“Ordine giornalisti,
perché mi dimetto”

Gentile direttore,
sono Michele Ingenito, nato ad Amalfi nel settembre 1945, pubblicista dal 1980, scrittore, saggista, assistente incaricato di Lingua e letteratura inglese all’Orientale, lettore di Lingua italiana all’università di Sheffield (Uk) e direttore dell’Istituto di lingue straniere all’università di Salerno.
Un anno fa, esattamente il 9 novembre 2019, mi sono dimesso dall’Ordine dei giornalisti, dopo quaranta anni di iscrizione all’albo, con una lettera raccomandata inviata ai presidenti nazionale e regionale dell’Ordine, Carlo Verna e Ottavio Lucarelli e, per conoscenza, al

presidente della Federazione della stampa Giuseppe Giulietti.
Perché l’ho fatto? Provo a spiegarlo in sintesi. Partiamo dalla vicenda dalla quale ho rischiato di essere travolto.  Per una raffica di

Frederick Forsyth e Michele Ingenito

articoli pubblicati dal Mattino di Salerno tra il 7 e il 12 dicembre del 2004 mi trovai improvvisamente al centro di una bufera mediatico-giudiziaria tanto fragorosa quanto fasulla. E ciò a causa di una presunta telefonata anonima di una sedicente studentessa alla polizia del Campus universitario di Salerno, guarda caso non registrata e mai trovata nei suoi contenuti almeno testuali e/o riassuntivi negli atti di indagine. Secondo la presunta accusa telefonica fatta immediatamente propria dallo zelante sottufficiale responsabile dell’ufficio, nella stanza da me condivisa con un collega da poco scomparso si svolgevano (ovviamente in mia assenza) atti illeciti quali la "vendita di esami" e "atti sessuali finalizzati alla compravendita di quegli stessi esami".
Sulla base di simili elementi indiziari ispirati da quella unica, ripeto unica, presunta telefonata anonima, con il rischio concreto per la presunta autrice di essere identificata e denunciata per calunnia, è stata subito avviata una indagine a tappeto costata una marea di soldi al povero contribuente, con l’utilizzo di video filmati e intercettazioni telefoniche, che però si è conclusa, come era prevedibile, con un’archiviazione di tutte le accuse.
La vicenda, come detto, è stata raccontata ed enfatizzata dalle pagine salernitane del Mattino. Mi sono difeso e ho avviato azioni giudiziarie sia in sede penale che civile. E sono arrivate le condanne degli autori dei servizi (il redattore Antonio Manzo (oggi direttore del quotidiano La Città, ndr), il collaboratore Giuseppe Napoli, lo scrittore Diego De Silva), dell’allora direttore Mario Orfeo e della società che edita il

Diego De Silva e Antonio Manzo

giornale per il reato di diffamazione a mezzo stampa nei miei confronti. Ho quindi chiesto più volte per iscritto al ‘mio’ (si fa per dire) Ordine dei giornalisti di avviare il relativo e obbligatorio procedimento disciplinare, come

previsto in caso di condanna della magistratura a carico di chi mi aveva diffamato. Il ‘buon’ Ottavio Lucarelli, presidente regionale uscente, e il presidente del consiglio di disciplina Maurizio Romano, fecero ed hanno continuato a fare orecchi da mercanti.
Questo il riepilogo storico della squallida vicenda mediatico-giudiziaria fatta anonimamente esplodere all’università degli studi di Salerno, una bufera che penso sia stata ordita e pilotata da una  piramide di potere locale contraria alla gestione autonoma e non manipolabile della mia cattedra, gestione curata negli esclusivi interessi istituzionali, degli studenti e della loro formazione migliore e perciò decisamente contraria alle convalide di ufficio del fondamentale e obbligatorio esame di lingua inglese (così come di tutti gli insegnamenti linguistici all’epoca attivati) improvvisamente declassati a una semplice prova, superabile burocraticamente sulla base di discutibilissime frequenze linguistiche scolastiche pre-universitarie inventate di (mal)sana pianta. Una gestione, la mia, radicalmente contraria alle raccomandazioni facili e disinvolte chieste in maniera pressante da uomini di potere o presunti tali.
Ora, mi chiedo: perché, dopo la condanna schiacciante e passata in giudicato in quanto non impugnata dai diretti interessati, con un risarcimento a mio favore di 56mila euro e il pagamento di ottomila euro di spese giudiziarie a carico dei ‘diffamatori’, l’Ordine regionale o, in veste di supplente, l’Ordine nazionale non hanno agito sul fronte disciplinare contro gli acclarati responsabili di un simile gravissimo comportamento professionale, oltre che di un reato come la diffamazione aggravata perché a mezzo stampa.
Sul capo del pubblicista di Agropoli Sergio Vessicchio, evidentemente troppo lontano dalle stanze del potere, ancorché responsabile di una loquacità espressiva antifemminista decisamente offensiva e, perciò, inaccettabile, è calata immediata la mannaia tagliente e impietosa di una radiazione fulminea dall’Ordine, a mio modesto avviso punibile ma non fino a quel punto. Invece su tre colleghi condannati pesantemente da un tribunale dello Stato, per i quali sarebbe obbligatoria e automatica la

sanzione disciplinare, tutto ha taciuto e tace. E, cosa ancora più grave, ciò è accaduto nonostante le reiterate, ufficiali e più che motivate richieste scritte e, quindi, formali

Aldo Bianchini, Arthur Bloch e Sergio Vessicchio
della parte offesa, cioè del sottoscritto. Allora come dare torto a Vittorio Feltri per le sue dimissioni dall’Ordine dei giornalisti nel giugno scorso? “Quando piove, diluvia”, scrisse Arthur Bloch. Se le cose stanno così, che non sia arrivato il momento di eliminare una volta per sempre questo (Dis)Ordine giornalistico non più piovigginoso ma diluviante, vista la faziosità e l’ambiguità ‘double-face’ dei propri comportamenti? Buon lavoro e grazie dell’attenzione.
Michele Ingenito

Post scriptum. Allego alcuni degli articoli che si sono occupati in maniera equilibrata e completa della mia vicenda.
- “Sentenza caso Ingenito” di Aldo Bianchini (www.ilquotidianodisalerno.it)
- “Scandalo università: si consolida l’ipotesi di un complotto di forze deviate dello Stato contro il prof. Michele Ingenito” di Aldo Bianchini (Il Quotidiano di Salerno del 2 maggio 2013); 
- “Condanna per Orfeo, Manzo, Napoli, De Silva” (Iustitia del 18 luglio 2013);  
- “Pubblicazione tardiva e vaga” di Francesco Toralta (Iustitia del 25 novembre 2013)