Authority: venticinque piani
per sessantadue dipendenti
STA FACENDO RAPIDI progressi l'indagine avviata nel 2003 dalla procura di Napoli su sprechi, abusi, assunzioni, promozioni, spostamenti e stipendi all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, costituita nel luglio 1997, insediata il 10 marzo 1998, con sede a Napoli e ufficio di rappresentanza a Roma.
Nelle sedi capitoline e partenopea i carabinieri del nucleo operativo di Napoli (il coordinatore dei nuclei è il tenente colonnello Luigi Sementa; il responsabile dell'operativo è il maggiore Nicodemo Macrì; dell'Authority si sta occupando il maresciallo Andrea Ditto) dal 17 novembre stanno facendo visite a ripetizione per procedere all'acquisizione di atti. E il lavoro di recupero
dei documenti andrà ancora avanti. Per ora nel mirino dei carabinieri sono soprattutto i fascicoli relativi a diversi dipendenti protagonisti di carriere fulminanti.
Non è la prima volta che carabinieri, guardia di finanza e magistratura si occupano dell'attività

Francesco Gaetano Caltagirone, Enzo Cheli e Luigi Gay
dell'Authority, l'ente guidato dal presidente Enzo Cheli e da un team formato da otto commissari, equamente distribuiti tra tutte le parti politiche: Mario Lari, Alessandro Luciano, Paola Manacorda, Alfredo Meocci, Vincenzo Monaci, Antonio Pilati, Silvio Traversa e Giuseppe Sangiorgi.
Una prima indagine sull'Authority ha avuto origine l'undici luglio 2001, quando un dipendente, "costretto a non far niente", presentò un esposto al procuratore capo di Verona Guido Papalia, che lo trasmise per competenza a Napoli, dove arrivò nella primavera dell'anno successivo. Si sa che il procuratore Agostino Cordova lo assegnò all'aggiunto Giuseppe Maddalena e al sostituto Alfonso D'Avino; dell'esposto poi si è persa traccia.
Su un nuovo filone d'indagini sta ora lavorando Luigi Gay, origini friulane (è nato a Udine), cinquantasei anni, da venticinque in magistratura, uno dei sostituti più esperti della procura partenopea, per molti anni impegnato alla Direzione distrettuale antimafia (è stato pm per le indagini e per le udienze dell'omicidio di Silvia Ruotolo), ora assegnato alla sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione, guidata dal procuratore aggiunto Franco Roberti.
All'Authority le ripetute visite delle forze dell'ordine stanno creando grande fibrillazione; per mettere forse le mani avanti, è già stato dato incarico all'Avvocatura dello Stato di contattare Gay per annunciare la volontà dell'Authority di costituirsi parte civile nel caso dovessero emergere ipotesi di reato.
La stessa fibrillazione aveva agitato i vertici e i dirigenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni quando, nel maggio 2002, il quotidiano Libero, diretto da Vittorio Feltri, decise di affidare all'inviato Gianluca Marchi un'inchiesta a puntate che prendeva le mosse dall'esposto presentato alla


Antonio Pilati, Giuseppe Sangiorgi e Franco Roberti

procura di Verona. Per quindici giorni Marchi, con la collaborazione di altre firme del quotidiano, ha bombardato Cheli e i commissari: "Le spese
folli dell'Authority" è il titolo d'esordio; per continuare con "Il festival degli stipendi", "Ma il mistero è quello che

fanno", "E ora i consumatori chiedono i danni", "Un fascicolo da Verona alla procura di Napoli", "La Cgil va all'attacco dell'inchiesta di Libero"; e arrivare a "Hostess assunte come manager" e "Dalla reception dell'hotel a funzionarie dell'Authority".
Titoli forti, ma contenuti ancora più forti, con fatti, date, nomi; sul quotidiano vanno in pagina le fotocopie dei tabulati delle spese in hotel e ristoranti di lusso e località vip fatte da commissari utilizzando le carte di credito dell''Authority o le lettere firmate da una manager di una società controllata dall'Authority, poi assunta tra i dirigenti di Cheli.
Già dopo il primo articolo di Libero, pubblicato il 24 maggio 2002, la fibrillazione si aggrava; un comunicato, diffuso il 25 maggio, annuncia un'indagine interna e l'incarico all'ufficio legale di valutare i margini per una querela nei confronti del quotidiano di Feltri.
Per avere notizie Iustitia ha contattato l'ufficio stampa dell'Authority, guidato da Franco Angrisani, irpino di Mirabella Eclano, settant'anni da compiere il prossimo 31 agosto, professionista da quarantasei, ex direttore del Mattino e dell'Agenzia giornalistica Italia, pensionato ormai da diversi anni.
Con Angrisani, nell'ufficio di Roma lavorano Paola Calestani, arrivata dalla segreteria del commissario Meocci, quota Ccd, fedelissimo di Pierferdinando Casini che è stato testimone al secondo matrimonio di Meocci; Maria Grazia Greco (figlia di Vincenzo Maria Greco, per anni braccio destro di Pomicino); Francesca Tempestini (figlia di Francesco Tempestini, negli anni ottanta responsabile informazione del Psi); Maddalena Zambuco, ex dipendente dell'Holiday Inn, l'albergo del Centro direzionale dove alloggiano i commissari e i dirigenti dell'Authority in trasferta nel Golfo.
A Napoli sono tre gli addetti all'ufficio stampa: Daniela De Dominicis, figlia di Nicola De Dominicis, ora al segretariato generale, nel gennaio 2003 direttore dell'ufficio gestione del personale dell'Authority quando Daniela

venne assunta con un contratto annuale che da poco è stato rinnovato, Luisa De Rosa e Silvio Maoloni.
Ma torniamo all'indagine interna e alla querela annunciata contro Libero. "I responsabili dell'Authority hanno deciso di non presentare

Gianluca Marchi, Alfredo Meocci e Fabio Salvadori
querela contro Libero; - fa sapere Francesca Tempestini - quanto all'indagine interna mi dicono che non possiamo comunicarne i risultati perché coperti dal segreto istruttorio". Una risposta sorprendente perché arriva dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; per di più gli episodi riportati nell'inchiesta giornalistica, e prima ancora nell'esposto consegnato alla procura di Verona, presentano gravi risvolti deontologici, disciplinari, amministrativi, contabili e, forse, penali.
Resta da vedere come si chiude l'inchiesta di Libero: mentre Marchi sta affondando come una lama nel burro degli sprechi e della produttività dell'Authority, viene improvvisamente fermato. Perché? "Un giorno Feltri mi ha chiamato - è la risposta asciutta di Gianluca Marchi, da novembre direttore del quotidiano '.com' - e mi ha detto che dovevo fermarmi; riteneva esaurita la questione". Sono trascorsi poco meno di due anni, ma la situazione non è migliorata, anzi. Si sono via via aggravati due casi di mobbing di cui si stanno occupando, oltre i pm della procura di Napoli, i giudici del lavoro e del Tar.
Il primo riguarda Patrizia Orpello, quarantuno anni, da undici giornalista professionista e da quindici pubblicista, che dal marzo '99 ha lavorato all'Authority come addetto stampa fino all'ottobre 2000, quando non le fu rinnovato il contratto e venne esclusa dalla selezione per funzionario perché priva del titolo di laurea, titolo che non ha neanche il responsabile dell'ufficio stampa. Quando la giornalista venne allontanata per far posto a una nuova arrivata il deputato di An Italo Bocchino presentò un'interrogazione al ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale per chiedere notizie sulle assunzioni clientelari all'ufficio stampa, ma la sua rimase una denuncia senza esito.
La Orpello rientra nel grattacielo del Centro direzionale partecipando nell'aprile 2001 alla selezione per impiegato operativo; supera la prova, ma viene lasciata per sei mesi a bagnomaria. La chiamano soltanto nell'ottobre


Maria Pia Caruso, Franco Angrisani e Maria Grazia Greco

2001e la assegnano al servizio documentazione e pubblicazioni (traduzione: la biblioteca), la cui esistenza è certificata soprattutto dagli stanziamenti per acquisti di libri e riviste elencati nel bilancio. Tutte le richieste a voce o scritte avanzate dalla Orpello per essere

utilizzata valorizzando le sue capacità e la sua storia professionale sono rimaste di fatto senza risposta.
Il 13 marzo dell'anno scorso ha scritto una lettera al segretario generale della Federazione nazionale della stampa Paolo Serventi Longhi per chiedere l'intervento del sindacato a tutela dei suoi diritti. Per conoscenza la lettera viene inviata anche al presidente della Fnsi Franco Siddi e a Renzo Santelli, il funzionario della Federazione che si occupa degli uffici stampa. Il carteggio tra la Fnsi e l'Authority è fermo al 2 aprile 2003 quando Serventi Longhi ha scritto al segretario generale dell'Authority Alessandro Botto e al responsabile delle risorse umane Giovanni Benussi per conoscere i motivi della discriminazione nei confronti della Orpello e per sapere perché Angrisani ne ostacola il passaggio all'ufficio stampa. Dopo oltre nove mesi ancora nessuno ha risposto alla Federazione della stampa.
Da questa vicenda è di fatto assente l'Associazione napoletana della stampa, presieduta da Gianni Ambrosino, giornalista del Mattino già quando nel dicembre 1981 alla direzione del quotidiano di via Chiatamone arrivò Franco Angrisani. Fino ad oggi infatti Ambrosino si è limitato ad aggiungere la sua firma accanto a quella di Serventi Longhi nella lettera preparata dalla Fnsi.
Però la Orpello, testarda, va avanti. Il 30 settembre scorso ha scritto a Cheli, al segretario generale dell'Authority Alessandro Botto, al responsabile del servizio risorse umane e finanziarie Carmine Spinelli per chiedere che venga riesaminato il livello d'inquadramento nei ruoli dell'Authority, perché emergono clamorose incongruenze e disparità con dipendenti che hanno dichiarato come

titolo di studio l'iscrizione all'albo dei giornalisti pubblicisti giudicata dall'amministrazione equivalente alla laurea.
E a metà novembre ha dato la sua disponibilità a partecipare alla redazione del Bollettino dell'Autorità; il coordinatore dei servizi Antonio Perrucci le ha

Alessandro Botto, Paola Calestani e Patrizia Orpello

risposto che "i compiti per cui Ella manifesta la Sua disponibilità appaiono difficilmente compatibili con le attività istituzionale che attualmente sta svolgendo", cioè il non far niente dalla mattina alla sera in biblioteca.
Il secondo caso di mobbing, documentato con certificazione della Clinica del lavoro Luigi Devoto di Milano notificata all'Authority nell'estate 2003, vede protagonista l'avvocato Fabio Salvadori, veronese di quarantuno anni, assunto all'Authority il 16 giugno '98 come assistente di Meocci, che però quasi subito l'ha sostituito con Giuseppe Baracchi, amico di lunga data del commissario. Nell'aprile 2000 Salvadori risulta l'unico bocciato sugli oltre cento candidati che hanno partecipato alle selezioni per funzionario. "Uno dei commissari - ricorda Salvadori - mi disse che 'avevo bisogno di una calmata e di una lezione di umiltà'. Poi si resero conto che bocciare un professionista e promuovere persone con curricula insufficienti poteva essere rischioso. Prendiamo il caso di Baracchi: viene nominato assistente funzionario senza avere la laurea, indispensabile per ottenere la nomina, e non ha neanche il diploma di scuola media superiore, titolo necessario per accedere alla qualifica di operativo. Per risolvere il nodo Baracchi, interviene il sottosegratario agli Esteri Mario Baccini che ne chiede il distacco presso il suo gabinetto".
Così tre mesi dopo Salvadori viene riammesso alle selezioni e promosso funzionario, anche se al gradino più basso. Va però avanti l'operazione di isolamento dell'avvocato veronese, lasciato in una stanza a incollare buste. "L'undici luglio 2001 - dice Salvatori - ho presentato un esposto alla procura


Italo Bocchino, Renzo Santelli e Carmine Spinelli

di Verona. E nell'inverno successivo mi sono messo in aspettativa, perché dopo aver passato mesi e mesi da solo a non far niente in una stanza del grattacielo del Centro direzionale a Napoli sentivo seriamente a rischio il mio equilibrio. Dopo mesi di silenzio,
nello scorso luglio mi hanno comunicato la sospensione dello stipendio. Una decisione incomprensibile, perché o continuano a pagarmi o devono licenziarmi. Nonostante tutto io sono fiducioso perché penso che la giustizia è lenta, però inesorabile".
Ma il dato più rilevante degli ultimi due anni è il completamento del trasferimento di fatto dell'Authority da Napoli a Roma, ufficialmente ancora soltanto sede di rappresentanza.
Su una questione che ha un'evidente valenza politica c'è da registrare il silenzio di tutte le parti politiche, con qualche flebile eccezione; vedi, ad esempio, le episodiche uscite di Nino Daniele, capogruppo dei Ds nel consiglio della Regione Campania. Tra tutti, il silenzio più rumoroso è quello del presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, che sette anni fa, quando era ancora sindaco di Napoli, fece una battaglia perché la capitale del Mezzogiorno venisse scelta come sede dell'Authority e venne accontentato dall'allora presidente del consiglio Romano Prodi.
Intanto il 28 gennaio è stato approvato il bilancio di previsione per il 2004, con un nuovo incremento di spese e di organico, mentre per il consuntivo 2003, fanno sapere all'ufficio stampa, "se ne parlerà a giugno o a luglio".
Ma fermiamoci all'organico al 31 dicembre, ricordando che ai primi di ottobre è stato deciso il trasferimento nella capitale di oltre quaranta unità, quasi tutti romani.
"Alla chiusura del 2003 - è ancora, cortese, la Tempestini a fornire i dati - l'organico prevede 260 unità a tempo indeterminato, con quattro caselle attualmente scoperte, distribuite in varie fasce: 30 dirigenti, 110 funzionari,
90 operativi, 30 esecutivi. A Napoli lavorano 102 unità, 114 a Roma, 40 fanno parte degli staff dei commissari (e quindi probabilmente risiedono quasi tutti a Roma, ndr)".
Dando per buoni i dati forniti dall'Authority, è certificato che la sede di rappresentanza, con 114

Alfonso D'Avino, Paolo Manacorda e Silvio Traversa
unità, ha un organico superiore alla sede ufficiale. Ma i dati dell'ufficio stampa vanno presi con le molle. Sull'elenco telefonico interno di Napoli sono elencati soltanto sessantadue dipendenti. E da qui derivano, accanto alla già accennata questione politica, implicazioni su quanto costa tenere in piedi la 'finta' sede ufficiale e su come vengono spesi i soldi pubblici.
A Napoli la sede dell'Authority è ospitata al Centro direzionale nella Torre Francesco, uno dei due grattacieli (l'altro è Torre Gaetano) di proprietà della srl Sises, che fa capo all'imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone, editore del Messaggero e del Mattino.
Inizialmente i piani fittati sono diciotto e vanno dal diciassettesimo al trentaquattresimo, ma rapidamente ne vengono locati altri sette, dal decimo in su. Oltre ai venticinque piani da 602 metri quadri ognuno, il contratto prevede la locazione di un "parcheggio da 66 posti auto", un "deposito chiuso di 152 metri quadri" e la "zona atrio ingresso agli uffici sita al piano terra, comprensiva di due locali per il controllo degli accessi".
Innanzitutto una considerazione: l'Autorithy è l'unica realtà napoletana che ha più posti auto che dipendenti. E veniamo alle questioni più serie: venticinque piani per 602 metri quadri danno una superficie complessiva di 15.500 metri quadrati, in pratica l'equivalente di due campi di calcio.
In media ogni piano ha una quindicina di stanze per un totale di 375 vani.


Antonio Bassolino, Nino Daniele e Romano Prodi

Passiamo ora al canone pagato a Caltagirone. Mettiamo da parte il parcheggio e il deposito e facciamo quattro calcoli limitandoci agli uffici. Il canone per piano stabilito nel '98 è di 9.933.000 lire, cui vanno aggiunti iva e condominio, per un totale di poco più di 12.300.000
lire. Quindi il costo dei 25 piani è di 307 milioni di lire al mese, che diventano tre miliardi e 684 milioni l'anno.
Se oggi sono sessantadue i dipendenti dell'Authority in servizio a Napoli ognuno di loro ha a disposizione 250 metri quadri e sei stanze e costa, soltanto d'ufficio, poco meno di sessanta milioni di lire. Ma questi sono i dati del '98-'99; per avere un quadro preciso dei costi attuali bisogna anche calcolare l'aggiornamento Istat di tutti gli anni successivi.