dal condirettore Paolo Ermini e da quattro vice; a Repubblica con Ezio Mauro ci sono quattro vice direttori, un capo redattore centrale e uno vicario; alla Stampa in gerenza ci sono il direttore Marcello Sorgi, tre vice direttori, due redattori capo centrali, i responsabili delle sedi di Milano e Roma e l’art director; nel colophon del Giornale, con il direttore Maurizio Belpietro,

quattro vice direttori, due redattori capo centrali, il capo della sede romana e il responsabile grafico; al Messaggero guidato da Paolo Gambescia, due vice direttori e tre redattori capo centrali.
Il Mattino, che dichiara per il 2003 una diffusione quotidiana di 93.399


Mario Orfeo e Antonello Velardi

copie (meno di un settimo delle 858.518 dichiarate dal Corriere per lo stesso periodo), ha in gerenza dieci nomi: con il direttore Orfeo ci sono cinque componenti dell’ufficio dei redattori capo centrale (Antonello Velardi, responsabile, Sergio Troise, vicario, Gianni Ambrosino, Massimo Baldari, Armando Borriello), cui si aggiungono i quattro dell’ufficio coordinamento cronache (il responsabile Claudio Scamardella, il vicario Antonino Pane, il vice redattore capo Titti Marrone e il capo servizio Francesco De Core). E la presenza, tra i dieci, di un capo servizio (De Core, assunto al Mattino nell’estate del 2003) ha suscitato molti malumori in redazione.
In ogni caso la gerenza da primato fa pendant con i dati dell’organico dai quali emerge un rapporto largamente a favore dei graduati (71 tra redattori capo, vice, capi servizio e vice) rispetto ai redattori ordinari (50, di cui tre con contratto a termine).

I knock out

La riorganizzazione della redazione doveva esordire a fine novembre; è poi slittata a domenica 11 dicembre, a distanza di quattro anni dalla riduzione del formato del Mattino, battezzato dalla direzione Gambescia con il varo della tipografia di Caivano Pascarola.
Sul piano presentato dal direttore la redazione ha votato a scrutinio segreto il 3, 4 e 5 dicembre. Ne è venuta fuori una bocciatura larga con 61 voti contrari e soltanto 29 a favore; ma non è la prima volta che i giornalisti votano contro il direttore.
Il primo knock out di Orfeo risale al 22 maggio 2003; l’assemblea, convocata subito dopo l’annuncio dell’assunzione del capo servizio Francesco De Core,


Paolo Gambescia, Marcello Sorgi e Paolo Mieli

con voto segreto decise di negare la fiducia al direttore, con 72 voti contrari, 15 favorevoli, tre schede nulle e cinque bianche.
La seconda bocciatura è del 27 gennaio 2004 quando la redazione vota sul piano editoriale: i contrari sono 49, i

favorevoli 41, con quattro schede bianche e due nulle. Per capire meglio l’anomalia, rispetto agli altri quotidiani nazionali, dei giornalisti di via Chiatamone è utile riepilogare la vicenda del piano editoriale, facendo attenzione ai tempi.
Mario Orfeo si è insediato alla direzione del Mattino l’otto luglio 2002; secondo il contratto nazionale di lavoro (articolo 6, terzo comma), “quale primo atto dal suo insediamento il direttore illustra all’assemblea dei redattori gli accordi di cui al comma precedente e il programma politico-editoriale concordato con l’editore”.Per il “primo atto dal suo insediamento” Orfeo ha impiegato 357 giorni, un primato negativo assoluto, ma la redazione è riuscita a fare peggio. Quando il 30 giugno 2003 nella sala Siani il direttore ha letto ai giornalisti le otto pagine del suo piano, nessuno ha ritenuto opportuno fargli domande o sollecitare chiarimenti, né chiederne una copia; anzi, andato via Orfeo, l’assemblea ha deciso, non si capisce perché, di rinviare all’autunno il voto sul piano. Poi il piano è sparito e il voto è slittato dall’autunno all’inverno, a diciotto mesi di distanza dall’insediamento del successore di Paolo Gambescia.
Al primo voto negativo Orfeo accusò il colpo. La sua immagine di giovane direttore in rapidissima ascesa veniva offuscata dalla raffica di no dei suoi redattori, poi ha capito che è solo un gioco, senza conseguenze: i giornalisti sfogano nell’urna mugugni, malesseri, frustrazioni (c’è chi non è andato alle

Olimpiadi; chi voleva, o non voleva, cambiare settore, stanza o scrivania; chi non è stato promosso); il cdr prepara un comunicato puntuto e minaccioso; e tutto va avanti come prima.


Sergio Troise, Gianni Ambrosino, Massimo Baldari e Armando Borriello

Anche dopo la bocciatura dello scorso dicembre il comitato di redazione (ne fanno parte Paolo Barbuto, Maurizio Cerino, Enzo Ciaccio per la redazione centrale, per la sede di Roma Antonio Troise, per Salerno Gregorio Di Micco, per le altre redazioni l’irpino Annibale Discepolo, per i collaboratori Domenico Barbati) ha stilato un comunicato ricco di critiche e sigillato da propositi bellicosi: “Il comitato di redazione, in tale panorama organizzativo, è pronto a difendere i diritti più elementari del corpo redazionale con ogni forma di azione sindacale che riterrà opportuna per evitare che qualità del lavoro e rispetto delle preesistenti professionalità possano essere ulteriormente calpestate”.

Le cronache
E veniamo finalmente alla riorganizzazione del giornale. Le novità più importanti riguardano il varo del secondo dorso interamente dedicato alle cronache (con lo spostamento dello sport al dorso nazionale) e tre caselle: una liberata al vertice della redazione romana da Enzo Iacopino, che lascia il Mattino; una alla guida del settore Cultura, finora occupata da Titti Marrone, che, dopo dieci anni e quattro direttori, viene rimossa e trasferita al coordinamento delle cronache; la terza, come numero tre in cronaca di Napoli, che va ad occupare Paolo Russo, arrivato da Repubblica Napoli.
Il secondo dorso nasce con l’obiettivo di mettere ordine in una successione di pagine spesso confusa e di dare nuovo slancio alle cronache (cittadina, provinciale, regionale) individuate come chiavi per invertire il trend negativo delle vendite. “Dobbiamo regionalizzare il giornale”, ha spiegato Orfeo al comitato di redazione.
Per dare energie e fosforo alle cronache è stato creato un secondo ufficio centrale affidato al capo cronista Claudio Scamardella e completato dal vicario Pane, dalla Marrone e da De Core. Lo staff deve pensare, coordinare e controllare l’intero secondo dorso del giornale, articolato in Cronaca di


Claudio Scamardella, Antonino Pane e Francesco De Core

Napoli, di cui è responsabile Carlo Nicotera con vice Vittorio Del Tufo; Grande Napoli, che copre la provincia, guidata da Giampaolo Longo, con numero due Antonella Laudisi; Campania, che ha un vertice bicefalo formato dal vice redattore

capo Michele Tanzillo e da Marilicia Salvia, neo capo servizio. Napoletana di Pompei, quarantatre anni, la Salvia si è accaparrata l’unica promozione decisa dal direttore; i colleghi la descrivono come “scrupolosa, pignola, precisa esecutrice di direttive, senza lampi né grilli, un quadro ideale per un culo di pietra come Orfeo, che non è ancora riuscito a liberarsi fino in fondo dei panni del redattore capo per assumere quelli del direttore”. Per altre promozioni il direttore ha preso impegni vaghi con il cdr: “Ci sono diversi sotto esame, - avrebbe detto – dopo un congruo periodo di prova decideremo”.
Con i gradi di vice capo servizio il numero tre della cronaca cittadina è Paolo Russo, salernitano di Cava dei Tirreni, quarantuno anni, da dodici professionista, arrivato a dicembre dalla redazione di Repubblica Napoli, il cui responsabile Giustino Fabrizio di recente lo aveva promosso al desk.
Russo va a coprire la casella lasciata libera nella scorsa estate dal pensionamento dell’ex capo cronista Marco Pellegrini.
Completamente rinnovato, con un’impostazione grafica che ricalca il Cartellone di Repubblica Napoli, anche il paginone di Girocittà, curato da Maria Chiara Aulisio, con la collaborazione della Cultura per la fascia bassa e degli Spettacoli per l’alta. Completano il secondo dorso quattro pagine napoletane di Economia, Cultura, Spettacoli e Sport, che, nell’ordine, saltano quando la pubblicità chiede spazio.

Il primo dorso
Continua intanto a perdere pezzi la redazione romana, ridotta ormai a sette unità. Dal primo gennaio ha lasciato il Mattino il responsabile della sede capitolina Enzo Iacopino, calabrese di Reggio, cinquantasei anni, da ventotto

professionista, dal 1994 presidente dell’Associazione stampa parlamentare. Prende il suo posto Gino Cavallo, rientrato un anno e mezzo fa al giornale dopo l'esperienza non esaltante a Caltanet, il portale del gruppo Caltagirone, mentre la numero due


Paolo Barbuto, Maurizio Cerino, Enzo Ciaccio e Antonio Troise
è Teresa Bartoli. Per Iacopino giravano voci che lo davano diretto verso l’ufficio stampa di Fini alla Farnesina, ma l’interessato le liquida come sciocchezze. “Ho assunto la guida della redazione romana del Mattino – ricorda Iacopino – il primo aprile del ’94 chiamato da Sergio Zavoli e allora eravamo in sedici. Dopo oltre dieci anni spesi entrando in redazione alle 9,30 e, salvo uno stacco a pranzo, uscendo alle 22, avevo voglia di cambiare aria. È stata una scelta dettata dalla fatica fisica, uno stop deciso per evitare di esplodere. Non c’è stato nessun litigio, né con il direttore, né con l’editore. Certo ho avuto discussioni ogni settimana con Orfeo, come è nella normale dialettica tra direttore e capo della redazione romana. Discussioni ne avevo avute ogni settimana anche con Graldi e due volte a settimana con Gambescia, ma allora non ero andato via. Ora penso di occuparmi di altro. Nei prossimi giorni inizierò una serie di trasmissioni in tv sull’informazione politico parlamentare”.
Da piazza San Silvestro a via Chiatamone, con spostamenti di rilievo anche all’Economia, settore guidato da Marco Esposito. Il 31 gennaio è andato in pensione il numero due Enzo Popoli, che quattro giorni dopo, a cinquantanove anni, è morto per infarto. Dal primo febbraio è stato assunto, con contratto annuale, Emiliano Fittipaldi, napoletano, trentuno anni, laurea in Lettere moderne alla Federico II e master in giornalismo alla Luiss, da un anno professionista, stage nell’estate del 2002 al Corriere del Mezzogiorno e in quella successiva alla redazione romana del Corriere della sera, quotidiani con i quali ha collaborato fino alla fine di gennaio, autore in tandem con il vice


Marco Esposito, Emiliano Fittipaldi e Enzo Popoli

direttore del Corsera Dario Di Vico dell’inchiesta in tredici puntate ‘Profondo Italia’, raccolte nel libro pubblicato dalla Bur nello scorso ottobre e vincitore del premio Sodalitas promosso dalla Confindustria lombarda.
Per una casella riempita ce

n’è un’altra che si libera: dal primo marzo il numero due dell’Economia, Angelo Iaccarino, si trasferisce al Sanpaolo. Napoletano, quarantacinque anni a maggio, da nove professionista, Iaccarino viene dalla nidiata della Curia partenopea e dal settimanale Nuova stagione; ha lavorato con Orazio Mazzoni a Napoli Oggi e al Giornale di Napoli, prima di approdare come collaboratore al Mattino. Nel 1994 venne assunto da Zavoli; dal primo febbraio scorso è diventato numero due dell’Economia, un incarico rimasto sulla carta per il passaggio al Sanpaolo Banco Napoli per il quale si occuperà (con contratto da dirigente, area d’interesse il Mezzogiorno e base Napoli) di organizzare l’ufficio pubbliche relazioni resuscitato, dopo tre anni di sonno, dal direttore generale Antonio Nucci. Per la sostituzione di Iaccarino Orfeo e Esposito stanno valutando se puntare su un interno, con il rischio di rimettere in discussione equilibri ancora precari, o pescare fuori dal Mattino.
Il direttore ha anche deciso di accorpare Cultura e Spettacoli, affidandone la guida a Titta Fiore, con due vice, Pietro Treccagnoli e Luciano Giannini. Il primo ha avuto una lettera dal direttore per coordinare le pagine della Cultura, il secondo si occupa degli Spettacoli. Alla fusione dei due settori si è arrivati defenestrando Titti Marrone, responsabile della Cultura dal 1994, quando Zavoli le affidò il settore fino ad allora curato da Gino Cavallo. “È troppo di sinistra; è troppo spocchiosa; è troppo noiosa (con articolesse a ripetizione); è troppo sciatta (pochissimi sforzi su titoli, sforbiciate sui pezzi e grafica per dare appeal alle pagine); è troppo occupata (tra libri da scrivere e corsi da tenere all’università)”: dalle 'accuse' dei sostenitori del direttore si

capisce che Titti Marrone era comunque “troppo”. In realtà tra i due non c’è mai stato feeling, né, dati i caratteri, poteva andare diversamente con Orfeo abituato sin dal liceo a nutrirsi di giornali e di giornali e la Marrone sicura di avere acquisito con gli anni una sorta di


Titta Fiore, Marco Pellegrini e Pietro Treccagnoli

intangibilità. La situazione sarebbe poi precipitata a metà novembre con un litigio furioso per notizie brevi messe in pagina dalla Cultura, pare in assenza della responsabile, nonostante il divieto esplicito del direttore. “Titti – commenta uno dei giornalisti che la conosce bene – non ha digerito la rimozione, ma un capo non può non coltivare il dialogo con il numero uno del giornale e addirittura arrivare allo scontro. In fondo, con l’incarico all’ufficio centrale delle cronache, è caduta in piedi; anche se non sarà facile, ora deve mettere un po’ da parte libri, editori e professori universitari e concentrarsi sulla cronaca”.

Un primo bilancio

A due mesi dal varo la nuova formula non ha prodotto ancora risultati visibili, ma è possibile raccogliere le impressioni dei redattori, come è cattiva abitudine del Mattino, quasi sempre anonimi.
Qualcuno è particolarmente critico. “Tutti i giornali regionali – osserva uno dei cronisti anziani di via Chiatamone, ex membro del cdr – hanno scelto il doppio dorso e tutti vanno male, alcuni molto male. Un motivo deve esserci. Certo i regionali vivono una situazione difficile perché sono stretti in una tenaglia: da un lato i grandi giornali nazionali che calamitano lettori con gadget e inserti di ogni tipo, gratuiti o a prezzi ultra competitivi; dall’altra giornali provinciali e sub provinciali (in cui contratto e sindacato sono parole sconosciute), che sulla cronaca utilizzano in nero decine di aspiranti reporter, ramazzando gran parte dei lettori di fascia medio bassa. Per di più da qualche anno abbiamo il problema della free press che erode lettori e noi, con Leggo, il ‘nemico’ ce l’abbiamo in casa. Sarebbe necessario un grande sforzo; vedo invece una pigrizia diffusa e il tentativo di applicare ricette che vanno bene per quotidiani di altro respiro. Del resto Orfeo, nella sua già lunga esperienza, ha lavorato in giornalini e in un giornalone come Repubblica; gli manca il passo del regionale e nemmeno lo cerca. Risultato: a Napoli città, con altre duemila copie perse a gennaio 2005, non raggiungiamo le trentamila copie e arranchiamo per


Maria Chiara Aulisio, Giampaolo Longo e Carlo Nicotera

difendere un dato vendite complessivo che è la metà delle 179.940 copie diffuse nel 1990 quando alla direzione c’era Pasquale Nonno e al San Paolo splendeva Maradona”.
La difficile formula del quotidiano a metà strada tra il nazionale e il locale

è al centro delle osservazioni di un altro redattore. “Dobbiamo inventare – dice - un nuovo modo di fare il quotidiano regionale e ragionare su un prodotto compatto in grado di soddisfare il lettore di fascia medio alta e chi cerca la cronaca minuta. Invece ci intorciniamo sulle pagine ribattute, sbagliamo troppo di frequente persino i richiami di prima, ma soprattutto non abbiamo nell’edizione nazionale notizie importanti di Salerno e Caserta che invece hanno Repubblica Napoli e il Corriere del Mezzogiorno. Molti, tra i redattori più intelligenti e capaci, pensano che il Mattino sia un giornale in agonia. Ma se non vogliamo diventare un quotidiano destinato a una crisi senza ritorno abbiamo davanti un nodo ineludibile: il giornale va pensato a fondo e nella sua globalità o ci basta sveltire i tempi di lavorazione?”
Sul miglioramento dei tempi di lavoro, ottenuto grazie alla nuova organizzazione, sembrano concordare tutti. “Per le cronache – osserva un capo servizio - non c’è ancora un salto di qualità nelle inchieste e nelle notizie. Cè però un’accelerazione nei tempi di lavoro: prima la sera si creava un imbuto davanti alla stanza di Velardi con i responsabili dei settori in fila come scolari con le pagine da mostrare (e far correggere) al redattore capo centrale; ora Scamardella e Pane hanno una delega vera ed è più facile assegnare pagine e carichi di lavoro. La macchina è ancora in rodaggio: va messo a punto il piano delle ribattute, spesso ci sono sovrapposizioni nella richiesta dei pareri e notizie ripetute, ma il risultato raggiunto non va sottovalutato, anche perché lo sveltimento del secondo dorso si riflette in positivo sulla prima parte

del giornale”.
Maggiori perplessità si raccolgono invece tra chi lavora nelle altre redazioni della Campania. “Se l’obiettivo – spiega un cronista di Terra di lavoro
- era contrastare l’aggressività dei quotidiani provinciali, la risposta è deludente.


Paolo Graldi, Pasquale Nonno e Sergio Zavoli

Prendiamo l’edizione di Caserta del Mattino che cucina undici pagine. Oltre la copertina ce ne sono tre per il capoluogo, due di sport e una di Girocittà; ne rimangono quattro dedicate alla provincia suddivisa in aree vaste e disomogenee. Troppo poco contro concorrenti che di pagine ne sfornano trenta. In questo modo la localizzazione è monca e diventa più un limite che un vantaggio”.
Tra gli scontenti del nuovo corso viene annoverato il numero due del Mattino Antonello Velardi. “Si sente dimezzato; - dice un redattore – a differenza di Orfeo che ha un orizzonte nazionale, Velardi è concentrato sul locale. Avere perso il controllo diretto e pieno sulle cronache regionali e provinciali, inclusa la sua terra d’origine, il Casertano, gli pesa”. Una lettura che Velardi smentisce. “Non mi sento dimezzato, – puntualizza – perché molto lavoro delle cronache continua a cadermi addosso. E, come prima, guardo con attenzione le nostre edizioni locali e leggo i più informati tra i fogli locali per vedere se hanno notizie che non abbiamo. È vero invece che questo è un lavoro che logora e mi sento stanco: prima venivo accusato di urlare sempre; ora non urlo più”.